“Medichesse”, presentato il libro sulle donne curatrici

“Medichesse”, presentato il libro sulle donne curatrici

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Medichesse libroSe nel corso della storia gli uomini hanno dominato l’universo delle parole, le donne hanno avuto potere sul mondo delle cose. Dagli intrugli più oscuri delle dee mitologiche alle erbe benefiche di sacerdotesse guaritrici, la lista di personaggi femminili che in epoche passate hanno custodito i segreti di medicine e piante officinali è assai lunga. Ed è proprio partendo da questi antefatti che la scrittrice Erika Maderna ha tratto ispirazione per la stesura del suo saggio “Medichesse. La vocazione femminile alla cura”. Pubblicato dal centro studi di Aboca Museum, il libro è stato presentato per la prima volta a Bergamo il 4 novembre scorso al Centro congressi Giovanni XXIII in occasione di un evento culturale realizzato in collaborazione con “EDN for Culture”, Associazione culturale “Orbiter” e Lions Club “Colleoni”. È stato un momento in cui il pubblico presente in sala Alabastro è rimasto rapito da queste pagine avvincenti. Il testo, infatti, non è una semplice opera didascalica dedicata agli appassionati di medicina naturale ma un viaggio affascinante nel variegato mondo delle dee madri, delle sciamane, delle levatrici, delle maghe. Durante l’incontro alcuni stralci del libro sono stati letti con enfasi dall’attrice Silvia Barbieri e commentati dai giornalisti Antonella di Tommaso, Roberto Messina e Eugenio Sorrentino, da Catia Giorni del centro studi di Aboca Museum e da alcune medichesse moderne come Laura Baldini, odontoiatra della Clinica EDN di Bergamo, e Annapaola Callegaro, presidente del Lions Club “Colleoni” di Bergamo.

“Nei secoli l’universo femminile ha sempre assunto un ruolo prioritario nella terapia dei malati – ha spiegato l’autrice Erika Maderna, laureata in Etruscologia e Archeologia italica all’Università degli Studi di Pavia –. Le donne avevano un approccio empirico, fatto di conoscenze tramandate e tradizioni popolari, in contrapposizione con i metodi scientifici e accademici utilizzati invece dagli uomini depositari di cultura”.

La forza curativa femminile si sprigionava nei filtri amorosi delle fattucchiere, nelle manovre proibite dell’aborto applicate dalle ostetriche, nei medicamenti curativi che diventavano panacea di ogni male. Ma la cura, in epoche passate, era anche un mezzo di emancipazione. Basti pensare alla maga Circe e alla sua bella nipotina Medea, due simboli della cultura ellenica che lo stesso Omero aveva definito polifarmacos proprio perché cresciute a pane e pozioni magiche per sciogliere i cuori impavidi di eroici guerrieri. Per non parlare dell’ostetrica bizantina Metrodora che, nel suo trattato Sulle malattie delle donne, risolse non solo i delicati problemi dell’apparato riproduttivo femminile, ma anche disturbi legati a stomaco, malaria, traumi, reumatismi e cosmetica.

“Nel mio libro ho tradotto anche antiche ricette legate alla cosmesi – ha precisato la scrittrice che è anche esperta di archeologia classica e cosmesi nelle civiltà mediterranee antiche – Igea, per esempio, ci parla di una salute che passa attraverso igiene e pratica cosmetica. Sua sorella Panacea era colei che guariva tutti i mali. Le medichesse sapevano anche praticare l’aborto, conoscevano le erbe contraccettive. Le donne per tradizione dovevano essere assistite da altre donne per non morire di parto. Insomma, si occupavano di una sfera che, per tradizione, era inaccessibile all’uomo e le loro esperienze venivano poi tramandate alle sacerdotesse”.

In bilico tra pratica infermieristica e medica, anche  Radegonda, che scelse di dedicarsi alla vita monastica per emanciparsi da un matrimonio imposto, non esitava a sporcarsi le mani pur di rifocillare i poveri e curare le piaghe dei malati. Stessa cosa dicasi per Santa Fabiola: “Erano due donne benestanti che presero i voti, rinunciando alla vita familiare di moglie e madre e, per questo, godevano di grande rispetto nella comunità – racconta Maderna -. Nel primo cristianesimo la malattia era raffigurata come uno spirito del male che Radegonda riusciva a debellare con le erbe, la preghiera e l’esorcismo. La magia era un elemento forte che affondava le proprie radici nel sacro. Se non fossero state monache, Radegonda e Santa Fabiola sarebbero probabilmente finite bruciate al rogo. C’era poi Santa Ildegarda, la medichessa mistica e visionaria, che già in passato parlava del male oscuro, della malinconia, della depressione. Secondo lei era necessario creare equilibrio tra salute fisica, psichica e spirituale. E infine ho riportato le ricette di Caterina Sforza. A partire dal 1700 è cominciato un lungo processo, molto complesso e difficile, che ha portato le medichesse del passato a diventare le donne medico di oggi. Ma questa è un’altra storia che sicuramente merita di essere approfondita. Magari nel mio prossimo libro…”.