Abbigliamento, «oggi più che mai
è l’ora dell’imprenditore»

La chiacchierata a cuore aperto con cui Luca Sacerdote ha raccontato, sullo scorso numero della Rassegna, della sofferta decisione di chiudere lo storico negozio di famiglia sul Sentierone ha dato il via ad alcune riflessioni da parte dei commercianti sui problemi e le prospettive del settore moda. Ecco gli interventi.

Facciamo emergere la nostra
creatività, solo così ci possiamo salvare

Egregio direttore,
ho letto con molto interesse l’intervista a Luca Sacerdote sull’ultimo numero della Rassegna. La notizia della cessata attività mi ha colpito profondamente, anche perché è una sconfitta commerciale che reputo ingiusta. Non doveva accadere, anche solo per la considerazione e la stima che questa famiglia ha ottenuto nel tempo in un comparto che mi vede attore ormai da anni, grazie all’attività commerciale nel settore Abbigliamento e calzature griffati che conduco a Torre Boldone.
L’annuncio è purtroppo l’ennesimo segnale di un quadro economico fortemente deteriorato, dove la forza dell’immagine meritocratica, fino a pochi anni fa baluardo di ogni solidità commerciale, non ha più valore. Le condizioni del mercato, anche per il nostro comparto, sono critiche e se la situazione rimarrà così, molti saranno costretti a cambiare il proprio modo di gestire l’attività. Saranno chiamati a dover mettersi in discussione e – nel mio caso – a ricredersi nei confronti di una tradizione ormai rara contraddistinta nel rifiutare ogni tipo di vendita promozionale o saldo della merce. Per dare un’idea delle condizioni in cui ci tocca operare, basti dire che in tanti siamo costretti a dover mettere mano al patrimonio personale per ripianare le perdite gestionali. Questo non può proseguire a lungo.
Ha ragione Sacerdote a puntare il dito contro i saldi? In effetti, a forza di anticipare sconti e svendite si abituano gli acquirenti a pazientare per le compere stagionali e a rimanere in attesa dei ribassi. Ma per noi i mancati guadagni si fanno sempre più consistenti.
Una chiara dimostrazione inoppugnabile di tutto questo la si ha guardando gli incassi del mese di settembre, molto al di sotto di quelli di alcuni anni fa. Una condizione generale che fa il paio con un nuovo “analfabetismo emotivo” che spinge il consumatore sempre più verso l’azione senza riflessione. Diversamente le persone non frequenterebbero prevalentemente i centri commerciali per gli acquisti importanti del proprio guardaroba. Insomma, come imprenditori siamo chiamati fortemente in causa. Come sottolinea Sacerdote nell’intervista, alla fine siamo noi a poter e a dover fare la differenza. Cerchiamo di sviluppare e affinare ancor di più il talento imprenditoriale, integrando l’azione col pieno coinvolgimento delle persone che ci circondano, componente essenziale di noi stessi.
Dobbiamo curare ancor di più ogni dettaglio, far emerge la nostra creatività, unica componente che possa oggi farci sopravvivere in un momento di profonda crisi. Il pericolo di fallire è alto, lo sappiamo, ma questo non ci deve far indietreggiare, al contrario ci deve spingere a mutare il nostro dna commerciale con continue e innovative ricerche negli stili e nei marchi commerciali. Cosa non facile, ma maledettamente indispensabile. Altrimenti sarà la nostra fine e la fine di un settore storico come quello dei negozi di vicinato, che lascerà spazio non si sa bene a chi!

Diego Pedrali
titolare del negozio “L’Uomo Più”
Torre Boldone

Non si può dare la colpa alle bancarelle,
ma il centro potrebbe essere valorizzato meglio

