Tiziana Fausti: 
“Vorrei 
una Bergamo 
meno  
ingessata”

Tiziana Fausti: “Vorrei una Bergamo meno  ingessata”

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La “Signora della Moda” non cammina. Volteggia da una stanza all’altra degli uffici della Exor, la sua società, pieno centro di Bergamo. Indossa un completo bianco, total white, pantaloni larghi, camicia altrettanto larga, maniche svoltate, un (meraviglioso) paio di scarpe, con un tacco capolavoro, tutto cesellato. “Mi piace stare comoda – dice -. Le scarpe alte? Anche in questo caso è comodità, così non ho dovuto fare l’orlo ai pantaloni un po’ lunghi ”. Ride. Accessori praticamente zero. Perché un paio di diamanti  ai lobi e un Rolex molto maschile non possono rientrare nella categoria del complemento di moda. Lei nemmeno è classificabile. Non si può dire che rientri nella categoria delle donne classiche, delle elegantissime, delle originali. Semplicemente “è”.
E’ Tiziana Fausti. Una donna, un’imprenditrice che cambia restando sempre la stessa. Soprattutto se stessa. Dunque, nessuna formalità, nessun ufficio di rappresentanza.
“Sediamoci qui” (qui significa in una delle stanze, due sedie, tra computer e decine di bolle e fatture che occhieggiano dalla scrivania).
“Abbiamo appena finito una riunione, adesso siamo molto concentrati sul progetto dell’e-commerce. La situazione del resto è quella che è per tutti, anche se mi dicono che tutti i Paesi del G8 sono in ripresa. Tutti tranne il nostro”.
Una crisi che tocca anche l’alta moda?
“Fortunatamente nel nostro settore il made in Italy tiene”.
Grazie a cosa?
“Alla costruzione del prodotto e alla materia di base che lo compone. E poi abbiamo stile, anche se i francesi ci danno fastidio con tutto questo fermento di giovani stilisti da Dior a Saint Laurent. Certo, il nostro caposaldo rimane Prada”.
Lei è un’autorità nel mondo della moda…
“Credo di essermi guadagnata faticosamente uno spazio, una posizione di considerazione”.
Cosa le è costato?
“La vita, la mia vita. L’ho dedicata al lavoro con grande entusiasmo. Ho avuto fortuna, se penso ai giovani d’oggi…credo che non potrebbero fare quello che ho fatto io”.
Quanto l’ha avvantaggiata la bellezza?
“Non molto, ho esercitato forse il fascino. Anzi, se posso chiamare fascino il mio modo di essere, essendomi spesso rapportata con donne, essere bella è stato uno svantaggio”:
Come potrebbe definire la sua carriera?
“E’ stato uno step by step, un crescere graduale, e non un accaparrare denaro, reinvestendo continuamente. Anche adesso che ho sessant’anni io vivo come se fossi eterna. Molti mi dicono: ma perché non passi il tuo tempo a giocare a golf? Il guaio è che io ho un senso del dovere innato così forte che, pensando alle cose che dovrei fare, non vivrei bene il mio tempo. E’ un po’ una condanna, lo ammetto”.
In questo senso lei è molto bergamasca…
“Sì, questo è il bello anche se io bergamasca lo sono per caso. Mia mamma era toscana, mio papà era nato in Italia per caso, la mia famiglia paterna era andata a cercare fortuna in America”.  
La moda è sentirsi…
“Belle, la moda è questo, anche se personalmente direi: sentirsi comode. Del resto non sono una donna che si orpella, sono di fondo più sportiva, mi piace l’essenzialità anche nel vestire”.
Dunque, lo stile di Dolce & Gabbana…
“Non potrebbe mai essere il mio, ma ciò non toglie che migliaia di donne amino i loro abiti, in particolar modo chi vuole sentirsi sexy. Gli abiti lanciano messaggi”.
Lei non lo ha mai fatto?
“Forse inconsciamente, a qualcuno sarà piaciuto il mio modo di essere”.
I suoi negozi che messaggi lanciano all’interno di una città come Bergamo?
“E’ come chiedermi come sto in questo momento: dal punto di vista imprenditoriale mi sento un’ottimista preoccupata. Nella mia vita ho avuto sempre slanci in avanti, crescere, reinvestire. Continuerò sempre a credere che le cose vadano avanti, guai a farsi prendere dall’angoscia, dalla disperazione delle incertezze”.
Come si superano le difficoltà?
“Trovando la giusta chiave di lettura, cambiando le prospettive. E’ come guardare un quadro da un’angolazione diversa, si vedono altre sfumature”.
In una delle sue vetrine è esposta una gonna Dior a 4.500 euro…Chi l’acquista ?
“I miei negozi non si rivolgono solo ad un pubblico bergamasco, ma le posso assicurare che le bergamasche che acquistano ce ne sono e sono così belle…” 
Certo, con certi budget…
“Un bel paio di calzoni costa 700 euro, un abito di Dior 2.500 ma vuol mettere che differenza? Ho clienti che con certi abiti indosso diventano meravigliose. E’ il lato divertente di questo lavoro che, però, sto un po’ perdendo, perché sto curando l’e-commerce. E’ una vetrina sul mondo, molti guardano la sera il sito e poi vengono a comprare in negozio”.
