Omar Pedrini: “Sogno di creare un simposio per Gino Veronelli”

Cantante, scrittore, poeta, autore e conduttore televisivo, attore, docente di comunicazione alla Cattolica di Milano e persino vignaiolo. Omar Pedrini, ex leader storico dei Timoria, è una persona dai mille talenti, difficile da inquadrare in una sola definizione. Negli ultimi anni, per dire, ha pubblicato tre album da solista, portato in teatro la vita di John Belushi, scritto libri e colonne sonore per il cinema firmando collaborazioni importanti.
Stasera al Druso Cafè di Ranica chiuderà il tour “Senza Vento” che lo ha visto più volte nella Bergamasca e nelle prossime settimane sarà a teatro insieme all’attore Alessio Boni con “66-67”(le loro date di nascita), reading poetico-musicale dedicato alle canzoni leggendarie dagli anni ‘60 ad oggi.
L’abbiamo incontrato alla libreria Mondadori di Lovere per la presentazione del suo ultimo libro, Angelo Ribelle, dove era testimonial, con il vocal performer Boris Savoldelli, dell’Associazione Angelman (ai tanti talenti si aggiunge anche la sensibilità).
Cordiale, istrionico, colto, ci ha raccontato la sua vita, il suo amore per la terra, l’amicizia con Luigi Veronelli e Iginio Massari, le sue passioni a tavola e di quella volta che Ugo Tognazzi ha cucinato per lui.  

Che rapporto ha con il cibo?
Un rapporto strettissimo, legato alla mia infanzia. Mia mamma cucinava con gioia, mio zio è stato uno chef di Villa Paradiso sul Lago di Garda e mio nonna inventava i piatti con i prodotti che offriva la terra.

Qual è il ricordo più bello di quegli anni?
Mia mamma che mi porta a mangiare la brioche alla Pasticceria Veneto di Iginio Massari, era il mio premio quando avevo dei bei voti a scuola. Allora non era ancora popolare. Quando alzava la voce mi intimoriva. Oggi siamo amici, apprezzo la sua severità e il lavoro che fa. Dice che il salato è filosofia, il dolce scienza. Ho un altro ricordo che considero magico. Avrò avuto sette-otto anni e con la mia famiglia e degli amici eravamo andati in montagna a Marileva per festeggiare il Capodanno. In quello stesso albergo c’era anche Ugo Tognazzi. Una notte si offrì di cucinare per quanti erano ancora in piedi. Ho potuto così assaggiare il famoso “risotto alla Ugo”. Mi ha fatto innamorare dell’idea di mangiare di notte. Lo faccio spesso. In famiglia mi credono bulimico. La verità è che c’è un gusto davvero unico nel silenzio. 

È goloso?
In realtà preferisco il salato, ma non ditelo a Iginio.

A quali piatti non rinuncia?
Nasco vegetariano, ho cominciato a mangiare carne a 35 anni quando ho conosciuto Luigi Veronelli. Il salame mi appassiona. I miei fan lo sanno e spesso me lo regalano. Con Roby Facchinetti, che è un grande amico, discutiamo sempre su quale sia più buono tra quello bresciano e quello bergamasco. È più facile che troviamo un accordo sul calcio che sul salame (Ndr Pedrini è tifoso del Brescia, l’inno della squadra l’ha scritto lui).

È stato molto amico di Veronelli, che incontro è stato il vostro?
Ci volevamo molto bene. Diceva che ero il figlio maschio che non aveva avuto. Mi ha insegnato l’amore per le vigne, il rispetto per il vino. Credo che oggi tutto il mondo dell’enogastronomia sia in debito di riconoscenza nei suoi confronti. Sogno di creare un simposio con tutti i suoi più grandi amici e di ricordarlo, davanti a un buon bicchiere ovviamente.

Le ha trasmesso talmente tanta passione che è diventato vignaiolo…
Ho cinque filari di vino nel Chianti e soprattutto olivi, ma non ne faccio un business, li produco solo per la famiglia e gli amici.

Quindi ama il rosso?
Mi piace tutto il vino e sono “Ambasciatore” del Franciacorta. Quando nel 2004 sono stato premiato a Sanremo per il miglior testo, Simona Ventura sul palco mi chiese se a casa mi aspettavano con lo champagne per festeggiare. Ho risposto che mi aspettavano con il Franciacorta. Da allora ho le chiavi di tutte le cantine. Non ne approfitto mai però, faccio solo qualche visita alle cantine dei miei amici.

