Fredda mattinata d’ottobre.
«Ogni stagione ha aspetti positivi e negativi allo stesso tempo».
Lei a che stagione della vita è arrivato?
«Alla quarta, ormai ho 82 anni».
Non pensa che potrebbe essere il momento per fare altro?
«No, anzi adesso ho più tempo. Anche per pensare al tempo che rimane».
Al netto dei suoi incarichi istituzionali, ma soprattutto bancari, presidente di Ubi e della Banca Popolare per 28 anni, ad Emilio Zanetti si potrebbe pensare come a certi vecchi zii, con un sentimento di vago affetto e riconoscenza per quello che hanno rappresentato. In particolare per il concetto di immutabilità ed incrollabilità. Esattamente come i capelli che porta in testa (appena più leggermente incanutiti), i suoi pensieri sono gli stessi di undici anni fa (come forse di 30 o 40 o 50). Nel 2002, su queste colonne, comparve una sua lunga intervista che, senza troppa fatica, si potrebbe riproporre anche adesso, quasi riga per riga, togliendo solo qua e là qualche piccolo riferimento alle cronache di allora, senza timore di essere smentiti. Il puzzle mentale di Zanetti sembrerebbe costituito dagli stessi pezzi. Almeno formalmente, sostanzialmente chissà.
A proposito di tempo per pensare. Dopo l’assemblea di Ubi dello scorso aprile, disse che si sarebbe ritirato in un luogo solitario per meditare: l’ha fatto?
«È un proposito che non ho ancora realizzato».
Perché?
«Mancanza di tempo. No, diciamo, per mancanza di volontà. Anche se si è super impegnati, però, due giorni in un anno si trovano».
Parliamo di banca, ma partiamo da un altro punto di vista, quello immobiliare. BergamoScienza ha ridato un po’ di vita al centro cittadino, occupando immobili lasciati liberi. Tra questi anche parecchi di proprietà della Banca Popolare di Bergamo. Fra un mese finita la manifestazione ritorneranno vuoti e il centro cittadino ripiomberà nella sensazione di abbandono.
«La crisi economica ha inciso profondamente sui consumi ed ha coinvolto anche attività tradizionali, quali Sacerdote. Le ragioni sono state illustrate nell’intervista concessa al vostro giornale dal dottor Luca Sacerdote, che ha dovuto assumere una decisione certamente sofferta che merita il nostro rispetto, una decisione ritenuta necessaria tenuto conto della contrazione dei consumi e della forte concorrenza. Per il reparto Uomo la chiusura è avvenuta il 31/12/2012, purtroppo si profila pure la chiusura del reparto Donna a fine d’anno. La Galleria La Torre ha lasciato i locali il 31 marzo scorso, essendosi trasferita in locali di proprietà più ampi. Stiamo cercando altri inquilini che possano svolgere attività compatibili con l’ubicazione centrale della nostra città e che di conseguenza possano valorizzare il centro cittadino mantenendo il necessario decoro».
Non crede che la politica immobiliare della banca, ci riferiamo al livello degli affitti delle locazioni commerciali negli ultimi anni, sia stata non propriamente vicina al territorio?
«In passato la politica immobiliare della Banca, così come la chiama Lei, soprattutto quella riguardante le locazioni commerciali, prevedeva canoni molto inferiori a quelli di mercato. Nel tempo si è proceduto a un riallineamento, mantenendo peraltro livelli inferiori o comunque non superiori a quelli di mercato. Questo è avvenuto anche per il settore residenziale, ove si è cercato di favorire l’acquisizione degli immobili da parte degli inquilini attraverso la concessione di mutui che fossero appetibili».
Che cosa si augurerebbe di vedere in queste vetrine?
«Mah, mi piacerebbe un grande stilista, un nome dell’alta moda ad esempio».
Lei quanti vestiti ha nell’armadio? Per dire quante volte è entrato da Sacerdote?
«Una volta l’anno… ma io i vestiti di solito, me li faccio fare su misura».
Undici anni fa, alla domanda “Come immagina la Popolare tra vent’anni?” rispose: “Una banca libera ed indipendente che continui il proprio cammino e continui ad assolvere il proprio ruolo. La penso come una vera public company, con un azionariato molto diffuso dove non si formino gruppi di potere di qualsiasi natura. Mi auguro che possa difendere sempre la propria indipendenza”. Per lei è ancora così?
«Le do la stessa risposta, mi auguro che la banca o meglio il gruppo sia esattamente così; libero e senza condizionamenti di sorta. Me lo auguro francamente, perché tutti abbiamo operato tenendo conto di questi indirizzi».
