Gli intollerabili commenti su Fidel tra realtà e nostalgie giovanili
Come ho sempre sostenuto, noi non siamo pronti per la storia: troppo impegnati a fare il tifo, troppo disposti allo schieramento, per avere il senso dell’oggettività storica. Andiamo avanti da settant’anni con gli strascichi di una guerra civile che, in altri paesi, sarebbe stata digerita da almeno mezzo secolo: ancora oggi, in un mondo governato da ben altri meccanismi e con ben altri rischi totalitari, c’è gente che starnazza di fascismo e di antifascismo, accapigliandosi per proibire di qua, celebrare di là, mettere e levare cittadinanze, lapidi, corone di fiori. Siamo immaturi, storicamente parlando: ci manca quella capacità di affrontare sine ira et studio le capriole della storia e le insidie della memoria, tanto collettiva quanto individuale, che, in questo Paese, è una fonte tutt’altro che attendibile. Per questo, quando leggo i commenti di questo o di quel colore alla dipartita di Fidel Castro, una parte di me ridacchia divertita, mentre un’altra parte s’incazza come un bufalo. Il regime di Castro a Cuba, come tutte le dittature del Novecento, è stato un fenomeno complesso, da contestualizzare e da analizzare con pazienza e spirito scientifico: io dico che ci vorranno altri cinquant’anni, prima che lo si possa definire in una maniera storicamente accettabile. Ma che Castro sia stato un dittatore sanguinario e con un culto smodato della propria personalità, questo è sotto gli occhi di tutti: un assassino è un assassino e una viola mammola è una viola mammola, anche se l’assassino combatte contro il gigante Golia.
Invece, forse perché Castro, con la sua appendice, altrettanto sanguinaria ma assolutamente iconica, rappresentata da Ernesto “Che” Guevara, è stato il supereroe buono di tanti sogni adolescenziali di quelli che oggi fanno informazione in questo Paese, a leggere i giornali sembrerebbe che stessimo parlando di Batman e Robin. Facciamo a capirci, signori giornalisti: un conto è la nostalgia per i vostri formidabili vent’anni e altro è la realtà. Un conto è il vostro individuale e collettivo delirio dietro a bufale politiche come il Nicaragua, il Vietnam o Cuba ed altro è la sofferenza dei popoli, il massacro degli oppositori, la repressione della libertà. Io capisco che possa essere consolatorio illudersi di essere stati belli e puri, e di avere avuto ragione: ma avevate torto marcio, quando sostenevate alcune tra le più buie dittature del XX secolo, come avete torto marcio oggi a fare finta di essere tutti anime candide. Così, le rievocazioni dei barbudos che uno contro mille vincono, perché i buoni vincono sempre, viva la revoluciòn, hasta la victoria siempre, non raccontano che un pezzettino mignolo mignolo della Cuba di Castro: quello più presentabile, più accattivante.
Certo, il nano caraibico che sfida l’embargo del gigante americano fa simpatia: ma non si può trasformare questa istintiva simpatia in una formidabile fetta di salame sugli occhi. E dire che la sanità cubana è la migliore del mondo, tenendo conto dell’embargo e della condizione generale dell’isola, è una stupidaggine colossale: sarebbe come dire che il clima della Mauritania, tenendo conto della sfiga di avere un deserto proprio da quelle parti, è l’ideale per chi soffra di reumatismi. Insomma, esaminiamo pure la storia personale e politica di Fidel Castro con tutta la benevolenza possibile ed immaginabile, ma non trasformiamo il dato storico in una pochade: questo non può essere tollerato. Non lo si può fare per rispetto delle migliaia di persone che Castro ha fatto uccidere, scomparire, incarcerare: per gli oppositori, gli omosessuali, la gente qualunque che ha passato anni nelle carceri di cui, all’inizio, il responsabile era proprio il santo laico Guevara, e che non è mai uscita o ne è uscita per venire ammazzata. Esiste un pudore della storia, una dignità degli storici: oltre un certo limite non si può andare, perché sarebbe indecente farlo.
Giustificare i lager, i gulag, i laogai sarebbe indecente: giustificare Castro rientrerebbe nello stesso tipo di indecenza. Dunque, studiamola, questa rivoluzione cubana, facciamo confronti, collochiamola nel giusto contesto: ma celebrare un dittatore o, peggio, far finta di ignorare o dimenticare gli aspetti drammaticamente crudeli della sua dittatura, come hanno fatto tanti politici, scribacchini, mezzibusti e perfino il Papa, quello, lasciatemelo dire, è intollerabile. Dovrei pensare, allora, che tanta gente colta, preparata, importante, è talmente collusa con la sporcizia del potere da mentire per la gola: da assolvere un dittatore e condannarne un altro, in base al colore della dittatura? Non voglio crederlo: preferisco immaginare che, a caldo, prevalga la nostalgia per la propria stupidità giovanile, che ammettere di vivere in mezzo a tante carogne. E, infine, ho notato, sempre fra il divertito e l’incazzato, il necrologio di Castro pubblicato da “L’Eco di Bergamo” su mandato dell’associazione Italia-Cuba, come se fosse morto Bige Ramella, valente beccaccinista. Mi sono detto che, certamente, la pecunia, come dicevano i latini, non ha odore: ma, qui, di odori ne circolano altri, e tutti piuttosto intensi quanto a fragranza.