Giorgio Beltrami: “Siamo a terra ma non ci arrendiamo e chiediamo il rispetto per il nostro lavoro, per rialzarci in piedi”
“Siamo a terra, come in molte altre piazze italiane- ha sostenuto a gran voce il presidente del Gruppo Bar, Caffetterie, Pasticcerie Ascom Confcommercio Bergamo, Giorgio Beltrami- . Siamo a terra fisicamente, ma soprattutto economicamente. Quest’anno i pubblici esercizi lasceranno a terra 27 miliardi di fatturato e 300 mila posti di lavoro rischiano di scomparire definitivamente. 300mila posti e 300mila famiglie sono in bilico. Nella sola nostra provincia 5336 imprese sono obbligate ad abbassare le serrande alle 18. 13562 dipendenti , a seguito di queste restrizioni, rischiano il posto di lavoro. Tutto ciò è per noi inaccettabile. E’ un prezzo troppo alto e il conto rischia di pagarlo tutto il Paese. Un Paese che purtroppo si è drammaticamente dimenticato del valore del nostro lavoro, del ruolo fondamentale che ricopre nella costruzione dell’identità italiana, del valore simbolico, immateriale e non quantificabile che la nostra cucina, la nostra ospitalità, i nostri prodotti rivestono. E che continuano ad essere al primo posto tra le dieci caratteristiche che i turisti apprezzano nel nostro Paese. Tutto il mondo apprezza e invidia questo, ma il potere se ne dimentica troppo spesso. E così oggi ci ritroviamo qui a terra. Noi comprendiamo la tragica situazione di emergenza sanitaria, ma siamo stanchi di essere sempre considerati dal Governo come superflui, ogni volta che la situazione si complica. Ci sono stati giustamente imposti rigidi protocolli da osservare all’interno delle nostre attività, che noi abbiamo accuratamente rispettato. Per farlo ci siamo anche accollati costi gravosi e responsabilità spesso spinose, ma il risultato è stata l’ulteriore applicazione di restrizioni nei confronti del nostro lavoro. Ecco perché oggi siamo a terra, soprattutto moralmente. Perché non ci consideriamo come alleati dell’ordine pubblico e non vediamo riconosciuto il nostro valore sociale. Non ho letto una sola parola che mettesse in evidenza il fatto che noi, malgrado la pandemia, incuranti del rischio, siamo stati sul nostro posto di lavoro a dispensare i nostri servizi. Per di più veniamo indicati come capro espiatorio, come untori, e non lo siamo. Vengono addebitate a noi responsabilità per fatti che avvengono all’esterno dei nostri locali e che dovrebbero essere gestiti da altri. E allora vogliamo ribadirlo con forza: non siamo noi i responsabili della curva dei contagi, non siamo noi il problema, noi vogliamo e possiamo essere parte attiva nella soluzione del problema. E siamo qui, insieme seduti a terra, ma con dignità, in silenzio, con la mascherina e la stretta osservanza del distanziamento. E’ questo il silenzio assordante di un settore, che non ha più fiato economico, ma ha ancora una voce dignitosa e potente, quelle della Fipe, che mi onoro di rappresentare. Il Governo ha preso provvedimenti per garantire ristori che promettono essere rapidi e noi li accettiamo. Ma non dimentichiamo che il darci poche migliaia di euro non cambia la situazione finanziaria di un’impresa. Questi indennizzi sono un atto dovuto. L’unico aiuto decisivo che ci aspettiamo sta nel permetterci rapidamente la riapertura delle nostre attività. Non vogliamo elemosine, vogliamo il rispetto del diritto al lavoro. Si, oggi siamo qui a terra, ma non ci arrendiamo. Non ci arrendiamo, pensando con dolore a tutti gli amici che hanno già chiuso le loro attività definitivamente. A coloro che si sono tolti la vita o hanno perso la voglia di viverla. A loro rivolgiamo il nostro silenzio, il nostro abbraccio e il nostro pensiero. Ora, vi prego, rialzatevi in piedi. In piedi, chiedendo con grande dignità, il rispetto dovuto per il nostro lavoro, per la storia delle nostre imprese, per il presente delle nostre famiglie, ma soprattutto per il futuro dei nostri figli, delle nostre città e del nostro amato Paese”.