Centenario della prima guerra, che amarezza i silenzi di PalaFrizzoni

Palazzo FrizzoniCi ritorno, ossessivamente, ripetitivamente: è la cimminite, da cui non mi riesce di liberarmi. E’ una fissa che vi infliggo: gira che ti rigira, a questa faccenda del centenario della prima guerra mondiale, prima o poi, devo ritornarci. Sono malato di guerra, inebetito dagli ormoni del patriottismo, assuefatto alle più indigeribili cicalate storico-rievocative. D’altronde, sono un sopravvissuto anch’io: sono un reduce, in un certo senso. Mia mamma, anziché portarmi con gli altri bambini a sdilinquirmi per i daini del parco Suardi, mi trainava, un giorno sì ed uno no, al museo del Risorgimento: e si vede che di fiato ne aveva da vendere, perché, salendo in Città Alta, mi cantava tutto il tempo “Cara biondina capricciosa garibaldina, trullallà…” o “Il Piave mormorava…”. E io metabolizzavo: inghiottivo e peptonizzavo quel popò di manzo fagiano, e ne traevo succhi, linfe e questa inguaribile sindrome guerrofila.

Cosa pretendete da uno tirato su a capricciose garibaldine e fiumi mormoranti? Dunque, mi sono detto che, in questo anno di grazia 2015, la mia bramosia sarebbe stata, finalmente, placata. E, in un certo senso, il Padreterno mi ha concesso la proverbiale troppa grazia: non c’è settimana in cui non mi ritrovi in qualche posto a parlare di questa guerra, Trentino, Abruzzo, Veneto. Ieri, ad esempio, sono stato a Maserà, paesino sulla Conselvana, in provincia di Padova: oggi sarò dalle suore, settimana prossima a Gorizia e poi a Calalzo. Insomma, posso ben dire di essere degno di quella trottola patriottarda che era mia madre, quando la gamba la sosteneva.

Anche nella nostra provincia è tutto un fiorire di iniziative, qualcuna meglio strutturata, qualcun’altra, magari, un po’ tirata per i capelli, ma tutte lodevoli, se non altro per l’impegno: Alzano e Piazza Brembana, Peia e Carvico, Seriate e Gorle, insomma, non c’è paese che non organizzi qualcosina sul tema della prima guerra mondiale. Bravi i sindaci, brave le associazioni e bravi i cittadini, che, anziché guardarsi la De Filippi in tv, vengono ad ascoltarsi le mie bubbole. Si va dai temi più generali, come le ragioni della guerra o dell’intervento italiano, fino a temi specifici: i ragazzi del ’99, gli arditi, Caporetto o, addirittura, strettamente territoriali, come i Bergamaschi in guerra o i fratelli Calvi. Tutto fa brodo: onestamente, purchè ci si ricordi di questa fettazza della nostra storia, da tempo vilipesa e trascurata, andrei a parlare anche dell’uso delle gavette sul fronte di Salonicco.

Chi latita, purtroppo, sono i pesci grossi: la regione Lombardia e il comune di Bergamo. La prima, a guida centrodestra, mi pare che consideri questo centenario un po’ come un fastidioso obbligo, da levarsi dai piedi il più in fretta possibile: una specie di vezzo passatista che rischia di distrarre un po’ di attenzione dal carrozzone dell’Expo e che è più un danno che un’opportunità. Tanto è vero che il comitato scientifico che dovrebbe occuparsi della valorizzazione del patrimonio storico regionale della Grande Guerra (e di cui, immeritatamente, faccio parte), si è riunito una sola volta, giusto per eleggere il presidente e il vice. Questo mentre Trentino, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, ossia le altre regioni interessate dall’evento, da anni stanno lavorando per celebrare, ristrutturare e valorizzare il proprio bagaglio storico.

Lo stesso dicasi per il comune di Bergamo, a guida centrosinistra: a parte l’inaugurazione della torre dei caduti, ristrutturata a spese di un istituto di credito, è il nulla pneumatico. Incompetenza? Cattiva volontà? Mancanza di idee? Eppure, a Bergamo ci sarebbero numerose iniziative di interesse nazionale ed internazionale da proporre: io ne avrei una decina nel cassetto. Ma nessuno me le chiede, perché, evidentemente, qui da noi gli storici della prima guerra mondiale crescono come funghi. Oppure perché, in un contesto che vorrebbe spostare tutta l’attenzione sul coincidente settantesimo della Liberazione, uno storico vero potrebbe infastidire le smanie di protagonismo di qualche storico fasullo. Da una parte, la totale ignoranza della materia 1915-18 e, dall’altra, la protervia nel voler monotematizzare, a proprio vantaggio, la storia contemporanea, evidentemente, fanno sì che si cerchi di cancellare la, passatemi il termine, concorrenza. Solo che chi ci rimette è la città.

Come noterete, ho il dentino un pelo avvelenato: va bene che “nemo propheta in patria”, però, un colpetto di telefono, una mail, la richiesta di un suggerimento, mi pare che avrebbero potuto arrivarmi, stante, soprattutto, il rigor mortis culturale sul tema. Così, continuo a girare per l’Italia, con l’amarezza di non poter fare nulla per casa mia: mi sento un po’ come un leone in gabbia. Ovverosia, leggermente incazzato. Ecco, questo volevo dirvi sul tema del centenario: il rospaccio rospo lo dovevo recere. E’ più forte di me. E, credetemi, non è questione di lavoro: di quello, ahimè, ne ho fin troppo. E’ questione di amore per la propria terra. E, un pochino, per la propria mamma. Ma questa è un’altra storia.