Ospedale Papa Giovanni, occhio alla riforma che ne stravolge il ruolo

Ospedale Papa Giovanni, occhio alla riforma che ne stravolge il ruolo

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C’è qualcosa di peggio dell’incompetenza. Ed è la presunzione. Quella che fa ritenere a taluno di saperla più lunga di altri non in virtù di una conclamata professionalità ma solo, magari, per il ruolo rivestito.

Prendete il caso del consigliere regionale di Ncd, Angelo Capelli, investitosi del ruolo, insieme ad un collega leghista, di riformatore del sistema sanitario lombardo (domanda: ma non ci era stato raccontato che era il migliore del mondo?). Chi lo conosce sa che l’avvocato già sindaco di Ponte Nossa e coordinatore provinciale del Pdl ha una discreta considerazione di sé. Le qualità non gli fanno difetto, l’affiliazione all’Opus Dei è di chi di solito appartiene ai giri che contano. E tuttavia, anche per questo, forse nemmeno a lui dovrebbe essere consentito di sbeffeggiare chi osa mettere in dubbio una delle scelte, certo non secondaria, contenute nel progetto di riforma in via di approvazione da parte del Consiglio regionale.

Tanto più se chi chiede una revisione non è un pinco palla qualsiasi ma niente meno che il collegio dei primari dell’ospedale Papa Giovanni. Quello che, secondo Capelli, non dovrebbe più rinchiudersi nella tradizionale (oseremmo dire, banale) eccellenza, per ampliare le sue attività ai distretti e alla sanità di base, come una Asl qualsiasi.

Non entriamo nel balletto delle denominazioni, perché nel gioco delle tre carte i politicanti di palazzo Pirellone ci strabattono. Quel che rileva osservare, e che i dottori dell’ospedale rimarcano con forza, è che si sta correndo seriamente il rischio di stravolgere il ruolo e la funzione di una struttura che non può essere messa sullo stesso piano dei presidi ospedalieri di provincia (Seriate e Treviglio, per intenderci). Il Papa Giovanni è il faro della sanità bergamasca, dispone delle migliori professionalità e dei mezzi più all’avanguardia, ha assorbito centinaia di milioni di investimenti pubblici non per dedicarsi alle appendiciti o alle riabilitazioni cardiache ma per interventi di alta complessità e per i trapianti.

Alle osservazioni dei primari, il consigliere regionale di Ncd ha risposto dando praticamente dell’ignorante ai medici: «Non avendo letto il testo della riforma sanitaria non hanno capito la portata della grande innovazione». Nemmeno il rispetto per la levatura degli interlocutori concede il rivoluzionario Capelli, talmente investito nella parte che non gli riesce di comprendere che non c’è bisogno di leggere pagine e pagine di burocratese per comprendere che quella che si sta imboccando è una strada sbagliata. Secondo lui non si stravolge nulla. Anzi, secondo una logica mercantilista che con la salute non ha molto a che spartire, si compiace di dire che «si aggiunge un ramo d’azienda».

C’è di che riflettere su questo modo di rapportarsi e di parlare. E viene da chiedersi come sia stato mai possibile ritrovarsi, dopo anni di feroci contrapposizioni e di critiche (che a volte hanno trovato riscontro in inchieste giudiziarie), a dover rimpiangere il vituperato Formigoni, uno statista al cospetto dello scialbo Maroni, un ras che sapeva bene dove e come mettere le mani.

Non come questi signori che in pochi mesi hanno messo sul tavolo quattro progetti di riforma diversi, che poi hanno tagliato, ritagliato, modificato senza mai un minimo di confronto vero (non le rituali audizioni fine a se stesse) con il territorio e, soprattutto, con chi le norme poi le deve tradurre in pratica.

Purtroppo, rispetto al Celeste c’è un solo elemento di continuità. Ed è la sfrenata lottizzazione dei direttori generali. Oggi come in passato, conta la fedeltà politica più della preparazione professionale. Anche in Bergamasca (nella Bassa, in particolare). Come prima, più di prima. E forse allora si comprende perché non si riconosca voce in capitolo a chi sa davvero di cosa parla. Il rischio è di dimostrare a tutti che sotto il vestito (la riforma) c’è il nulla.