Airoldi: “Tante le buone idee,
ma devono avere gambe per camminare”

Il suo motto è la semplicità, il suo modello di riferimento Steve Jobs. Damiano Airoldi, bergamasco, classe 1966, ne ha fatta di strada da quando 25 anni fa, insieme a un amico, fondò a Bergamo la Magnetic Media Network. Oggi, la sua impresa ha una cinquantina di dipendenti e, ogni anno, grazie ai suoi sistemi informatici, aiuta a gestire le complessità aziendali di circa 1500 clienti che operano nei settori più disparati. “Con grande pragmatismo, senza fare voli pindarici, possiamo ottenere strumenti incredibili per comunicare”, spiega Airoldi, che ha parlato della sua azienda nell’ambito delle “Conversazioni Imprenditoriali” promosse da “BergamoIncontra”.
Come nasce Magnetic Media Network?
“Nel 1989 la Mmn era una piccola azienda composta da me e dal mio socio e amico. Alla base di tutto c’era l’idea di fare informatica che, a quei tempi, era ancora nelle ere geologiche della tecnologia. In questi anni abbiamo sviluppato sistemi e cercato di portare l’informatica nelle aziende, soddisfacendo esigenze molto diverse. Quando queste esigenze diventano quotidianità, significa che sono efficaci”.
Insomma avete tentato di rendere semplici sistemi all’apparenza complessi…
“Abbiamo sempre inseguito la semplicità che è un elemento chiave in questo settore. Semplicità vuol dire anche economicità, efficacia, significa scalare le dimensioni di questi sistemi col crescere delle esigenze. O anche con il diminuire delle esigenze, visti i tempi che corrono, ridimensionando tali sistemi in modo dinamico”.
Qual è stata una delle vostre migliori intuizioni?
“In anticipo sui tempi, abbiamo capito la straordinaria importanza di quello che oggi è comunemente definito Smartphone. Già nel 2006 evidenziavamo la necessità di portarsi appresso posta elettronica e informazioni per una migliore organizzazione del tempo e del lavoro. Questi sono dei pezzi semplici da cui siamo partiti per costruire un’informatica molto complicata. Così abbiamo conquistato la fiducia dei nostri partners e siamo diventati credibili portando nelle aziende il mondo di Apple a cui siamo sempre stati legati, anche in tempi non sospetti”.
Quali sono i settori aziendali che traggono maggior beneficio dalla tecnologia?
“I dispositivi Apple sono molto gettonati nella grafica e nell’editoria. Anche gli studi legali sono un nostro fiore all’occhiello perché fanno comunicazione, si servono dell’informatica ma non hanno bisogno di capirla. E poi le scuole, i centri di ricerca… dopodiché c’è una grande passione nello scoprire le problematiche di tante aziende, piccole e grandi, dal singolo professionista alla multinazionale”.
Come si riesce a resistere nonostante la crisi?
“Nella Magnetic Media Network, dove lavorano una cinquantina di persone, cerchiamo di cogliere le esigenze specifiche di ciascun cliente. Questa è forse l’arma vincente in un settore tanto volubile”. 
Com’è cambiato l’approccio alla tecnologia rispetto a 25 anni fa?
“Mi sento quasi un highlander. Questo mercato è vasto e pieno di cadaveri eccellenti. Non c’è un futuro certo per nessuna azienda, di qualsiasi dimensione, quindi figuriamoci per noi. Ma è una sfida sempre molto stimolante. All’inizio c’era l’innamoramento per l’idea che i personal computer potessero cambiare la vita delle persone, in ufficio e poi a casa. Oggi il concetto di pc è molto più naturale mentre allora era molto più impattante. In quegli anni l’informatica voleva dire grosse aziende dotate di calcolatori creati da grossi nomi come Ibm ma anche da altri scomparsi come Mixware. I piccoli distributori, i piccoli oggetti, i piccoli nomi erano considerati degli ausili. Quando l’informatica dal posto di lavoro è arrivata nelle case, la gente si è resa conto di quanto fosse facile utilizzarla senza complessità tecniche. Questo ci ha dato più margine di azione. Semplificare il lavoro delle persone, ma allo stesso tempo divertire, è stata da sempre la nostra finalità. Gli utenti Mac e Apple sono stati i proseliti degli evangelisti perché avevano capito di avere in mano uno strumento che gli rendeva la vita più facile e avevano il piacere di raccontarlo. Questo è stato per noi uno stimolo per continuare”.
Il periodo più difficile che l’azienda ha dovuto affrontare?
“Nei primi anni 2000, quando abbiamo fatto il passo più lungo della gamba, ma devo dire che ci è servito. Quando le cose vanno troppo bene non capisci gli errori. Aver avuto difficoltà serie ci ha permesso di misurare anche certe scelte successive. Sono stati momenti complicati, ma educativi.
