Tengono città, hinterland, pianura e Val Cavallina. In difficoltà valli e piccoli comuni
Si preannuncia un anno ancora difficile e interlocutorio per il terziario. Resta critico il quadro che emerge dal saldo tra aperture e chiusure su elaborazione Confcommercio Bergamo su dati camerali. I primi sei mesi del 2024, i più frizzanti storicamente in termini di creazione di impresa, segnalano un rallentamento delle aperture nel commercio, turismo e servizi. Preoccupano le cessazioni, dopo il triste primato del 2022 e il parziale recupero nel 2023. Il totale delle imprese costituite in provincia di Bergamo nel primo semestre 2024 è pari a 2.545, di cui 526 attività ancora in attesa di attribuzione di codice Ateco da parte della Camera di Commercio di Bergamo. Le neo imprese, nate nel I semestre 2024, nei settori del commercio, turismo, ausiliari del commercio e servizi alle imprese sono 633. Il dato evidenzia un rallentamento molto deciso della natalità di impresa nei settori del terziario (erano infatti 863 nel I semestre 2023, con un calo pari al -26,6%). Quanto ai settori, prendono quota solo i servizi alle imprese e gli ausiliari (agenti di commercio e procacciatori), con 19 imprese in più e i servizi del turismo, 5 in più. A perdere ancora insegne il commercio alimentare al dettaglio (– 20) e non alimentare (-8). Infine prosegue il calo sensibile del numero degli ambulanti (– 32). Solo la città vede nel semestre un aumento complessivo di imprese (+14) .Tengono la Val Cavallina (con saldo, del tutto invariato, a 0) e la pianura (-4). In calo l’hinterland (-7) e l’Isola (-11). In difficoltà le valli: Val Seriana e la Val di Scalve(-17), Val Brembana, Valle Imagna e Val Brembilla (-10). Le chiusure di questi primi sei mesi del 2024 sono 669, in aumento rispetto al I semestre 2023 (quando erano 557, + 112 in più, + 20,1%). Il saldo semestrale tra aperture e chiusure è negativo, con – 36 imprese. Nel commercio non alimentare la crisi colpisce i negozi. Per il settore abbigliamento si registrano 57 chiusure contro 26 aperture, meno della metà. Il saldo del commercio non alimentare è tenuto in equilibrio dall’apertura di imprese nel commercio elettronico con 85 nuove iscritte (contro le 55 chiusure) e di 44 imprese che commercializzano auto (contro le 14 cessate). La crisi dei consumi sta producendo un conto molto salato. Confcommercio Bergamo stima che solo un terzo delle chiusure interessi titolari per raggiungimento dei limiti dell’ età pensionabile. Il timore è che la maggior parte delle chiusure sia attribuibile alla fragilità del progetto imprenditoriale e delle competenze. E, in un momento in cui il ricambio generazione è particolarmente critico, solo una piccola parte delle imprese costrette ad abbassare la saracinesca può contare su una continuità familiare o da parte di terzi. “I numeri non fanno che confermare in modo molto crudo difficoltà che si protraggono da tempo, una realtà difficile con cui purtroppo ci dobbiamo confrontare costantemente- commenta Giovanni Zambonelli, presidente Confcommercio Bergamo-. I motivi sono i più svariati e tutti concatenati tra di loro: l’ evoluzione delle abitudini di acquisto, la denatalità e il progressivo invecchiamento della popolazione, la scarsa propensione al sacrificio che fare l’ imprenditore richiede, i modelli di offerta- continua Zambonelli-. Gli stessi centri commerciali si stanno ripensando sulla scia dell’ esperienza americana, che vede il fenomeno del “demalling”, la chiusura di questo tipo di commercio e la conseguente riqualificazione urbana”. Per avviare un’attività non si può prescindere dalle competenze: “Deve essere acclarato che fare l’ imprenditore non può prescindere da competenze consolidate, mentre, soprattutto negli ultimi anni, abbiamo assistito a troppa improvvisazione, supportata solo da disponibilità finanziaria, con investimenti poi sperperati per l’insuccesso dell’ iniziativa imprenditoriale” sottolinea il presidente Confcommercio Bergamo. Preoccupano i dati della montagna: “Il dato sottolinea l’urgenza e l’improrogabilità di un intervento politico e fiscale perché l’economia delle valli sia supportata da servizi, infrastrutture viarie e una fiscalità dedicata, che permetta alle persone di restare a vivere, fare impresa e preservare il territorio. Le valli vanno considerate e trattate in modo completamente diverso e con una particolare attenzione rispetto al resto del territorio. Come associazione continueremo a supportare gli associati aiutandoli a comprendere i cambiamenti e ad accrescere e mettere in campo la professionalità. Ma anche ad essere collante tra le imprese e la politica e stimolare quest’ultima affinchè tante esigenze vengano colte e trasformate in opportunità”.