Quali sono i mercati di riferimento?
“L’Est europeo, anche l’America si sta aprendo, con la Francia abbiamo patito parecchie truffe. ”.
Lei detta legge nella Bergamo della moda, ma si vede poco…un po’ come Mina
(ride) “E’ per questo che sono andata a Lugano”.
Vive là?
“No, ci ho aperto un negozio e ci sta la metà della mia famiglia. Ai momenti che trascorro anche solo passeggiando in riva al lago di Lugano con la mia cucciola di sette anni non voglio rinunciare. Voglio poter riuscire a fare un po’ di tutto”.
Parlando di negozi in città Fausti uomo di piazza della Libertà ha chiuso
“Con mio grande rincrescimento. Quel negozio, per me,  è stata innanzitutto  una sfida, oltre al fatto che era di un bello…”
Alla bellezza ha prevalso l’ottimizzazione dell’unico store sul Sentierone
“Per forza, accorpare tutto è stata una scelta strategica, si è creata una sinergia commerciale molto importante”.
Al di là dell’appeal commerciale, che valore ha per lei il Sentierone?
“E’ il cuore di Bergamo. Io l’ho vissuto negli anni “veri”, quando si facevano interminabili vasche, avanti e indietro per cercare di rincontrare il tipo che avevi adocchiato. Gran bel periodo”.
E adesso che cosa il Sentierone rappresenta per la città?
“Adesso il centro cittadino sta soffrendo e tutte le iniziative che si mettono in campo per rivitalizzarlo non sono adeguate a quella Bergamo dell’eleganza che io amo molto, rappresentata da cose straordinarie, penso ad esempio, anche solo al Teatro Donizetti. Bisognerebbe pensare a  qualcosa di diverso…”
Cioè? Che cosa le piacerebbe?
“Ci sono manifestazioni alle quali partecipo a Milano, ad esempio una mostra mercato di fiori e giardinaggio che si tiene maggio (trattasi di Orticola ndr) dove l’esplosione di colori, invoglia ad acquistare. Manifestazioni legate a qualcosa di importante si possono fare…Penso ad altre città come Parma che ha uno slancio diverso, forse perché anche è gestita da persone che hanno una formazione rivolta a questa concezione”.
Una formazione meno provinciale?
“E più internazionale. A Bergamo, persone e professionalità  che potrebbero farsi carico della gestione di grandi eventi nell’arte ci sono. Abbiamo una Gamec che funziona e che è riconosciuta a livello internazionale. E poi ricordo di non aver mai visto tanta bella gente in città come in occasione della mostra del Lotto.  Sono iniziative che costano e che comportano esborsi di denaro anche da inventare, ma immagino che una pianificazione in questo ambito possa essere fatta…”.
Più arte e meno bancarelle?
“Certo, ma finché  si faranno perché gli ambulanti ti danno quei tre euro che ti servono per sistemare le aiuole… Allora, facciamo in modo che le aiuole le sistemi un privato, così da spendere qualcosa per fare qualcosa di più interessante”.
Con che cosa si fa cultura?
“Con tutto, anche con il cibo ma non con le salsicce”.
Lanci un’idea firmata Tiziana Fausti per Bergamo Capitale della Cultura 2019
“Mi piacerebbe un grande concerto sulle Mura, inventare qualcosa che le valorizzi. Non dei cambiatori di colore, come ho visto e che non mi sono piaciuti”.
Definisca Bergamo con un aggettivo.
“Austera, rigida. Un po’ come i bergamaschi che hanno i loro pregi, sono leali, corretti. Qualità che danno alla città e alla sua gente una grande solidità. Manca, però, una leggerezza, una lievità nell’affrontare la vita. Manca l’open mind, c’è la preoccupazione del proprio giardinetto e l’incapacità di guardare oltre”.
Perché, secondo lei?
“Nell’ambito della gestione amministrativa, c’è forse competizione, manca la coesione, la visione dell’insieme che potrebbe essere la soluzione per dare la svolta allo stato di cose attuale”.
Che cosa le piace della città?
“La struttura di base della città è fantastica, il centro piacentiniano è bellissimo, ma vuoto. Prendiamo Piazza Dante che all’epoca, negli anni ’80 era molto più viva”.
Che cosa l’ha svuotata?
“Credo che molto sia imputabile ai centri commerciali. Un tempo le domeniche delle famiglie venivano organizzate tra le vie ed i parchi cittadini, adesso si va al centro commerciale”.
Che cosa non le piace della città?
“Il muro che hanno costruito fuori dall’autostrada e che toglie la visuale di Città Alta, si è trattato di uno scempio, come ce ne sono tanti. Spesso quello che si è fatto ha creato danni rovinosi”.
Se non avesse fatto questo lavoro?
