Quando nel 1992 l’Efim fu posta in liquidazione i dubbi dei creditori esteri che lo Stato potesse togliere la sua garanzia provocarono una tormenta che mise in serie difficoltà le finanze italiane. Questo perché anche se l’Efim non era lo Stato, ma un ente che ne faceva capo, per il mercato non c’era differenza: era diventata una questione di credibilità, che in economia, più che in politica, è quasi tutto.
Nel suo piccolo, è la stessa cosa nella vicenda dell’Abm, Azienda Bergamasca Servizi. Va precisato che non c’è niente di irregolare o di illegale. C’è una normativa, quella dettata dalla legge fallimentare, e l’Azienda Bergamasca Servizi vi fa ricorso, come altre imprese. Però l’Abm non è una società come le altre, per via del suo azionista pubblico di controllo, la Provincia di Bergamo. La sua richiesta di concordato “in bianco” non è quindi solo una questione economica, ma anche politica.
Non si sa ancora come andrà a finire. Entro il 4 novembre la Abm dovrà presentare un piano che potrebbe essere di ristrutturazione dei debiti o, come appare più probabile, una proposta di concordato con un rimborso solo parziale. In entrambi i casi è acclarato che l’azienda, e quindi il suo azionista, la Provincia, non intende rispettare l’impegno preso e rimborsare interamente i suoi creditori, dopo che altre strade non sono riuscite percorribili. Tutto regolare, si precisa ancora: Abm è una società per azioni e il socio è responsabile economicamente giuridicamente solo per il capitale versato. Ma una società pubblica ha anche (forse) degli impegni morali differenti.
La distinzione sul fatto che l’Abm non è la Provincia, ma una sua società, non cambia di molto la situazione: c’è comunque un’azionista che non è in grado, senza entrare nella distinzione non indifferente se non può o non vuole, di onorare i debiti che fanno a lui riferimento, come perfino amministrazioni comunali commissariate sono riuscite a fare. E non vale la scusa che i guai di Azienda Bergamasca Servizi non sono imputabili all’attuale amministrazione perché conseguenza di scelte infelici, sfortunate o sbagliate (a seconda di come la si pensi) effettuate in passato. La responsabilità delle scelte, nel bene e nel male, spetta ai gestori di via Tasso pro tempore.
Il buco che si è creato nell’Azienda Bergamasca Servizi non è insignificante (si parla di debiti per 9,4 milioni di euro che includono 4,1 milioni a breve termine verso le banche, un mutuo di 1,5 milioni verso il Banco Popolare, un milione di prestito ricevuto dalla Provincia, 2 milioni di debito residuo della partecipata Vocem verso il ministero per una centrale mai realizzata a Benevento). La normativa mette vincoli discutibili sul ripianamento delle perdite delle controllate pubbliche. Anche per questo la giunta Rossi può sostenere di non avere avuto alternative, avendo già difficoltà a trovare i soldi per tante altre operazioni avviate da giunte precedenti, come la variante di Zogno. Regge meno la lamentela sui vincoli legislativi che impediscono di utilizzare i propri tesoretti, in realtà refrain consolidato dell’amministrazione Pirovano che l’ha preceduta, e sotto la quale si è aggravata la situazione di Abm nata con la presidenza Bettoni.
Recentemente il ministero ha infatti pubblicato una graduatoria dei Cento enti pubblici con i tempi di pagamento più bassi. Tra questi enti virtuosi non c’è ovviamente la Provincia di Bergamo (ci sono però i Comuni di Albino, di Scanzorosciate e di Zogno, la Comunità montana dei laghi bergamaschi e l’Area finanziaria del Comune di Capiriate), ma c’è una consistente serie di amministrazioni provinciali (Arezzo, Savona, Prato, Vicenza, Mantova, Gorizia, Trieste, Treviso, Modena e Monza-Brianza), che, per inciso, pagano tutte a meno di 40 giorni e che evidentemente quei problemi registrati dai vincoli normativi che lamenta via Tasso sono stati in grado di superarli. Conseguenza del concordato Abm è che il mito della buona amministrazione bergamasca debba essere messo sotto revisione.