Una seconda Liberazione? Finirla con i soprusi in nome della libertà
Voglio raccontarvi una cosa che mi è capitata ieri, 25 aprile: io mi trovavo in Toscana per lavoro e, insieme a mia moglie e ad una coppia di cari amici, stavo festeggiando il mio onomastico: come spesso accade, ho voluto fare un post su Facebook, così, per sottolineare la ricorrenza e ho postato una foto artistica di un leone di San Marco. Subito, molti conoscenti hanno risposto, facendomi gli auguri. Tra questi c’era anche un ex consigliere comunale di centrosinistra, col quale sono in buoni rapporti, anche se, qualche volta, ci punzecchiamo un po’: solo che, oltre a farmi i predetti auguri, lui ha voluto metterci la provocazioncella politica. Non mi ha augurato buon onomastico, infatti, ma buona festa della Liberazione. Io gli ho risposto, un tantino piccato, che lui si festeggiasse quel che gli pareva, ma che, in quella sede, io stavo gioendo per il mio onomastico e basta: apriti cielo, come prevedibile, è partito il pistolotto! Se non ci fosse stata la Liberazione, un qualunque Pavolini (chissà poi perché proprio Pavolini?) avrebbe potuto impedirti di parlare… A questo punto, mi è saltata la mosca al naso e gli ho risposto di andare pure a farsi la sua bella manifestazione, con tanto di benedizione da parte mia, che io avrei mangiato e bevuto tale e quale.
Però, adesso, vorrei spiegare a voi e, se mi leggerà, a lui, come la vedo veramente. Il fatto è che io, venuto al mondo nel 1960, ho avuto la fortuna di nascere libero: Pavolini, quando l’ostetrica della clinica Castelli mi ha scodellato in braccio a mio papà, era morto da quindici anni e, con la mia, diciamo così, Bildung, non ha avuto niente a che fare. In compenso, quando sono arrivato al liceo, mi sono trovato davanti torme di giovanotti, più anziani di me di qualche annetto, che non mi lasciavano entrare in classe, perché avevano deciso autonomamente che tutti dovessero aderire ai loro scioperi. I medesimi o i loro omologhi erano quelli che, nelle assemblee d’istituto, impedivano, se necessario con la forza, a chi non la pensasse come loro, di parlare. Va detto che quello che loro pensavano, con il passare del tempo, si è rivelata la più colossale boiata ideologica degli ultimi duecento anni: allora, però, andava di moda, così come andava di moda zittire, con le buone o con le cattive, qualunque forma di dissenso. E, tutto questo, in nome della libertà e della democrazia. Pur essendo uno sprovveduto ginnasiale quattordicenne, notai da subito una certa discrepanza tra il dire ed il fare di questi aspiranti capipopolo: e mi montò una rabbia che ancora non mi sbolle e che, in sostanza, ha fatto di un agnostico istintivo un uomo di destra. Innanzitutto, perché mi sembrava e mi sembra un’ingiustizia mostruosa usare parole come “libertà” o “democrazia” per mascherare la prepotenza e la prevaricazione e, poi, perché questa bella abitudine, mutatis mutandis, non è affatto cambiata.
Oggi, i giovanotti di allora, divenuti spesso ricchi ed attempati professionisti, fanno ancora di tutto per isolare, marginalizzare, escludere da ogni attività e da ogni opportunità chi non sia loro sodale: e l’interpellanza in Comune a Bergamo sulla mia esclusione da ogni iniziativa per il centenario della Grande Guerra la dice lunghissima su come funzionino le cose. I loro eredi, invece, inscenano ogni tre per due allarmi democratici, manifestazioni, presidi, insultando serenamente chiunque dissenta dal loro credo, quando non mettono a ferro e fuoco qualche centro cittadino. Il che deriva, in fondo, da un misto di ignoranza abissale, di invidietta sociale e di sacrosanta paura di doversi rimboccare le maniche: i nipotini coccolatissimi della rivoluzione, alla fine, vogliono autolegittimarsi come sentinelle della democrazia soprattutto per non pagare l’affitto. Così, leggo su internet che hanno assimilato, in un medesimo odio, personaggi diversissimi come Mussolini, Sora e Locatelli, sulla base di una comune fede fascista: inutile dire che questo equivarrebbe a mettere sullo stesso piano Stalin, Gramsci e Berlinguer, ma so già che questo tipo di argomenti non arriva ai neuroni degli interessati. Dico solo che la logica delle 1.500 firme contro i tre incriminati è la stessa dei quattro giovanotti che impedivano a tutto il “Sarpi” di fare lezione: togliete pure tutte le cittadinanze che volete, ma non perché ve lo impone una assoluta minoranza di strillatori professionali, perché significherebbe dare ancora ragione alla logica inaccettabile della “prepotenza democratica”. Farla finita con i soprusi in nome della libertà: questa sì che sarebbe una seconda Liberazione!