Voi operate soprattutto nel nord Italia?
“Sì, da Torino a Venezia, ma Bergamo e Milano sono diventate il baricentro della nostra attività. Soprattutto il capoluogo lombardo è un eccellente catalizzatore di opportunità. Quando ci siamo allontanati da Bergamo, per trasferire la nostra sede a Trezzo sull’Adda, abbiamo aperto un’attività che continuasse a presenziare in città, ma per il mercato consumer. Si tratta del tipico negozio Apple che vende prodotti al privato o al piccolo professionista”.
Quanto è importante il concetto di innovazione per stare al passo coi tempi?
“In questi mesi di difficoltà la cosa più complessa è guardare avanti e individuare molto velocemente le tendenze. In un mercato e in un’economia che cambiano vorticosamente, anche l’idea di successo invecchia rapidamente. Ogni intuizione richiede grande capacità di adeguamento, solo che ogni idea ha bisogno di un grande lavoro per essere messa a frutto e quando ci arrivi è già da rivedere. Pensiamo al tablet, un’invenzione nata nel maggio del 2010. Sono solo tre anni e sembra già un po’ vecchiotto”.
Che consigli darebbe a coloro che stanno per avviare una start-up?
“Non ho consigli, li invidio soltanto. Scherzi a parte, il consiglio che mi sento di dare è che se hai una buona idea devi preoccuparti di capire se funzionerà dal punto di vista economico. Tanti hanno idee strabilianti per l’impatto sociale o per la loro tecnologia avanzata, ma magari non stanno in piedi. L’informatica la si può imparare da soli, è la ragioneria che è difficile. Bisogna saper guardare oltre. I giovani oggi sono tutti aperti, culturalmente preparati, ma a certe cose noiose, come fare denaro, non pensano. Si lavora, poi si vedrà. Ma a medio termine poi il problema emerge. Io sono ben lungi dall’essere un ragioniere, sia ben chiaro, queste cose le ho capite col tempo”.
Avere una buona base economica di partenza è importante, ma anche l’accesso ai finanziamenti è un altro elemento di cui si deve tener conto…
“Non bisogna mai porsi limiti, non preoccuparsi di chiedere ma essere coscienti di quello che si costruisce dal punto di vista economico, altrimenti il progetto crolla. Ho avuto il piacere di aiutare tante start-up e si nota un grande entusiasmo che spesso si smorza e muore per colpa non solo di idee sbagliate ma perché non si è riflettuto abbastanza sul finanziamento. Poi ci sono quelli che partono con investimenti pazzeschi ma che non riescono ad andare da nessuna parte perché i loro progetti si fondano su progetti utopici.
Quali sono le eccellenze con cui ha collaborato in questi anni?
“Rimango sempre stupito dalle tante realtà eccellenti di cui vengo a conoscenza attraverso il mio lavoro. Ho scoperto anche che in alta Valle seriana ci sono specialisti della tecnologia che fanno cose strabilianti. Ci sono centinaia di realtà interessanti ma con scarsa visibilità. I bergamaschi sono dei grandi lavoratori ma hanno poca voglia di mettersi in mostra. Sono stato di recente in un talent garden a Milano, dove ho conosciuto ragazzi che hanno idee straordinarie. Dovremmo avere maggiore capacità di comunicazione e più attenzione verso queste realtà”.
Con quante aziende state collaborando?
“Abbiamo in media circa 1500 clienti all’anno che provengono dai settori più disparati”.
L’aspetto più affascinante del suo lavoro?
“Il grande piacere di conoscere le singole persone credo sia una delle cose più affascinanti in assoluto del mio lavoro. Sedersi attorno a un tavolo e farmi raccontare da un professionista come funziona il suo mestiere è bellissimo. Così un giorno ho scoperto un’azienda che riesce a tracciare i movimenti dei suoi tessuti in fase di produzione inserendo al suo interno dei piccoli circuiti”.
Un aneddoto a cui è particolarmente legato?
“Io sono un osservatore di Apple da sempre. Ho iniziato la mia attività con l’arrivo di Apple in Italia e ho presenziato a tantissimi eventi. Ricordo in particolare l’incontro che venne organizzato in occasione del famoso ritorno di Steve Jobs in Apple. Aveva già una discreta fama, nulla comunque di comparabile a oggi, ma è stato incredibile quando si è collegato in videoconferenza con Bill Gates: non vi dico i fischi. Gates era considerato il genio del male, alla stregua di Dark Fener. Faccio notare che nel filmato ufficiale non si sentono i fischi che c’erano quel giorno. Comunque, al di là della rivalità tra Apple e Macintosh, trovo che Bill Gates sia una persona straordinaria”.