Elezioni, domenica il primo passo verso la Renzexit?

Elezioni, domenica il primo passo verso la Renzexit?

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E se domenica 19 giugno segnasse l’inizio della Renzexit? Allacciatevi le cinture perché fra turbolenze e fuoco amico per il presidente del Consiglio il secondo turno delle elezioni comunali potrebbe segnare un brusco abbassamento di quota, possibile prodromo di un precipitoso atterraggio di qui ad ottobre.
Non si gioca tutto, certo, ma dai ballottaggi Matteo Renzi rischia di uscire con almeno un’ala spezzata. E se così dovesse essere, sorvolare placidamente il referendum costituzionale sarà impresa improba. Se non addirittura fatale, visto che è stato lui stesso ad annunciare che una sconfitta nella consultazione sulle riforme segnerebbe il suo addio alla politica.
Per chi, tutte le opposizioni e la minoranza del Pd, vuole disfarsi del premier l’occasione è troppo ghiotta per incanalare la battaglia finale per il verso giusto. Ora la prima botta, in autunno quella fatale. E poi tutto si azzera. Con Berlusconi, guarda caso, già pronto a mettere in piedi un governo di unità nazionale.
Ancora poche ore e sapremo come andrà. Gli ultimi rumors danno Roma sicuro appannaggio della candidata grillina Virginia Raggi. A Roberto Giachetti è riuscito solo il miracolo di approdare al ballottaggio, osare di più era impossibile alla guida di un partito che nella Capitale ha molti peccati da farsi perdonare e un personale politico da cambiare da cima a fondo, a partire dal commissario Matteo Orfini.

Matteo Renzi
Matteo Renzi

Milano e Torino, invece, secondo i bene informati finiranno al fotofinish. Il che ha dell’incredibile. Da un lato, l’uomo scelto da Renzi in persona, Beppe Sala, dopo Expo avrebbe dovuto approdare a Palazzo Marino tra due ali di folla adoranti. E invece, al primo turno è riuscito a sopravanzare lo sfidante Stefano Parisi di soli 5 mila voti ed ora appare come il ciclista involatosi in fuga troppo presto che si fa battere sulla linea del traguardo. Dall’altro, c’è Piero Fassino, uno che ha avuto ruoli di vertice, politico di lungo corso, sostenuto e baciato in fronte dall’establishment piemontese, ma che di fronte al viso fresco e impertinente di Chiara Appendino (M5S) improvvisamente ha assunto le sembianze del dinosauro da avviare al museo.
Ora, è chiaro che la madre di tutte le sconfitte sarebbe Milano. Ma anche solo perdere Torino (oltre Roma, e Napoli dove il Pd nemmeno ha superato il primo turno) non decreterebbe un gran stato di salute.
Renzi ha capito la malparata e, dopo aver fatto campagna elettorale, all’improvviso se ne è ritratto liquidando i ballottaggi come “voto locale”. E in questi ultimi giorni ha cercato di alzare il morale degli elettori dando in pasto il provvedimento contro i furbetti del cartellino e festeggiando l’abolizione dell’Imu. Giochetti riusciti una volta (gli 80 euro), ora pare non incantino più nessuno. Il verdetto lo conosceremo tra poche ore.
In questi mesi il premier ha inanellato una serie di errori tattici piuttosto sorprendenti per uno che ambisce a reincarnare Machiavelli. Il più grave, quello che potrebbe risultare esiziale, è aver assegnato al referendum di ottobre il valore di una prova inappellabile per sé e il suo governo. Un enorme errore di presunzione che ha offerto a tutti gli avversari, interni ed esterni, l’occasione di unire le forze, pure del tutto strumentalmente e congiunturalmente, per mandarlo a casa. Non stupiamoci, quindi, se molti andranno alle urne non per scegliere il sindaco ma per dire cosa pensano del presidente del Consiglio. Lui se l’è andata a cercare. Se Renzexit sarà, trovare il colpevole sarà un giochino facile facile.