Forse neanche la fase di aggregazione che si è aperta nell’ultimo anno/anno e mezzo tra le banche di credito cooperativo, le ex casse rurali, non solo bergamasche sarà sufficiente per salvarle, almeno per come sono strutturate attualmente. Chi è riuscito a commentare le ultime trasformazioni solo con interpretazioni legate al superamento della logica del campanile, può iniziare a capire quanto sia miope anche la dimensione provinciale di fronte all’esplicita manifestazione del pensiero in merito alla riforma del credito cooperativo da parte del presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Vorrei che ci fosse un gruppo bancario delle Bcc sul modello del Credit Agricole che è la terza banca francese”.
Probabilmente non si arriverà, almeno inizialmente, a un’unificazione nazionale, ma quello che è certo è che il legislatore sta lavorando, e non dagli ultimi mesi, per arrivare a una concentrazione molto spinta. E’ una richiesta esplicita della vigilanza – Banca d’Italia e Banca centrale europea – che preferisce tenere sotto controllo un pugno di holding piuttosto che perdere tempo con 368 singoli istituti. Finora l’ha fatto in maniera implicita imponendo una mole di controlli difficili da sopportare per microbanche, adesso sta procedendo in maniera diretta “spingendo” per le aggregazioni formali o di sostanza.
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha spiegato che la riforma delle banche di credito cooperativo a cui sta lavorando il Governo, e che dovrebbe essere presentata a breve, verrà attuata “affinché gli istituti più piccoli possano aggregarsi in una casa comune e facilitare efficienza ed economia di scala”.
Si va insomma verso la creazione di un gruppo in tempi rapidi, approfittando anche della sensibilità al problema creatasi sull’ondata mediatica provocata dal “salvataggio” delle quattro banche commissariate (di queste, nessuna Bcc, che però nell’infermeria di Bankitalia hanno altri istituti), per piegare le resistenze all’operazione. Come il sistema delle popolari è stato di fatto disarticolato e quindi indebolito con l’obbligo di trasformazione in spa per gli istituti principali, così anche il mondo del credito cooperativo, diviso al suo interno sulle modalità della riforma, incapace di procedere nell’autoriforma, vedrà alla fine prevalere una decisione presa dall’esterno. La replica che il comparto è solido è confortante, ma conta poco: alla fine, come sempre, per colpa di qualcuno, che magari non c’entra niente, si finisce per non fare credito a nessuno.
Il progetto del governo punta alla creazione di una holding capogruppo con forma di società per azioni, che faccia da “banca centrale” del sistema controllando e supportando le banche cooperative sottostanti, con la possibilità di approvvigionarsi di capitale sui mercati internazionali. Per evitare il proliferarsi di gruppi regionali o interregionali la soglia minima per la costituzione del gruppo dovrebbe essere fissata con requisiti abbastanza elevati, ma c’è anche la possibilità di un innalzamento dei requisiti patrimoniali necessari per il mantenimento dell’autonomia di un istituto, che ora può essere costituita con 5 milioni di capitale.
Tra Bergamo e Brescia nell’ultimo anno sono maturate diverse operazioni per cercare di prepararsi per ogni evenienza. Sono nate così la Bcc dell’Oglio e del Serio (dall’unione della Ghisalba con la Calcio e Covo), la Bcc Bergamasca e Orobica (dalla fusione dei due omonimi istituti), la Bcc Bergamo e valli (dall’aggregazione della Valle Seriana con la Sorisole e Lepreno), la Bcc di Brescia ha incorporato quella di Verolavecchia, mentre si stanno preparando l’unione della Bcc di Caravaggio con la consorella dell’Adda e del Cremasco e la nascita della Banca del territorio lombardo che dalla somma della Bcc di Pompiano Franciacorta e della Bcc di Bedizzole-Turano-Valvestino porterà al terzo istituto nazionale per dimensione nella categoria. Fuori dai valzer restano a questo punto, nella Bergamasca solo la Cassa rurale di Treviglio (dove il cda ha bloccato una fusione con la Caravaggio che appariva ormai fatta) e la Mozzanica, e, nel Bresciano, la Cassa Padana (che però tra il 2010 e il 2012 ha incorporato BCC Camuna, Banca Veneta 1896 e Bcc Valtrompia), la Borgo San Giacomo, la Garda, l’Agrobresciano e la Basso Sebino (che ha rinviato a dopo la riforma l’esame di un’unione con la Banca dell’Oglio e del Serio). In ogni caso in pochi anni la ventina di istituti orobico-bresciani si è praticamente dimezzata. Ma non sembra finita e soprattutto potrebbe non bastare.