nella foto: Mario Scaglia
“È inutile piangersi addosso, bisogna darsi da fare. Il mondo è cambiato radicalmente e non si può pensare di agire come si è fatto negli ultimi trent’anni”. Mario Scaglia, 78 anni, Cavaliere del lavoro, una vita dedicata alla meccanica nell’azienda che presiede, la Scaglia Indeva di Brembilla, in fatto di economia la sa lunga. E appena si fa un timido accenno alla crisi, lui si mostra immediatamente refrattario ai luoghi comuni. “Troppo è già stato detto sull’argomento – esclama l’imprenditore -. Il punto è che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e ora ne dobbiamo sopportare le conseguenze. Cerchiamo almeno di tenere in piedi l’esistente”. Ma in un simile contesto, molti imprenditori preferiscono emigrare piuttosto che investire in un territorio che non dà frutti. E il rischio di un ulteriore depauperamento delle risorse rimaste è dietro l’angolo: “Oggi è impossibile pretendere che rimangano qui delle aziende che hanno alti costi strutturali e di manodopera con difficoltà burocratiche infinitamente peggiori di quelle che possono trovare altrove – dice Scaglia -. Servono condizioni che aiutino le imprese a sopravvivere, altrimenti ce la fanno solo gli appassionati come noi Scaglia, che cerchiamo di restare avvinghiati al nostro brandello di territorio. Però chi deve aprire un’attività ex novo di certo non viene da noi”.
Ma le opportunità qui non esistono o non sappiamo coglierle?
“Dipende. I miei figli in azienda a Brembilla stanno cercando quattro ingegneri anche neolaureati e non li trovano. Se si va a Milano ormai più della metà delle edicole è gestita da extracomunitari perché gli italiani non hanno voglia di alzarsi presto la mattina. Nei ristoranti delle grandi città idem, i camerieri sono quasi tutti stranieri, perché questi orari elastici all’italiano non vanno bene. Studiare è fondamentale, così come sapere l’inglese, ma non bisogna vergognarsi di iniziare dal basso. Poi, se uno è bravo, crescerà”.
Ci sono anche molti giovani che hanno idee creative e danno vita a start up di successo…
“Tanti ragazzi hanno delle buone idee ma hanno grosse difficoltà a metterle in piedi. Io non l’ho fatto personalmente, ma so cosa hanno penato i miei familiari per farlo, tra regole per l’agibilità, il capannone e via a seguire. In questo campo servono le riforme. Le idee ci sono ma o siamo più bravi, più furbi e intelligenti degli altri o altrimenti le possibilità in Italia non esistono. Ci sono tanti altri Paesi appetibili. Io ho due nipoti che stanno studiando negli Stati Uniti e mi dispiacerebbe che rimanessero là. D’altronde sono attirati da un sacco di possibilità che qui non abbiamo”.
Il problema dei finanziamenti da parte delle banche frena l’intraprendenza di molti imprenditori che vorrebbero mettersi in proprio ma che non hanno i fondi per farlo?
“Io non sono poi così sicuro che le banche siano tanto rigide come si dice. In fin dei conti le banche hanno bisogno di collocare il loro denaro. Ci sono degli azionisti che a un certo momento vogliono che il loro denaro ritorni. È ovvio che serve un minimo di garanzia. Non posso andare a chiedere un prestito senza niente in mano per dei progetti che non stanno in piedi”.
I programmi scolastici secondo lei sono troppo teorici?
“Non lo so e non li conosco. Però, per esempio, noi Scaglia abbiamo finanziato un corso di inglese di tre anni per i bambini della scuola materna di Brembilla. Così poi i bimbi portano a casa il dischetto ai genitori, lo ascoltano insieme, e poi chissà…”.
I tirocini in azienda per i ragazzi alle prime esperienze sono utili?
“Noi a Brembilla li abbiamo sempre fatti. Già quarant’anni fa, durante le vacanze, gli studenti venivano da noi a fare praticantato, così quando terminavano il ciclo di studi già avevamo collaudato i ragazzi, li avevamo preparati al lavoro. In questo piccolo paese c’è un pendolarismo attivo in entrata di 600 persone. Questi sono dei miracoli. A Brembilla negli ultimi trent’anni c’è sempre stata la piena occupazione. Oggi questa affermazione comincia un po’ a perdere colpi. Comunque le famiglie devono mettersi in testa che i loro figli devono studiare, andare all’università perché le figure professionali che servono di più sono gli ingegneri, i chimici, gli informatici”.
