Il ricambio generazionale è il problema di un lavoro scelto solo dal 15% di under 30 e abbandonato da quasi il 60% degli over 50 e 60
Le difficoltà del mondo del lavoro nel reperire manodopera, che accomunano trasversalmente tutti i settori produttivi, stanno investendo anche il mondo dell’impresa e la categoria degli agenti di commercio. La figura dell’ausiliario – che nelle sue macro categorie della classificazione ATECO vede in provincia di Bergamo 2.086 imprese attive con codice esclusivo di agente di commercio- sta riflettendo molto questa difficoltà. La figura dell’intermediario del commercio, divenuta fondamentale come motore dello sviluppo delle vendite delle imprese di ogni dimensione con l’affermazione dei canali distributivi corti dall’inizio della concentrazione della distribuzione delle merci degli anni ’70, sta perdendo diverse posizioni anche nel nostro territorio. Le ricerche presentate da FNAARC e da Confcommercio Bergamo nel convegno “Agenti di commercio: pianificare l’evoluzione. Analisi del presente e vision sul futuro” hanno visto snocciolare numeri non positivi sia a livello nazionale che locale. In Italia a fronte di un numero di imprese preponenti in calo del -3% (da 58.520 del 2021 a 56.600 del 2022) il calo di 1.423 agenti di commercio – 0,7% è stato più contenuto, anche se non consente di rovesciare un trend che ha visto perdere oltre 60mila agenti di commercio in 10 anni.
Il problema nella provincia di Bergamo è ancora peggiore: il saldo degli agenti di commercio per l’anno 2022 è negativo con – 124 imprese iscritte alla Camera di Commercio. E’ il dato peggiore dal 2019, addirittura più nero di quello del 2020, quando si toccò il minimo storico di nuove aperture (67) e il record di chiusure (191). Nel periodo dei quattro anni il saldo, ahimè sempre negativo, è di – 364 imprese, con un turnover del 35%. In quattro anni sono cambiati quasi 4 agenti di commercio su 10 nella nostra provincia. Questi sono numeri che inducono ad un riflessione. Indubbiamente i numeri risentono della riduzione del numero dei giovani che sta influenzando il tasso di natalità delle imprese di tutti i settori e della riduzione drastica del tasso di disoccupazione che porta molti ausiliari a lasciare l’attività in proprio per intraprendere quella più sicura di lavoratore dipendente. Ma a fianco di queste motivazioni di ordine generale, la riduzione di fatturati e provvigioni sta scoraggiando l’avvio e la prosecuzione dell’attività.
Il modello al quale eravamo abituati nel secolo scorso dell’agente di commercio come diplomato brillante che intraprende la professione entro i 30 anni dopo un’esperienza come lavoratore dipendente e che continua per oltre 40 anni fino alla pensione non esiste più.
Gli agenti di commercio bergamaschi evidenziano maggiore individualità nell’esercizio, meno presenza femminile un’età anagrafica maggiore rispetto a quella nazionale.
Sembrerebbe essere più accentuato il turnover nella professione rispetto alla media nazionale, tipico delle aree del nord Italia, più avanti nell’affermarsi dei fenomeni sociali e con minore disoccupazione che crea sbocchi alternativi.
Il dato della migliore longevità delle imprese femminili è positivo perché potrebbe essere il segnale che la professione sta iniziando ad attirare maggiormente le donne perché meglio si concilia con l’organizzazione familiare. Di contro, ciò potrebbe essere legato alla riduzione del reddito medio dell’agente.
Sull’età anagrafica delle aperture e cessazioni si addensano le principali complessità del sistema sociale ed economico della professione.
Solamente il 15% circa delle nuove attività è aperta da un giovane sotto i 30 anni. Uno su due avvia l’attività tra i 30 ei 49 anni, quindi dopo aver già svolto un altro lavoro, mentre ben il 37% sceglie la professione dai 50 ai 69 anni, ormai nell’ultima fase della sua vita lavorativa.
La discontinuità nelle cessazioni vede il 2,3% dei giovani che desistono subito, il 22,2% che lascia dai 30 ai 49 anni per andare a fare altro, con la probabile dispersione delle competenze acquisite. Dentro nella frazione del 59,7% che lascia dai 50 ai 69 anni, accanto alla porzione di coloro che hanno raggiunto l’età pensionabile, si annida la principale criticità di chi viene espulso dalla professione in età avanzata con minori prospettive di riassorbimento.
Gli anni della pandemia evidenziano i fenomeni già emersi nei decenni precedenti. Una curva demografica e una di longevità aziendale pericolose per la categoria e per le imprese mandanti.
Il problema è noto alle medie e grandi imprese consapevoli che non si potranno sostenere le vendite con l’e- commerce ma servirà attirare presto molti giovani brillanti, anche se non sarà per niente facile.
La professione per continuare ad essere attrattiva deve essere sostenibile, sia economicamente sia per quanto riguarda la conciliazione lavoro-tempo libero, prioritaria nella scelta del lavoro soprattutto da parte dei più giovani.
Questo è l’input per le aziende mandanti che più degli stessi agenti sono convinti che Internet non potrà sostituire la figura del rappresentante, ma che ne cambierà in parte il ruolo. Questo ruolo però va riconosciuto non solo a parole ma nei fatti.
Di contro, devono essere i giovani a credere in questa professione in proprio, che resta moderna, ben retribuita a regime, e che prevede un buon mix tra tecnologia, social, smart working, elementi tra i più apprezzati nella scelta lavorativa.
Perché non ci sarà comunque posto per tutti i giovani laureati brillanti nelle funzioni del marketing e comunicazione delle grandi imprese, soprattutto se non riusciranno a sostenere le loro vendite con adeguate e qualificate forze, sia nella forma di dipendenti diretti sia di agenti di commercio, nel giusto equilibrio. Senza dimenticare che negli anni la professione dell’agente di commercio ha proposto un modello virtuoso perché basato sul lavoro in proprio per enfatizzare la relazione con il cliente e massimizzare le vendite.