Il 1° gennaio 1999 vedeva la luce l’Euro che sarebbe entrato effettivamente in circolazione tre anni più tardi.
Tra due mesi si andrà a votare per le elezioni europee, in uno scenario molto diverso da quello di vent’anni fa, quando si votava per costruire l’Europa.
Si va a votare, qualcuno per cambiare l’Europa, altri per seppellirla.
Eppure, come si legge nello studio ‘L’euro compie vent’anni’ presentato da Confcommercio al Forum di Cernobbio nei giorni scorsi, “l’Euro è più di un collante per il progetto europeo; sebbene in rallentamento continua il processo di adesione alla moneta unica” in cui sono impegnati ben sette Paesi Europei, i cinque dell’Est, la vicina Croazia e la Svezia”.
Eppure il gradimento verso l’Europa sta venendo meno anche da noi. Secondo la ricerca Parlementer 2018 alla precisa domanda “se domani si tenesse un referendum per restare o uscire dall’Europa, come voteresti?” in Italia ha risposto ‘restare’ il 44% degli intervistati che è la percentuale più bassa in Europa; il 24% ha risposto “uscire”, una percentuale seconda solo a Regno Unito e Cipro e pari a quella espressa in Grecia. Mentre preoccupa il 32% di “non so” che segnala l’alto tasso di indecisi che potrebbe decidere la partita.
Le ragioni di questo disinnamoramento sono presto trovate nei numeri. L’Italia in questi vent’anni di euro è “cresciuta”, giusto per trovare un eufemismo, al tasso medio dello 0,1% annuo sia nel PIL che nei consumi, ben dieci volte meno degli altri Paesi quando va bene. Inoltre è vero che siamo riusciti a recuperare i posti di lavoro persi con la grande crisi, con una crescita dei posti di lavoro del 2,7%, ma il tasso di occupazione resta tra i più bassi in Europa, al 63%, dieci punti in meno della media europea e avanti solo al 60% della Grecia.
Vent’anni quindi di occasioni sprecate che con le previsioni al ribasso dell’ultimo mese stimano una crescita attesa dello 0,3% del PIL e dei consumi. Questo nel caso del disinnesco delle clausole di aumento dell’IVA che per noi costituiscono “la linea del Piave”, oltre la quale la ‘guerra’ sarebbe persa.
Diciamocelo: i numeri sono da “debacle” e non è certamente colpa dell’Europa. Non creiamoci dei facili alibi.
Dobbiamo rafforzare il nostro ruolo propositivo. La proposta di Confcommercio prevede l’esclusione degli investimenti pubblici dal computo del deficit, l’introduzione dell’agenda urbana e la rigenerazione come strumenti di crescita e la messa in campo di un’efficace web tax a livello europeo.
Poi, come ha ben ricordato il presidente Sangalli nella conferenza stampa di apertura del forum, occorre un percorso rigoroso che disinneschi l’aumento dell’IVA, rimettendo in moto i cantieri e il volano connesso, e infine è necessario misurarsi fino in fondo con i nodi della spending review: meno spesa pubblica, meno imposte e più investimenti. Che è esattamente il punto da cui partimmo vent’anni fa.