Oltre a presidente dell’azienda di famiglia, la Scaglia Indeva di Brembilla, lei è anche Cavaliere del lavoro…
“Sì, un’onorificenza immeritata”.
Beh, dai, le farà comunque piacere…
“È un riconoscimento che si dà ai vecchi sciòr. Scherzi a parte, è un premio che inorgoglisce e dà la carica, la forza di continuare e di mantener vivo quell’entusiasmo che l’età tende un po’ a smorzare. Di recente, per esempio, ho deciso di creare una Fondazione dedicata a mio padre per incentivare la cultura del lavoro a Brembilla e nella sua valle”.
Tra circa un anno Milano si prepara ad accogliere l’Expo 2015. Pensa che l’evento riuscirà a portare una ventata di aria fresca anche all’economia bergamasca?
“Sicuramente l’Expo porterà una ventata per l’economia di tutto il capoluogo lombardo, non solo per l’indotto che genererà ma anche per le numerose opere che si stanno realizzando per agevolare questo evento. Vedi ad esempio la metropolitana milanese, la Brebemi, la Pedemontana, tutte opere la cui realizzazione è stata accelerata proprio in vista dell’Expo”.
Quali sono le potenzialità e i limiti di una città come Bergamo?
“In tutta sincerità, Bergamo in pieno pomeriggio è una desolazione con questi bar, anche belli, ma deserti e i negozi vuoti. È sempre stata una città dal carattere mitteleuropeo, un po’ rigida. Però di recente l’ho vista davvero morta. E quando è viva lo è solo grazie alle bancarelle. L’altro giorno, come spesso faccio quando vengo a Bergamo, ho messo il naso dentro la chiesa di San Bartolomeo per osservare ancora una volta bellezze come la pala del Lotto o Fra’ Damiano Zambelli, e ho incrociato tre stranieri che per guardare gli intarsi dovevano chinarsi con una pila in mano. Di bellezze ne abbiamo tante nel nostro territorio, ma dobbiamo valorizzarle di più. Bergamo deve sprovincializzarsi”.
Il momento più difficile che ha attraversato in questi anni?
“Quando nel 2009 ho dovuto mettere in cassa integrazione un po’ di operai. Ho lottato fino alla fine per salvarli ma sono stato costretto a lasciarli a casa, seppur a malincuore”.
La più grande soddisfazione?
“Ne ho avute tante, sono stato molto fortunato anche perché ho avuto accanto una famiglia che mi ha sempre supportato. Ho fatto il pendolare tra Brembilla e Milano e mia moglie ha saputo gestire la situazione con grande dolcezza e tenerezza. Anche i miei figli sono stati bravissimi: due sono riusciti a prendere in mano le aziende e a mandarle avanti meglio di me, il terzo fa l’avvocato penalista. C’è armonia tra noi e le tensioni, quando ci sono state, sono sempre state superate con molta civiltà e serenità”.
Ingegnere meccanico con il pallino dell’arte
Giunta alla quinta generazione, la Scaglia Indeva ha quasi due secoli di storia alle spalle (è stata fondata nel 1838) e un lungo bagaglio di esperienza in fatto di fornitura di macchine, sistemi elettronici e pneumatici per la movimentazione dei carichi in impianti industriali. Provenienti dalla Valle Imagna e abili artigiani della lavorazione del legno, dai rocchetti alle anime di bottoni, gli Scaglia si stabilirono a Brembilla già alla fine del Settecento. Fu l’inizio di una lunga tradizione che prosegue ancora oggi con successo. Laureatosi in Ingegneria meccanica al Politecnico di Milano nel 1958, Mario Scaglia è entrato in azienda nel 1960 e fino al 2003 ne è stato presidente e amministratore. Da quando ha lasciato le redini ai figli Stefano e Riccardo, l’imprenditore oggi coordina le imprese del gruppo con 750 dipendenti e 111 milioni di fatturato. Dal 2000 Mario Scaglia, che è un grande appassionato e collezionista di opere d’arte, è presidente della Gamec, mentre dal 1987 al 1993 lo è stato dell’Accademia Carrara. Sindaco di Brembilla dal 1975 al 1980, è presidente onorario della casa di riposo del paese e lo scorso anno ha ottenuto dal capo dello Stato Giorgio Napolitano il riconoscimento di Cavaliere del lavoro.