E in cucina come se la cava?
Cucino poco ma con amore. Vivo solo da quando avevo 19 anni, sono abituato a prepararmi i piatti. Niente carne né pesce, ma sono bravissimo con le uova e i primi. Faccio dei bei sughetti.

Nel 2009 ha condotto il programma Gamberock sul canale satellitare Gambero Rosso. Da allora le trasmissioni di cucina si sono moltiplicate e si parla moltissimo di cibo. Forse troppo?
Va bene che se ne parli. I programmi hanno fatto crescere tutti I ristoranti e la cultura del cibo e del vino. Credo comunque sia un fenomeno vicino a implodere.

Se potesse scegliere una persona qualunque al mondo, chi inviterebbe a cena?
Anni fa, quando me lo chiesero, risposi Matteo Arpe di Capitalia perchè era riuscito a diventare dirigente e Giulio Andreotti perché conosceva tutti i più grandi segreti. Oggi mi piacerebbe passare una serata con il mio amico Gianni Mura.

Chiude una tournée di grande successo, il suo ultimo libro Angelo Ribelle sta ricevendo grande consenso e nelle prossime settimane tornerà a teatro con un nuovo spettacolo. Ha ancora un progetto nel cassetto da realizzare?
Sono un uomo appagato. Mi manca la pittura, ma con i pennelli sono un disastro. Amo la contaminazione delle arti, mi piacerebbe avere nuove collaborazioni con altri artisti, bravi cantanti, scrittori, attori. Vorrei scrivere per il regista Mario Martone, adoro il cinema. Ma la mia passione più grande è la musica. Quando sono tornato a cantare dopo otto anni di fermo dovuti a seri problemi di salute sono stato felice.

Omar Pedrini con il vocal performer Boris Savoldelli – photo di Luca Patelli

 

Omar Pedrini al firmacopie durante la rassegna “Incontri d’autore” a Lovere – photo di Luca Patelli

 

Un momento della presentazione a Lovere del libro Angelo Ribelle (La Nave di Teseo)  

La foto di apertura è di Sara Ciommei

 


Antonia Klugmann, la cuoca che ama l’orto

Molti la ricorderanno a Masterchef dove è stata la prima giudice donna. I più fortunati per i suoi piatti creativi ed ecosostenibili. Antonia Klugmann, chef triestina, 40enne patron del ristorante L’Argine a Vencò, frazione di Dolegna del Collio, sul confine tra Italia e Slovenia, è una delle espressioni più interessanti della ristorazione italiana. E anche l’esempio di come in una manciata di anni si possa rivoluzionare la propria vita e passare dal fare la lavapiatti alla stella Michelin. Mica da tutti.

In realtà saresti dovuta diventare avvocato, cosa ti ha spinta a scegliere la cucina? I miei genitori e i miei nonni sono tutti laureati, lo studio è sempre stato importante nella mia famiglia e l’ho sempre vissuto non come un dovere ma come una cosa bella, un modo per realizzarsi. Iscrivermi a giurisprudenza era il percorso più corretto dopo che avevo fatto gli studi classici. Sapevo che avrei fatto bene qualsiasi lavoro perché sono una persona seria che si impegna. Ma mi sono chiesta: “sarò felice?”. Facendo l’avvocato tutto un aspetto legato alla mia creatività veniva sacrificato. Mi sono resa conto che le ore dedicate ai fornelli erano le più belle della giornata.

La tua famiglia come l’ha presa?
Quando ho detto ai miei genitori che volevo entrare nel mondo della ristorazione la loro prima domanda è stata: “E come si fa?”, allora non c’erano tante scuole e cuochi come adesso. Ho cominciato come cameriera e lavapiatti. Ho trovato uno chef nei Colli Orientali, ho capito che era di talento e mi sono appiccicata a lui come una zecca. Mi sono avvicinata tardi alla cucina, dopo cinque anni di apprendistato, ho aperto in pochissimo tempo il mio locale. Essere imprenditore mi permetteva di esprimere la mia creatività e di guadagnarmi da vivere sul campo.

Chi ti ha trasmesso l’amore per i fornelli?
Ho una famiglia molto variegata. Un nonno medico di origine ebraica con la moglie di Ferrara e un altro nonno, Antonio, pugliese con una moglie triestina. A tavola c’era un mix incredibile di ricette. Questa differenza culturale ha riempito la mia infanzia e mi ha fatto appassionare al cibo.

