Siamo scesi in piazza per ribadire le ragioni di una categoria calpestata dalle nuove restrizioni

Bergamo ha partecipato con grande orgoglio al flash mob “Siamo a terra”, la manifestazione organizzata da Fipe Confcommercio in 24 città italiane e nella quale Bergamo è stata invitata come luogo simbolo della lotta al Covid. La partecipazione sul Sentierone di numerosi ristoratori, baristi e gestori di pubblici esercizi nella mattinata del 28 ottobre ha rappresentato l’occasione per ribadire le ragioni della categoria nuovamente colpita dalle restrizioni del Governo.

Il motivo che ci ha mosso alla partecipazione non è economico.

Siamo scesi in piazza, pur consapevoli che la partita della chiusura serale era già persa con l’entrata in vigore del DPCM, mentre quella economica aveva già avuto risposta la sera precedente con la pubblicazione del nuovo Decreto Legge.

Ci preme invece il riconoscimento del ruolo delle nostre piccole e medie aziende del settore, calpestate da questa chiusura. Abbiamo portato avanti la nostra iniziativa come battaglia di civiltà. Crea amarezza aver ascoltato che la ristorazione, il commercio nei centri commerciali, la cultura, lo sport e il turismo siano sacrificabili per la “non essenzialità dei servizi”. Peraltro a fronte del riconoscimento che il mondo intero attribuisce alla cucina e all’ospitalità italiana. Cinema e teatro sono insorti quanto noi contro il decreto di chiusura ed hanno alzato il livello di sensibilità dell’opinione pubblica.

Ora i sostenitori delle chiusure spostano l’enfasi sull’obiettivo di limitare le occasioni di contagio. Anche in questo caso con argomentazione opinabili.

Purtroppo le misure stabilite non funzioneranno. Non si fermeranno la socialità e la relazione chiudendo le attività serali senza bloccare a casa le persone. I giovani possono non andare al centro commerciale ma si frequenteranno altrove. Appare strano che i locali chiudano alle 18 e le persone possano circolare (in Lombardia), anche in gruppo, fino alle 23.

Proprio perché siamo convinti che non siano  i locali i vettori del contagio temiamo che la loro chiusura serale non fermerà la curva del contagio. Per quanto detto, si tratta per noi di palliativi. Al Governo non resterà che chiudere il commercio e la ristorazione anche in orario diurno, mandando la gente ad affollare i supermercati e a mangiare insieme negli uffici e nelle aziende prima di pensare a nuove e maggiori restrizioni. Quando l’elenco dei capri espiatori terminerà, occorrerà che la politica faccia nuove scelte.

Prima del nuovo e non auspicabile lockdown che rappresenterebbe il fallimento della politica, dovranno essere affrontati i nodi lasciati irrisolti per mesi: trasporti, scuola e sanità. Su questi punti nevralgici gli imprenditori non c’entrano, mentre sono mancati i decisori politici. Vedremo se qualcuno se ne assumerà le relative responsabilità o se, come sempre in Italia, nessun farà un passo indietro.

Noi nel frattempo abbiamo deciso di protestare nel rispetto dell’ordine pubblico e delle istituzioni. Alcuni ci hanno criticato sostenendo che avremmo dovuto essere più duri e coraggiosi oppure dovremmo fare di più e meglio. Siamo consapevoli dei nostri limiti e cercheremo di essere più efficaci. Attendiamo anche di condividere le proposte di altri. Siamo disponibili a collaborare per altre iniziative che senza strumentalizzazioni politiche aiutino la causa di coloro che stanno subendo i danni della chiusura.

Ringraziamo per ogni contributo economico perché quando si ha “sete”, ogni goccia è preziosa. Il lockdown di marzo ha spinto i piccoli imprenditori ad attingere ai propri risparmi e all’indebitamento bancario. Ora lo spazio sul ricorso alle loro tasche è terminato.

Il Governo ha emanato il Decreto Legge 137 con il tempismo richiesto. Ne prendiamo atto, con l’auspicio che i soldi siano versati sui conti correnti al più presto.

Per la maggioranza degli operatori d’impresa bar e ristoranti sarà tra i 2.000 e i 5.000 euro. Per dignità, non chiamiamolo ristoro. Il contributo, sommato a quello della primavera raggiungerà il 4/5% del volume d’affari annuale e il15/17% del volume dei tre mesi di chiusura totale e parziale dall’impresa.

Pur sgravata dal costo del personale (ammortizzatori sociali per i dipendenti) e dai canoni di locazione (che comunque è in credito di imposta) l’impresa sarà sgravata solo da una parte dei suoi costi fissi e non ci sarà spazio ad alcuna remunerazione del titolare e dei suoi familiari.

Come sopravvivranno durante questo periodo? Sono sempre di più i titolari di impresa che si vorrebbero essere ammessi alla Cassa integrazione riservata ai loro dipendenti.