Ora anche per sudare serve il dress code

Brand fitnessI muscoli che tremano, le gambe molli e la certezza che per liberarmi di questi dolori dovrò aspettare almeno un altro paio di giorni. No, non sono stata malmenata. Ho solo partecipato ad una lezione di Pilates reformer, quelle con il carrello e le funi, tanto per capirci. So infatti che – oltre a fare molto bene alla mia schiena e a compensare le 9 ore passate alla scrivania – il dolore lascerà spazio ad un gran senso di benessere, ma dovrò aspettare qualche ora. E poi come si dice in inglese, no pain, no gain.

Parlo di Pilates, ma potrei parlare di un’infinita varietà di discipline che da alcuni anni a questa parte, stanno arricchendo e personalizzando il panorama del Fitness londinese.  L’industria della remise en forme cresce a doppia cifra e in modo stabile da alcuni anni. La parole chiave sono due: diversificazione e personalizzazione.  Dallo yoga tra le nuvole, che si fa il sabato ai piani alti dello Shard (http://www.the-shard.com/) al training che emula quello dell’esercito inglese  (https://www.britmilfit.com), passando dalle lezioni sempre piene dell’americano e muscolosissimo Barry Bootcamp (http://www.barrysbootcamp.com/london/location).

La domanda per queste attività è inarrestabile: il tempo medio che un corso impiega per registrate il sold out è di soli 6 minuti. Nella città che corre sempre, chi conta, o vuole contare, si muove. Il Sunday Times ha lanciato una campagna dal titolo Fit not thin, con tanto di hashatg onnipresente e testimonials semi-famosi. I brand della moda, dopo essere entrati con grandi sforzi nel territorio del consumo di massa come i profumi, la cosmetica e gli accessori, hanno trovato un nuovo territorio da esplorare al massimo. La clientela, affluente, vede lo sport come una parte dello stile di vita, e coinvolge l’alimentazione, lo sport e quello che si indossa mentre si mangia e ci si muove. Frullati proteici e salutisti vanno a braccetto con l’abbigliamento casual chic. In pochi mesi sono infatti nati il sito net-a-sporter.com, la versione di abbigliamento sportivo del colosso dello shopping firmato on line, e hanno aperto un negozio elegante a Chelsea del marchio Lulu Lemon è stato aperto http://www.lululemon.co.uk/, che negli USA ha un seguito degno di una setta religiosa. Il negozio apre i battenti nella rinomata Chelsea con un’inaugurazione degna di una boutique di Prada. Non c’erano le modelle a sfilare, ma belle ragazze fasciate in abiti sportivi a fare yoga in vetrina. All’interno cameriere e camerieri atletici e con sorrisi americani e bianchissimi – perfetta incarnazione del brand – a servire sushi e prosecco. Se fino a qualche anno fa la maglietta larga sponsorizzata dalla falegnameria locale andava benissimo per fare sport, adesso nulla viene lasciato al caso, esiste un dress code anche per sudare, che si vada a correre al parco o a sollevare pesi in palestra.


Arte, cibo e sfilate: così decolla un museo

L'Accademia Carrara di BergamoLa rimessa a nuovo del Colosseo e della Fontana di Trevi hanno finalmente portato l’attenzione sul fenomeno globale delle sponsorizzazioni culturali. Nel Paese che vanta il maggior numero di siti protetti dall’Unesco, il connubio tra industria e mondo della cultura si è risvegliato po’ in ritardo rispetto ad altri luoghi, con i soliti snob e accademici a storcere il naso e mostrare grande perplessità davanti al mecenatismo del 21esimo secolo.

A Londra, dove l’industria culturale è sempre in fermento e le gallerie vengono frequentate quasi più dei cinema, l’alleanza tra arte e business è ormai consolidata e ha consentito la rinascita di musei e istituzioni, che da edifici polverosi ed elitari, sono divenuti luoghi dove è normale incontrarsi il venerdì sera.

Il ruolo dei sostenitori privati è divenuto essenziale dopo i significativi tagli governativi del 2010 alla cultura. Banche, aziende di consulenza, studi di avvocati internazionali sono divenuti la versione contemporanea di Lorenzo de’ Medici, con i loro loghi posizionati strategicamente sui manifesti e i materiali promozionali. Lo scenario tra cui scegliere è vasto e vi è grande flessibilità: si può sponsorizzare una mostra delle durata di tre mesi o diventare un “patron” per diversi anni. I benefici sono molteplici, per tutte le parti. Qualche esempio: i grandi musei possono permettersi di pagare curatori e prestiti di opere importanti, allestendo le cosiddette grandi mostre, che attraggono le masse e rimpinguano le casse dei musei e dei loro bookshop.

Le aziende hanno altri vantaggi. In primo luogo le tasse, perché, con un approccio pratico e conveniente, sponsorizzare o fare una donazione a scopo artistico è detassato. In secondo luogo ci sono dei vantaggi quali accesso in orari riservati, visite guidate per membri del consiglio di amministrazione e i clienti, ingressi scontati e molto spesso gratuiti per i propri dipendenti, possibilità di tenere cene e feste in luoghi storici e prestigiosi.

I musei si sono organizzati a dovere, diventando macchine commerciali organizzatissime, che vanno ben oltre il bookshop con tutti i gadget della mostra. E’ una vera e propria industria dell’intrattenimento che ha creato nuovi posti di lavori e reso comune un uso dei musei che non si ferma alle ore tradizionali di apertura al pubblico, ma va avanti fino a notte fonda. Un bellissimo connubio è nato – negli ultimi anni – tra questi spazi e le grandi case di moda. Si è perso ormai il conto del numero di stilisti che utilizzano luoghi come il V&A o il British Museum per il lancio della propria collezione. Somerset House, che ospita una delle collezioni di impressionisti più belle al mondo al di fuori del Museo D’Orsay di Parigi, è divenuta da qualche anno a questa parte, la sede ufficiale della London Fashion Week, ospitando decine di sfilate tra le sue mura e i suoi lunghi corridoi. Un altro punto forza su cui i musei hanno puntato è il cibo, perché hanno capito in fretta che le più belle opere d’arte o i reperti storici più unici al mondo non bastano a creare un’esperienza memorabile. Un buon caffè e una fetta di torta possono fare la differenza quando si è colti da “museum fatigue”.

Queste caffetterie diventano – specialmente durante la settimana – luoghi che giovani mamme e pensionati usano per incontrarsi, gomito a gomito con chi vi fa un formale incontro di lavoro.

Il museo veste diversi abiti a seconda del momento della giornata, divenendo luogo di scambio di idee, business e aggregazione, senza tradire le sue origini.