Quale piatto ami di più?
In punto di morte sicuramente chiederei lo spaghetto al pomodoro, come lo preparo io. Ma in base al periodo in cui mi trovo risponderei un piatto diverso. Gli chef di solito sono affezionati all’ultima ricetta, l’ultima che ho creato è una entrée di asparago bianco, bambù e nocciola.

Hai un dolce preferito?
Al ristorante non c’è un pasticciere, propongo i dessert che mi rappresentano. Ho una linea per le colazioni dove propongo ricette legate alla mia storia personale come la torta di mele di mia mamma, le marmellate. Per la sera l’ultimo dolce che ho inserito in lista è un semifreddo di ricotta con gelato di miele e polline, spugna di clorofilla fiori nascosti fermentati di ciliegio e sopra una cialda fatta con il polline.

Ti piace mangiare fuori?
Lo adoro, amo andare dai miei colleghi. Purtroppo ho poche occasioni perché quando il ristorante è chiuso lo sono anche gli altri. Tutte le mie uscite sono molto ben calcolate, le faccio combaciare con i miei impegni.

Sei stata il primo giudice donna di Masterchef, che esperienza è stata?
Mi ha messa in gioco sotto molti aspetti e mi ha arricchita moltissimo. Ho dovuto trasferirmi per un po’ a Milano, avendo più tempo libero mi sono messa a dieta e ho fatto sport. Ho lavorato su me stessa più che in altri momenti della mia vita.

Ti vedremo ancora in TV?
Non farò più Masterchef. Milano è troppo lontana dal mio ristorante dovrei sacrificarlo e non voglio. Il mio è un piccolo ristorante di provincia in mezzo alla campagna .Quando non ci sono è chiuso.

In televisione ti hanno definita “asburgica”, per il tuo stile rigoroso. Sei davvero così severa? A parlarti non sembrerebbe…
Credo di essere apparsa così perché da una donna ci si aspetta un atteggiamento materno. In realtà in cucina sono come gli uomini. Sicuramente hanno giocato anche il ruolo di giudice e le esigenze televisive. È un gioco.

Con chi hai legato di più, Bruno Barbieri, Joe Bastianich o Antonino Cannavacciuolo?
Sono tutti e tre ragazzi splendidi.

La tua cucina nasce dalla terra, cosa rappresenta per te l’orto?
Cucino quello che offre la natura. L’orto è fonte di ispirazione. Finché non si coltiva una verdura non si comprende quanta fatica c’è dietro. Per questo non voglio sprecare niente. Consiglio alle mamme di far coltivare ai propri bambini perché insegna a rispettare il cibo. Vedere i frutti che crescono in campo è bello e la bellezza è di ispirazione.

Cosa ha significato ricevere la stella Michelin?
È stata una felicità per tutta la famiglia e una spinta importante. È arrivata dieci mesi dopo l’apertura del ristorante. Sono proprio grata. È stato difficilissimo costruire il locale, ci sono voluti diversi anni ed è stata una scommessa aprire qui in Collio.

É uscito per Giunti il tuo primo libro “Di cuore Di coraggio”, ce lo racconti?
Ci sono 60 ricette che sono importantissime per me, quelle che abbiamo fatto al ristorante in questi anni. Mostro il lavoro che c’è dietro e riporto alcuni racconti che spiegano chi sono, come è nata la scelta di fare il cuoco. È un libro per tutti, non solo per i professionisti.

Foto di Francesco Orini Photographer

 


Cristina Donà: “Il miele è un cibo estremo’

È una delle voci più interessanti e raffinate della musica d’autore. In 20 anni di carriera ha realizzato 9 album e centinaia di concerti in Italia e in Europa firmando collaborazioni con artisti del calibro di Robert Wyatt, Francesco De Gregori, Afterhours, Subsonica, Irene Grandi, Stefano Bollani, Marco Paolini, Arisa e molti altri. Da molti anni vive in Valle Seriana con il marito, lo scrittore Davide Sapienza, e il figlio Leonardo. Ci ha raccontato delle sue passioni in cucina e di una certa Baitella che in questi anni è diventata la sua seconda casa. Il 14 giugno sarà in concerto con i Fishwreck, un gruppo di grandi jazzisti, con i quali presenterà “Sea songs” uno spettacolo imperniato su brani legati al tema dell’acqua (di autori quali Nick Drake, Radiohead, la stessa Donà e altri) presso il festival NoSilenz di Cigole (Brescia).

