Appalti e corruzione, forse è il caso di riscrivere la storia dell’Expo

1.ExpoNon passa settimana senza che spuntino nuove indagini, con annessa gragnuola di arresti impreziosita da un contorno di saporite intercettazioni telefoniche, su vorticosi giri di mazzette gestiti da cosche mafiose all’ombra di Expo Milano. L’ultima è di pochi giorni fa ed ha visto finire nelle patrie galere 14 tra manager e imprenditori calabro-lombardi accusati di corruzione per vari appalti e subappalti in Lombardia, a partire dai padiglioni Italia, Cina ed Ecuador della sfavillante esposizione universale andata in scena lo scorso anno. E allora, poiché trattasi per l’appunto solo dell’ultima e gli inquirenti lasciano intendere che altro sta per arrivare in tavola, la domanda sorge spontanea: non sarà forse il caso di riscrivere la storia di Expo? Cioè a dire, non vi pare che sarebbe opportuna una seria operazione di revisione storica per demolire il mito, falsamente costruito con il più tradizionale cocktail di propaganda e retorica, di una Expo modello di virtù, esempio inimitabile e irraggiungibile di operazione, come fu definita, “tangente free”?

Nei mesi scorsi ci sono state riempite le orecchie (e anche qualcos’altro, si parva licet…) con questa storia di Milano che poteva e doveva essere presa ad esempio. Chi non ricorda, è storia di poche settimane fa, la violenta polemica del presidente del Consiglio contro la sindaca di Roma per il suo dietrofront sulla candidatura della Capitale per le Olimpiadi del 2024? Diceva Renzi: “Bisogna bloccare i ladri, non le opere”, e indicava a modello proprio Expo. Le inchieste giudiziarie stanno dimostrando, ahinoi, che se l’esposizione universale è stata innegabilmente un successo di pubblico, con qualche ritorno sull’immagine di Milano (ma meno di quanto si tenda ad accreditare), è altrettanto sicuro che ha consentito alle più diverse organizzazioni criminali e a vari lestofanti incistati nella pubblica amministrazione di ingrassare all’ombra delle gare d’appalto e della gestione dei servizi.

Qualcuno dirà che era inevitabile, altri rimarcheranno che laddove ci sono grandi investimenti è fisiologico che ci sia chi se ne approfitta. Con un po’ di fatalismo all’italiana, dove abbiamo fatto lo stomaco ad ogni genere di scandalo (compreso quello di vedere figli di ex ministri e ex ragionieri dello Stato implicati in inchieste vergognose), potremmo anche rassegnarci all’evidenza e chiuderla lì. Se non fosse che viene il sospetto che forse talune indagini siano una scoperta solo per noi sprovveduti uomini della strada. Che forse, ma solo forse sia chiaro, la puzza di marcio si era sparsa già da tempo, magari fin da quando le masse si disperdevano lungo il Decumano, ma che non era opportuno, politicamente parlando, sollevare il coperchio del bidone. Sapete com’è, l’immagine dell’Italia nel mondo, il governo del fare, le magnifiche sorti e progressive. Pubbliche virtù e vizi privati, magari con l’autorevole copertura di chi stava seduto in alto loco.

Oggi quell’immagine di efficienza e di pulizia, su cui anche i giornaloni hanno dato prova di appiattimento (sarà mica perché Expo ha comprato spazi pubblicitari per milionate e milionate?), è brutalmente svergognata da ciò che emerge dai palazzi di Giustizia. Bisognerebbe onestamente prenderne atto. Ma dubitiamo che lo faranno quelli che cavalcano la retorica delle grandi opere che muovono il mondo, quelli che dicono che l’Italia deve riprendere a correre, quelli che l’immagine viene prima di tutto. Ad oggi, spiace constatarlo, il Paese è paralizzato attorno ad una controversa riforma costituzionale. Chi corre davvero, invece, sono mafiosi e corrotti.

 

 

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