Spettabile Rassegna,
ci è dispiaciuto tantissimo sapere della prossima chiusura di Sacerdote. Notizie come queste rattristano soprattutto chi, come noi, ha un’attività familiare e vede scomparire, uno ad uno, negozi che hanno fatto la storia del commercio in centro. Purtroppo, la situazione che ha illustrato Luca Sacerdote nella vostra intervista è verissima. È cambiato del tutto il modo di considerare l’abbigliamento. Per le cerimonie – non parlo dei matrimoni, dove c’è ormai quasi un settore specializzato, ma di comunioni, cresime, battesimi – non si pensa più a comperare un bell’abito, non c’è più nemmeno il culto del capotto nuovo da sfoggiare ad inizio stagione ed anche il professionista che prima vestiva con capi di un certo prestigio, spesso, per il lavoro, sceglie ora soluzioni meno impegnative.
È cambiato l’atteggiamento, ma, lasciatecelo dire, si è persa soprattutto la capacità di riconoscere e dare valore alla qualità e questo è un peccato. Le signore della mia età sanno ancora distinguere il pregio di una stoffa, l’accuratezza delle rifiniture e dei dettagli, mentre le generazioni più giovani non ci fanno caso e così si rischia di non comprendere più la differenza tra un prodotto e un altro, con la conseguenza di un abbassamento generale del livello dell’offerta. Mio padre, che ha 87 anni ed ha aperto l’attività nel ‘61, è ancora fiducioso sul futuro. Resistiamo, sperando che la crisi si sblocchi, e continuiamo ad offrire quel servizio personalizzato che ci ha sempre contraddistinto. Quando arrivano gli scatoloni, i capi sono solo merce, quando escono dal negozio ognuno ha già una sua storia perché è legato alla persona che lo ha acquistato e che abbiamo ascoltato e seguito mettendoci tutta la nostra attenzione. Potrà sembrare un aspetto di poco conto, ma per noi questo è un valore e non possiamo fare a meno di lavorare così.
Anche sui saldi non possiamo che dar ragione a Sacerdote. Vanno bene se servono a smaltire le rimanenze di fine stagione, ma non si può pensare di impostare un’attività con sconti tutto l’anno, come si sta facendo oggi, al punto che la Regione sta di nuovo pensando di non vietare le promozioni nel mese prima dei saldi. Per reggere, l’attività deve essere impostata su ricarichi equi, non si può lavorare sottocosto.
Un’ultima notazione sulle bancarelle. D’accordo, non possono essere prese come scusa, ma alcuni problemi li creano, basta chiederlo ai negozi di alimentari. E non si può nemmeno dire che aiutino il commercio né che migliorino l’immagine del centro. Personalmente mi piace vedere la città piena di gente, partecipo a tutte le iniziative in cui si chiede di tenere i negozi aperti, comprese le “movide”, perché credo che sia giusto esserci, ma non danno grandi risultati in termini commerciali, ammettiamolo. Il salotto della città merita di più. E a volte basterebbe poco per valorizzarlo. È un bel biglietto da visita la massa di motorini parcheggiati proprio all’inizio di via XX settembre?
Grazie per l’attenzione

Maria Grazia Volpi
Carom Abbigliamento – Bergamo

La moda è un’eccellenza,
troviamo idee per il rilancio

Egregio direttore,
mi ha molto colpito l’intervista a Luca Sacerdote pubblicata sulla Rassegna di giovedì 3 ottobre, da un lato per l’umanità che traspare, il forte attaccamento all’attività che chi fa questo mestiere conosce bene (in effetti, i negozi sono come delle nostre creature!), dall’altro perché fa riflettere tutto il settore. Se chiude infatti un’insegna così prestigiosa, viene spontaneo chiedersi cosa ne sarà di tutte le altre. I dubbi sul nostro futuro crescono leggendo – e non potendo fare a meno di confermare – le difficoltà che Sacerdote elenca, cambio della mentalità della clientela, concorrenza e questa corsa esasperata ai saldi che noi commercianti per primi dovremmo cercare di rallentare, non svendendo prima del necessario i nostri prodotti.
Non me la sento però di vedere tutto nero e ci terrei a lanciare un messaggio di speranza e, soprattutto, un invito a trovare insieme – nella categoria, nel territorio e nell’associazione – idee e strumenti per affrontare il cambiamento.
Sono convinta che i negozi familiari abbiano ancora un senso. Il desiderio del cliente di sentirsi coccolato c’è, dobbiamo trovare una maniera per farlo riscoprire e per farci conoscere meglio. Ad esempio, tutti parlano dell’Expo come di una grande opportunità e sono certa che per l’evento un po’ di visitatori arriveranno anche in Bergamasca. Sarebbe importante poter presentare in maniera accattivante le nostre attività, portare i turisti nei nostri negozi. Il made in Italy, il gusto italiano nel vestire sono un’eccellenza apprezzata e ricercata in tutto il mondo, che vanno valorizzati in vista di un appuntamento internazionale così vasto. Per capire le potenzialità dell’abbigliamento pensiamo anche al riscontro che hanno le settimane della moda a Milano. Certo la realtà bergamasca non si può paragonare a quella di una capitale del fashion, ma l’esempio milanese fa capire come la moda può diventare protagonista. Un’idea che personalmente mi frulla in testa – ma servirebbe l’appoggio delle associazioni – è quella di allestire presentazioni di abiti nei luoghi più visitati dai turisti, come i musei. Non semplici manichini ma ambientazioni che facciano vivere l’emozione che dà un bel vestito e magari far riscoprire anche ai bergamaschi, e non solo ai visitatori, il piacere di un bel capo, che ormai si è perso. Sarebbe un bel biglietto da visita per le nostre attività, che hanno la prerogativa di tenere viva l’attenzione alla qualità e allo stile, che sanno consigliare e trovare l’abito e l’accessorio su misura. Che sanno ancora regalare sogni.
Sono ipotesi naturalmente. So che la crisi sta purtroppo togliendo voglia fare a molti colleghi. Ma nelle difficoltà si possono trovare anche nuovi stimoli e forza per reagire. Nel nostro negozio ci siamo buttati a capofitto nella formazione, che ci tiene occupati quasi come un corso scolastico, mentre ci siamo affidati alla nuova generazione per affacciarci sul mondo del web e dei social network. Basterà? Intanto ci proviamo… .
Grazie per l’ospitalità

