Più o meno quando gli Ateniesi stavano combattendo contro i Persiani, tra Salamina e Platea, in Cina un signore che si chiamava Confucio stava elaborando un sistema di pensiero piuttosto interessante, basato, essenzialmente, su di una visione saggia e pacifica della vita. Se in riva al fiume vedi qualcuno che ha fame non regalargli un pesce, ma insegnagli a pescare, diceva il nostro cinesino: se un uomo ti chiede del riso, non dargliene una ciotola, ma insegnagli a coltivare la terra. E’ un ragionamento talmente piano, ovvio, sensato, da non necessitare di grandi spiegazioni: i più grandi pensatori della storia si esprimevano così, in modo da fare comprendere, anche ai meno attrezzati, verità talvolta assai complesse. L’esatto contrario di quel che accade oggi, quando il più miserabile dei ripetenti ginnasiali si riempie la bocca di altisonanti polisillabi, per stupire, annientare, meravigliare l’interlocutore. Che, in compenso, non capisce nulla di quel che gli si dice.
Ordunque, partiamo da Confucio ed arriviamo a noi. La soluzione finale, epocale, millenarista, del problema dell’immigrazione non può che essere una: importare in Africa un modello di sviluppo che permetta a quelle popolazioni di vivere in pace e con la pancia piena a casa loro. Naturalmente, c’è qualche controindicazione: innanzitutto, il fatto che, per realizzare una specie di gigantesco piano Marshall per l’Africa ci vogliono risorse enormi, che al momento scarseggiano, e tempi medio-lunghi, che oggi, ahinoi, non abbiamo. Va da sé che, poi, bisognerebbe un tantino intenderci sul modello di sviluppo: esportare il modello fastfood, il “produci, consuma, crepa”, non sarebbe aiutare l’Africa, ma l’America, creandole un nuovo mercato bello e pronto. Inoltre, in Africa, prima di far partire gli aiuti sostanziali, si dovrebbe accertare in che tasche finirebbero questi aiuti, giacché, da almeno cinquant’anni, i soldi della cooperazione internazionale ingrassano ducetti e dittatorelli vari, sempre pronti ad indossare giganteschi orologi d’oro e a farsi la guerra.
Quindi, si dovrebbe prima stabilizzare il continente: ossia l’esatto contrario di quello che hanno sempre fatto i paesi occidentali, che, coi suddetti dittatorelli, fanno affari formidabili. Insomma, bisognerebbe invertire la rotazione terrestre, da un punto di vista geopolitico: campa cavallo! E, infine, c’è l’emergenza: grazie alle disastrose campagne euromericane, alle primavere arabe e a tutto l’assortimento di stati canaglia messi in piedi dalla Cia per giustificare il bilancio dell’Unione in materia di armamenti, noi l’Africa ce la troviamo alle porte, che freme, si agita ed urla, chiedendo di passare. E il problema è un problema italiano: non illudiamoci e non diamo retta alle fanfaluche del duo comico Mogherini & Renzi, che, in Europa, viene considerato per quello che è, ossia un gradino sotto Stanlio e Ollio e uno sopra i Fichi d’India.
L’Europa non è l’Italia, e le regole che si è data le fa rispettare: per i Francesi o gli Spagnoli, un clandestino è un clandestino e un rifugiato è un rifugiato. Siccome siamo noi la sponda di sbarco, siamo noi che dobbiamo, immediatamente e capillarmente, distinguere tra le due categorie, accogliendo e smistando nel continente i profughi e respingendo senza tentennamenti chi profugo non è: tutta la confusione semantica creata ad arte da certi politicanti, di sicuro, non aiuta a comprendere l’entità del problema. Però, rimandare a casa un esercito di clandestini non è praticabile oppure sarebbe costosissimo: quindi, si creino dei centri di selezione sulle sponde africane, sotto la bandiera dell’Onu. Così, almeno, avremmo la sensazione che il carrozzone nuovayorkese serva a qualcosa. Lì, si dovrebbero identificare tutti i migranti, definirne lo status, sottoporli a controlli medici e, nel caso, avviarli verso le nostre coste, da cui spiccherebbero il volo per le varie mete europee. Anche in questo caso, però, la logica si scontra con l’interesse di chi, sull’arrivo di milioni di poveracci, mangia, beve e gavazza, magari tenendoci sermoncini sulla bontà e l’accoglienza.
Dunque, concludendo, le soluzioni sono lì, da vedere: tra noi e loro, però, si erge un muro di sordidi interessi, nazionali, continentali e personali. In definitiva, l’emergenza immigrazione, per qualcuno è effettivamente un’opportunità, come ci vanno belando le vestali del terzomondismo: però, per tutto il resto degli Italiani è semplicemente la peggior catastrofe sociale che ci si sia presentata davanti, dal tempo di Alarico e di Alboino. Nel frattempo, mentre noi affondiamo, governati da un manipolo di inetti e di delinquenti, gli eredi di Confucio se la ridono, aspettando il momento buono per prendersi tutta la posta. La soluzione? Quella vera? Una rivoluzione culturale, direbbe Mao Dse Dong, che, non a caso, Confucio se l’era studiato per benino.