“Mi sarebbe piaciuto fare la biologa e mi piacerebbe fare l’assistente di un’artista. Vivere accanto a loro significa percepire una vena di leggera follia”.
Tipo quella di Cucinelli, che paga i suoi dipendenti come se fossero manager?
“Lui è un genio, incarna proprio una leggerezza saggia. E’ generoso, è il suo modo di essere”.
La sua passione per la moda come è nata?
“Da quella per  l’accessorio, ho vissuto in mezzo alla passione artigiana di mio padre, che a Varese aveva questa piccola impresa di  pelletteria”.
Il capriccio modaiolo più costoso che si è mai levata?
“Una camicia bianca che mi piaceva, ma non era nemmeno un granché. Sono arrivata alla cassa e ho scoperto che costava 920 mila lire. Erano ancora i tempi della lira. Fu una follia. Ma il capo che mi sono goduta di più è stato un impermeabile di Chanel, 3 milioni e mezzo ben spesi”.
Un consiglio di dress code…
“Una bella giacca, magari gessata blu, o nera o un trench di Saint Laurent o di Prada”.
Mi dica come vestirebbe le donne istituzionali bergamasche…Claudia Sartirani
“Viene in negozio spesso, le piacciono belle camicie, pantaloni, giacche.. Così vestita la trovo molto elegante”.
L’assessore al commercio, Foppa Pedretti?
“Anche lei è una mia cliente, malgrado gli scontri che abbiamo avuto sui chiringuiti delle Mura. Quando, a giugno, mi ha comunicato la ferale notizia che l’iniziativa si sarebbe ripetuta ho alzato i tacchi e me ne sono andata e lei si è molto offesa”.
Lei ha scritto anche al sindaco Tentorio. Che cosa la infastidisce tanto di questa iniziativa?
“Da quando si organizza questa cosa io non riesco a vivere la mia casa, certe sere non riesco nemmeno ad uscire dalla porta”.
Abita in uno dei palazzi più belli della città. E’ un gran bel lamentarsi…non trova?
“Per l’amordiddio, mi rendo conto di essere fortunata ad abitare lì, ma è una casa che è frutto di un duro impegno. Intendiamoci: la gente che si diverte a me fa piacere, ma esistono posti più adatti rispetto alle Mura, spazi più ampi fermo restando che Bergamo è una città scomoda, penso ad esempio ai Torni”.
Che look per il sindaco Tentorio?
“Non me lo vedrei in altro modo che con un abito grigio”.
E per il presidente di Ubi Banca, Moltrasio?
“Beh, ad un suo cambio di look si potrebbe anche lavorare. Ma bisogna sempre tener conto della personalità della persona da vestire”.
Gli uomini non  interpretano la moda ma dei ruoli…
“Quelli che sanno davvero interpretare la moda in ambito maschile sono i gay, che comprano come le donne, cioè per cambiarsi. Un uomo che lavora si veste di grigio, salvo poi tornare a casa la sera e mettersi in pantofole”.
Che tristezza…
“Qui da noi non c’è neanche il mare che mette allegria. Ci sono le montagne attorno, al massimo il look può cambiare nelle scarpe. Ci si infilano le pedule ma quello che sta sopra resta sempre uguale”.
L’eleganza è…
“Sapersi vestire. L’abito fa il monaco, eccome”.
Ha qualche rimpianto?
“No, ho vissuto la vita che volevo”.
Come guarda al futuro?
“Sono in una parabola discendente della mia vita, ma la valuto con serenità. Non sono preoccupata per quello che accadrà .I miei genitori mi hanno insegnato a stare serena”.
Lei che mamma è stata?
“A detta dei miei figli un disastro. Ma ho dato loro il meglio di quello che potevo”.
E’ innamorata?
“Sì della vita. Amare dà sofferenza l’ho imparato con il tempo. Meglio l’amicizia, un valore da salvaguardare a tutti i costi, anche quando il rapporto vira verso l’amore. E’ una barriera che non supero più”.
L’uomo più importante della sua vita?
“Il padre delle mie figlie. E’ stato il miglior compagno per quel tratto della mia vita”
Provi a dare una definizione di se stessa..
“Non sono caparbia, non vado contro le cose. Anzi, le cose mi devono venire incontro. Sono diventata anche un po’ fatalista. Certe volte mi arrovello: devo decidere cosa fare entro domani, mi dico. Poi il giorno dopo le soluzioni arrivano. Ho imparato ad essere meno ossessionata dalle risposte. Le cose poi prendono, per incanto, una loro forma inaspettata”.
A chi deve dire grazie?
“A me stessa”. 
Tornasse indietro rifarebbe tutto quello che ha fatto?
“Non vivo di rimpianti. Forse uno solo: avrei dovuto cominciare prima a produrre qualcosa di mio”. 
Il più bel complimento ricevuto?
“I complimenti mi mettono a disagio”.
Il primo pensiero al mattino?
“Ce l’ho sempre fatta e ce la farò anche stavolta”