Marisa Gamba
Pigal – Almé

Ciò che si può fare oggi è essere pronti  al cambiamento

Egregio direttore,
ho apprezzato la schiettezza con cui Luca Sacerdote, sul numero scorso della Rassegna, ha raccontato la scelta di chiudere lo storico negozio di famiglia. Senza dimenticare l’autocritica –  merce piuttosto rara, non solo nel mondo del commercio -, ha analizzato dal suo punto di vista i mutamenti nei comportamenti di acquisto e nelle modalità di vendita, arrivando a dare un giudizio piuttosto drastico sulle prospettive del settore abbigliamento, in particolare dei negozi familiari o cosiddetti “indipendenti”. Le sue parole non sembrano dare molte speranze ai negozi, almeno a quelli “tradizionali”, ma forse, allora, sarebbe il caso di chiedersi perché. Non penso che sia tanto una questione di dimensioni, patrimonio immobiliare, storia, gestione familiare o meno. Ad essere stato completamente scardinato è un modello, un’impostazione della vendita ancorata a schemi che i tempi hanno irrimediabilmente superato. Di questo occorre rendersi conto se si vuole continuare a guardare al commercio come ad un settore ancora vitale e capace di dare il proprio apporto al sistema economico, anziché arrendersi e prendere semplicemente nota, una dopo l’altra, delle serrande abbassate.
La mia esperienza professionale e imprenditoriale nasce nella distribuzione organizzata (i marchi Intimissimi, Calzedonia e Tezenis) e posso dire che, solo negli ultimi dieci anni, la realtà ha subito tali e tante trasformazioni da perderne il conto. Ciò che un negozio può e deve fare è essere pronto al cambiamento, cogliere tutti i segnali in tempo reale e adeguarsi a questi, non stare in attesa. Non siamo i soli sul mercato, il consumatore è bombardato da stimoli da ogni parte – centri commerciali, offerte on line, outlet -, dobbiamo dargli un motivo per sceglierci e riuscire a fidelizzarlo, che sia per i prodotti, per la cortesia del personale, per la vetrina, la pulizia dei camerini e tanti altri dettagli che possono fare la differenza. L’orario continuato noi lo facciamo dal ’99 ed ora siamo anche aperti la domenica, non perché pensiamo che sia bello dare la possibilità di fare acquisti la domenica (il mio giudizio sul fenomeno, dal punto di vista sociologico, è negativo), ma se è questo che la gente fa oggi non si può fare a meno di rimanere aperti. Al momento va così, domani potrebbe essere diverso e dovremo cercare di capire per tempo come si orienteranno le scelte e le abitudini. 
Non che nella distribuzione organizzata sia tutto oro quello che luccica, intendiamoci, ma è indubbio che alcuni aspetti su cui si basa, come la capacità di rilevare e analizzare i comportamenti dei clienti, sono fondamentali. Grazie anche allo sviluppo delle tecnologie, oggi abbiamo sensori che ci dicono quanta gente entra in negozio e in quali orari, attraverso dei software sappiamo quanti di questi comprano, cosa comprano e possiamo di conseguenza organizzare gli orari, il personale, gli ordini, modificare la vetrina appena allestita se vediamo che non funziona e non aspettare una settimana. Siamo anche abituati a guardare fuori dal negozio, a controllare cosa espongono i concorrenti, di che cosa si parla, qual è il colore di tendenza per poi magari utilizzarlo per la divisa delle commesse, facciamo volantini, distribuiamo cataloghi dal parrucchiere… Con la consapevolezza che non tutte le scelte saranno azzeccate, soprattutto in un momento di crisi come questo, in cui i segnali che dovrebbero orientare le strategie sono sempre più deboli. Eppure qualche riscontro c’è e, visti i tempi, va bene così.

Claudia Marrone
Imprenditrice nel settore abbigliamento