Albinoleffe, il grande sogno spezzato dal dna bergamasco

UC AlbinoLeffe v Reggina Calcio - Serie BE’ una storia molto bergamasca, quella dell’Albinoleffe, precipitato nei Dilettanti dopo un decennio nel calcio d’élite (con tanto di serie A sfiorata), al termine di una stagione ingloriosa. E’ la vicenda paradigmatica di chi fa del “piccolo è bello” un dogma, di chi non sa o non vuole condividere progetti con altri, di chi si chiude in una autoreferenzialità che individua in chiunque osi muovere osservazioni critiche o anche opinioni dissonanti un potenziale nemico. A suo modo, la società seriana, incarnata nel bene e nel male dal suo presidente Gianfranco Andreoletti, ha seguito una parabola simile a quella di molti altre realtà, specie in campo economico, della Bergamasca. Nata da una felice intuizione, mettendo a fattor comune l’esperienza di due sodalizi storici del calcio orobico (Leffe e Albinese) e chiamando alla gestione alcuni dei principali imprenditori della Valle Seriana, ha smarrito nel corso del tempo la filosofia che l’aveva portata ad essere presa a modello in campo nazionale. Una favola, la si era dipinta ad un certo punto, con quel di più di facile retorica che nel giornalismo, non solo sportivo, si spreca nell’illusione di catturare attenzioni facili. E forse lo avrebbe potuto essere davvero se chi ne era alla guida, persona di specchiata onestà e gran lavoratore, non si fosse fatto cogliere dal virus del solipsismo tipico del “one man show”. Eppure, c’erano tutte le condizioni per consolidare l’esperienza, farle mettere radici e aiutarla nella crescita. Sarebbe bastato, si fa per dire, capire che in una realtà come quella bergamasca non era possibile, per nessuno, rubare la scena all’Atalanta. Sì, c’è il caso Chievo che dimostra la possibile coesistenza ad alto livello di due società calcistiche in una città non metropolitana. Ma Verona è grande due volte e mezzo Bergamo. E comunque, è l’eccezione che conferma la regola. L’Albinoleffe avrebbe dovuto stringere un rapporto di collaborazione con l’Atalanta. Di qua una società con un fiorente settore giovanile che ha bisogno di mandare le sue promesse a farsi le ossa. Di là, un’altra società che non ha grandi risorse e che può quindi mettere a disposizione spazi per talenti in erba. Come unire due opportunità, insomma. Semplice come bere un bicchier d’acqua. Ovunque, forse, ma non a Bergamo dove in tanti anni, per ragioni e responsabilità che è vano cercare di individuare, non si è riusciti a tenere aperto nemmeno un canale di formale dialogo (basti ricordare le beghe sull’uso dello stadio e sulle spese di ristrutturazione). Meglio andare avanti ciascuno per la propria strada, e pazienza se tanti risorse vanno sprecate. Nessuno stupore, sia chiaro. L’individualismo sta scritto nel codice genetico dei bergamaschi. Quante realtà sono state spazzate via dalla crisi perché non si è stati capaci di unire le forze, di aprire il capitale ad altri soci, di affrontare il mercato in mare aperto, come pure altrove avviene d’abitudine? Si dirà: ma non si può prendere l’Albinoleffe come modello e generalizzare. Beh, che dire, allora, della situazione in cui versa, cambiando sport, la Foppapedretti? Qui abbiamo la controprova. Il presidente Luciano Bonetti, anche lui per indole un discreto accentratore ma non al punto da non comprendere la necessità di condividere gli impegni di una impresa sportiva di alto livello, nelle scorse settimane si è sgolato per far comprendere anche ai sordi che il volley femminile a Bergamo può avere un futuro solo se si farà avanti qualcuno disposto a dare una mano. Bene, ne ha avuto come risposta un silenzio assordante. Interrotto solo dall’indiscrezione, che pare piuttosto fondata, su un possibile interessamento di Antonio Percassi come sponsor, grazie anche agli auspici di autorevoli personaggi. Un’ottima soluzione, intendiamoci, ma rivedere in prima linea un soggetto già sovraesposto come il presidente dell’Atalanta, conferma la desolante mancanza di generosità di tanti imprenditori bergamaschi bravi ad applaudire i successi di calciatori e pallavoliste salvo non chieder loro di aprire il portafogli. Oggi si ammaina. Almeno a certi livelli, la bandiera dell’Albinoleffe come ieri è toccato a quella della Virescit o del Celana nel basket. Le lacrime di coccodrillo si sprecano, la voglia di cambiare, purtroppo, non si vede.