Che rapporto ha con il cibo? 
Mia nonna Bice con la quale sono cresciuta mi ha abituata a mangiare tutto. Era lei la cuoca di casa. Poi circa vent’anni fa mi hanno trovato una intolleranza al lattosio e ho dovuto rivedere la mia dieta. Questa cosa mi ha tenuta lontano dai dolci, ma non è stata una grande rinuncia, da sempre prediligo il salato.
Come si trova in cucina? 
In quanto viaggiatrice forzata dal lavoro sono una cuoca discontinua. Cucinare, come comporre una canzone, è un atto creativo, bisogna mixare ingredienti. Dopo la novità delle ricette on line sono tornata ai ricettari tradizionali, i libri hanno sempre un sapore diverso e sono più precisi per alcune cose. 
Qual è il suo piatto preferito?
Adoro i risotti, sarà per le mie origini venete. Amo molto anche il pesce, mio figlio e mio marito invece per niente. E ho una grande passione per lo zenzero.
È golosa? 
Amo mangiare ma con misura. Ho seguito molte diete, anche quella dei gruppi sanguigni e una rigorosissima a base di pollo. Avevo 19 anni, era impossibile da seguire.
Poi negli anni ’90 l’incontro con il libro sulle combinazioni alimentari è stata la grande svolta. Oggi cerco di limitare il più possibile la carne, in famiglia abbiamo un riferimento di fiducia per acquistarla. 
Durante i tour mangerà spesso fuori… 
Quando capita di dover pranzare se c’è tempo ci affidiamo a Tripadvisor o a locali che conosciamo già. Ma a volte ci tocca l’autogrill. 
Prima di un concerto ha un menu particolare? 
Chiedo sempre riso in bianco e verdure grigliate o cotte, anche quando capito in ristoranti con menu molto ricchi. Non posso mangiare molto prima di un concerto. Mi guardano come fossi malata.
Preferisce la trattoria o il ristorante?
Se devo scegliere scelgo la trattoria. Spesso è sinonimo di qualità a buon prezzo. La cucina molecolare non fa per me, è una filosofia diversa. Io sono abituata alla cucina rustica, prediligo i cibi meno lavorati. 
Ha un ristorante preferito nella nostra provincia?
La Baitella a Songavazzo, è la mia seconda casa. Nel tempo, con la mia famiglia da clienti siamo diventati amici del titolare, Renzo. Fanno una cucina del luogo, molto abbondante, ma ormai mi conoscono e riducono le porzioni.  
Le piace il vino o preferisce la birra?
Amo il vino rosso, ne bevo pochissimo ma me lo godo proprio. Mai a pranzo, sennò mi addormento. La birra l’ho scoperta tardissimo, nel ’90 durante un viaggio da sola in Irlanda da degli amici. Preferisco le Weiss.
Ha un ricordo speciale legato alla cucina? 
Ricordo me bambina che aiuto mia nonna Bice a fare i cappelletti, il baccalà e la polenta bianca come la faceva lei. Mi coinvolgeva molto. 
C’è una cucina regionale che ama particolarmente?  
La cucina siciliana è la mia preferita per il connubio pesce-verdure di qualità. Della cucina sarda apprezzo i dolci che non hanno burro. Di recente, grazie a degli amici, ho scoperto la cucina marchigiana. È veramente ricca: quando vado da loro alzo bandiera bianca.
Chi inviterebbe a cena e dove lo ospiterebbe?
È un desiderio irrealizzabile. Lucio Battisti e Fabrizio De Andrè, dai testi agli arrangiamenti, sono un riassunto dei valori della musica. Li porterei alla Baitella oppure Da Cesira un ristorante all’inizio della Valle di Scalve dalla vista incredibile. Inviterei anche mia mamma, ha 87 anni, sarebbe una conversazione surreale. 
Il cibo ha mai ispirato la sua musica? 
Un mio brano poco conosciuto dell’album Nido si intitola ‘Cibo estremo’. È nato all’inizio della mia ricerca sulle influenze che l’alimentazione ha sulla nostra salute. Scrivo che il cibo ha personalità. Ad esempio, il miele è un alimento estremo, se non si consuma diluito.
Le piace ascoltare musica mentre mangia? 
Trovo sia solo un escamotage per coprire la conversazione. Se entro in un pub e la musica è molto alta esco subito. Sei obbligato ad alzare la voce a lungo ed è una delle cose peggiori per un cantante.
Le capita di mangiare mentre scrive?
Le tisane e il tè verde mi aiutano a concentrarmi. Li bevo senza zucchero e da tempo ho eliminato quelli industriali. Sono talmente fanatica che le mie amiche per i miei 50 anni mi hanno regalato un bollitore.