Montanari ai giovani: “Leggete. Così capirete meglio la vita”

Montanari ai giovani: “Leggete. Così capirete meglio la vita”

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Raul MontanaariUna Milano di periferia, i lontani Anni 80 e la storia di un’amicizia che nasce e finisce in modo improvviso e drammatico. Il Regno degli amici, l’ultimo romanzo dello scrittore bergamasco Raul Montanari (alla Libreria Mondadori di Lovere il primo agosto) è una celebrazione dell’adolescenza. Racconta l’estate di un gruppo di sedicenni di cui descrive i primi batticuore, le timidezze, gli slanci di passionale violenta, gli entusiasmi. Nel deserto agostano milanese scoprono e occupano una casa abbandonata, sulla riva del naviglio della Martesana. La chiamano Il Regno Degli Amici. Ci vanno per bere birra, fumare, leggere fumetti, sentire musica, felici semplicemente di avere un posto solo per loro e di stare insieme. «A quell’età – scrive Montanari – contempli la vita con una purezza che non avrai mai più, senza sporcarla con miserie accessorie – vecchiaia, malattia, come starò, chi ci sarà al mio capezzale. Poi, quando il futuro è arrivato, scopri che la felicità vera era quella che avevi vissuto allora. Avevi scambiato l’esecuzione per i preparativi: quella a cui avevi assistito a quindici anni non era la prova d’orchestra. Era già il concerto». Gli abbiamo chiesto di parlarci del romanzo, ma soprattutto di questa età magica nella quale tutto è possibile.

Perché ha deciso di scrivere un romanzo sull’adolescenza?

«È un’età interessante per molti motivi, che la rendono diversa da qualunque altra età. Innanzitutto è l’età in cui incontri il vero te stesso per la prima volta. Da adolescente scopri chi sei, se sei coraggioso, se sei vigliacco. Scopri i tuoi punti di forza, i tuoi sogni, le tue paure. Da ragazzo fai un’ipotesi su di te adulto che assomiglia molto a quello che sarai. Tu, lì, diventi quel te stesso che rimani poi nei decenni».

Gli altri motivi quali sono?

 «Da adolescente ti fai domande che poi non ti fai più: su te stesso, Dio, la morte, il destino. Prima non te le poni perché non hai ancora coscienza. Poi non hai spazio mentale per fartele, preso come sei dalle incombenze quotidiane. Quando sei più grande vedi i tuoi genitori che invecchiano e pensi più alla vecchiaia che alla morte. Un adolescente può essere infelice, un adulto è triste. Inoltre l’adolescenza è un ring di pugilato dove si scontrano l’amore e l’amicizia. Si entra nell’adolescenza con l’amicizia e si esce con l’amore. La legge dell’amicizia è quella della condivisione, quella dell’amore è la legge dell’esclusività. Nel romanzo è proprio il desiderio di Demo di vivere un rapporto esclusivo con Valli che porta al disastro e alla fine dell’amicizia e del regno degli amici».

Nel regno degli amici i protagonisti si scambiano confidenze, letture, ma soprattutto sperimentano le prime libertà. Oggi per i ragazzi è ancora possibile avere un regno degli amici?

«In città oggi questa possibilità è limitata, per una questione di spazi urbani. È difficile anche trovare un luogo dove giocare a palla. Ora per il gioco ci sono posti organizzati. Racconto sempre storie ambientate nella periferia e non solo perché sono cresciuto a Niguarda, ai margini della città. I piccoli paesi e la periferia quello che perdono in innovazione culturale lo guadagnano nella capacità di offrire spazi di avventura».

Perché ha ambientato il romanzo nel 1982?6036637_358114

 «L’82, con la vittoria dei mondiali di Spagna, è stato una grande festa che è sembrata cambiare tutto e chiudere gli anni bui e duri di Moro e del terrorismo. Si aveva l’impressione gioiosa di entrare in un mondo più interessante e promettente per tutti. Avevo voglia di raccontare questa festa, questa sensazione che tutto poteva cambiare. Poi, come sappiamo, si è finiti nell’era del consumismo e del berlusconismo. Le tecnologie hanno sostituito le ideologie. Non c’è mai stata una generazione disperata come questa».

Nel romanzo non ci sono computer, né cellulari e la musica si ascolta dal mangianastri. Gli adolescenti di oggi cosa hanno in comune con i suoi protagonisti?

«Il computer e il cellulare sono i grandi assenti nel romanzo. Entrambi danno maggiore libertà dai genitori ma anche minore avventura: prima gli amici dovevi andare a cercarli, era più avventuroso perché poteva succedere di tutto. Alcune cose invece sono rimaste invariate: l’incontro con se stessi, il rapporto con l’amicizia e l’amore. Anche la mancanza di potere. Quando si è ragazzini sono gli altri che prendono le decisioni, almeno quelle importanti. Questa mancanza di indipendenza e autonomia è talmente tormentosa che si ha solo voglia di lasciarsi alle spalle l’adolescenza. In quell’età non credi affatto di essere felice. Ti accorgi dopo che lo eri. L’avventura di Demo e dei suoi amici è così bella perché quando trovano la casa diroccata sperimentano un senso di potere e di libertà. Nel regno fanno anche le pulizie di casa perché non è un’imposizione ma una decisione presa insieme, in modo democratico».

Cita molto spesso I promessi Sposi. Ha ancora senso proporre ai ragazzi questo romanzo?

«I Promessi Sposi sono l’unico libro che abbiano letto tutti nella vita. Nemmeno Pinocchio ha questo primato. È l’unico patrimonio letterario che ci accomuna. Tanti si chiedono perché, dovendo proporre un classico, questo e non un altro. È come l’inno nazionale, non piace ma non si sa cosa mettere al suo posto. Quindi ci teniamo questo. In realtà I promessi Sposi, con la sua carrellata di personaggi, è un romanzo attualissimo. C’è una grande fotografia della vita, di come siamo noi. Le scene della folla rappresentano in maniera perfetta i troll di oggi; l’innominato è l’antesignano di tante figure noir tormentate. Pochi lo sanno ma è stato il modello del Conte Dracula di Bram Stoker. Certo andrebbe raccontato in maniera più interessante e più divertita, senza stare troppo a sottolineare il messaggio della morale cattolica del povero che deve sopportare senza ribellarsi perché c’è la provvidenza. E andrebbe riletto dopo la scuola, per poterlo apprezzare».

Dia un buon motivo ai ragazzi per leggere.

«In realtà ci sono un sacco di buoni motivi per non leggere: innanzitutto la lettura è faticosa, richiede giorni e giorni quando per guardare un quadro bastano una decina di minuti. Inoltre è antisociale. La musica e il cinema li si ascolta e lo si vede con gli amici. Stare su facebook con gli amici è più divertente. La lettura è un atto di solitudine, è una cosa che si avverte molto sottrattiva, poco sociale. Questi sono gli aspetti che rendono la lettura una scelta coraggiosa. Si deve leggere perché non c’è niente al mondo che entra nella mente umana, nei sentimenti, nei meccanismi con cui viviamo la vita come i libri. Solo i libri possono raccontare dall’interno i personaggi. Un romanzo può entrare per centinaia di pagine nelle emozioni del protagonista, il cinema, ad esempio, non lo può fare. Una persona che legge poco è una persona che si affida solo alla sua vita, alle sue esperienze per capire gli altri. Con l’aiuto dei libri si capisce molto di più».

Quali sono a suo avviso quattro romanzi che dovrebbero leggere.

«I Promessi Sposi, non come lettura obbligata, ma per divertirsi. L’isola del tesoro di Stevenson, uno dei più grandi libri scritti sull’adolescenza, perché è pieno di sogni e fa capire il fascino del male. È importante perché poi nella vita non si rimane sorpresi quando capita di imbattersi in persone affascinanti ma negative. Del ‘900 consiglio Il cavaliere inesistente di Calvino, è il suo capolavoro, bellissimo, geniale. Infine, i Racconti di Edgar Allan Poe, l’esplorazione affascinante e divertente degli abissi dell’anima che si incontra anche nelle canzoni, nei fumetti».

Quando finisce la giovinezza?

«Quando uno comincia a rassegnarsi, quando si smette di pretendere dagli amici la fedeltà, la correttezza, quando ti dici: pazienza, non si può avere di più, che è anche saggezza. Come ha scritto Pontiggia “la maturità è rassegnazione”. Uno dei doveri verso noi stessi è di custodire l’adolescenza man mano che gli anni passano, non permettere che la vita, l’esperienza ci renda troppo consapevoli, troppo esperti. È come un fuoco che va tenuto acceso. Quando prendi lo specchio devi rivedere lo stesso viso di quando eri ragazzo».

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