La parola territorio è il mantra delle Banche Popolari. Hanno coltivato questa vocazione di vicinanza alle componenti territoriali, anche in considerazione della loro natura giuridica che fino almeno agli anni 70/80 le differenziava veramente dalle banche di interesse nazionale. Ora molto meno. E il Governatore, in almeno due occasioni ufficiali, ha invitato le popolari a trasformarsi in Spa…
«Le Banche Popolari hanno sempre assolto ad una funzione di carattere sociale, con un’attenzione particolare allo sviluppo dei territori in cui sono insediate ed io sono certo che continueranno questa loro missione. Purtroppo la crisi, lunga e assai pesante (ricordiamo che la Lehman Brothers è fallita nel 2008), ha costretto molte imprese a ridimensionare l’attività, altre non ce l’hanno fatta. Questo ha inciso anche sui bilanci delle banche, le perdite sui crediti sono cresciute notevolmente. Teniamo ben presente che noi gestiamo i risparmi di famiglie e imprese e quindi denari di risparmiatori che devono essere allocati con prudenza, certamente per favorire lo sviluppo delle imprese e dei livelli occupazionali. L’attività delle banche popolari in passato si è distinta dall’attività di altre istituzioni creditizie. Allora gli istituti di credito di diritto pubblico e le banche di interesse nazionale tendevano ad avere rapporti con grandi imprese ed operavano soprattutto con sedi poste nei capoluoghi di provincia. Con le privatizzazioni anche queste banche si sono trasformate, hanno curato sempre più i rapporti anche con le piccole e medie imprese, non sempre con l’attenzione che le banche popolari riservano allo sviluppo e alla crescita del territorio e delle iniziative a questo collegate».
Lei è presidente dell’Associazione delle Banche Popolari, da sempre molto attiva nel valorizzare e difendere la natura cooperativa. Come vede il futuro?
«Sono convinto che le Banche Popolari debbano mantenere l’attuale forma giuridica di Società cooperativa, trovando soluzioni volte a favorire l’apporto di capitali, tanto necessari per consentire lo sviluppo degli impieghi, così come auspicato da alcuni autorevoli esponenti del nostro settore. Alcune innovazioni sono state introdotte e riguardano l’innalzamento del limite al possesso azionario sino all’1% e per le Fondazioni di origine bancaria livelli maggiori sempre che derivanti da operazioni di fusione».
Come è possibile che due Governatori abbiano approcci diversi sul tema, a distanza di pochi anni? Ci riferiamo a Draghi che applaudì e favorì la concentrazione tra banche, benedicendo nel caso di Ubi, quella anomala e difensiva tra una spa, Banca Lombarda, che abbandonava il modello per blindarsi in una cooperativa, Bpu?
«Tecnicamente l’operazione di aggregazione di Bpu (Banche Popolari Unite) e Banca Lombarda e Piemontese è avvenuta nel 2007 attraverso la fusione per l’incorporazione della seconda nella prima. Le condizioni stabilite riguardavano il mantenimento della forma giuridica di Società Cooperativa e la Sede Legale in Bergamo. L’operazione ebbe il benestare di Banca d’Italia e quindi dell’allora Governatore Draghi. Il discorso del nuovo Governatore Visco, riguarderebbe casi particolari nei quali i principi ispiratori delle Banche Popolari sono stati travisati a causa di comportamenti anomali che ne hanno minato la Governance con conseguenze gravi, anche sotto il profilo dell’autonomia e dell’indipendenza, valori assolutamente da difendere».
Le banche da popolari sono impopolari?
«Tutte le banche lo sono un po’ diventate, ma occorre partire dal presupposto che le banche amministrano il denaro altrui. L’allocazione del risparmio al sostegno alle medie e piccole imprese è nel dna, soprattutto delle banche popolari. Cinque anni di crisi hanno però segnato anche il sistema bancario, i suoi bilanci. Molti imprenditori sono stati bravi però a stare a galla, ristrutturando le aziende e aprendosi a nuovi mercati».
Avendo seguito l’ultima assemblea di Ubi, in particolare la bagarre di alcuni soci che hanno tentato per un po’ di bloccare i lavori, non è venuto anche a Lei il pensiero: “il voto capitario è superato o da rimodulare”?
«Nell’ultima Assemblea vi è stato un momento di tensione che mi auguro non debba ripetersi. L’Assemblea è il luogo dell’incontro con i Soci, un incontro che si vorrebbe avvenisse in modo civile. La forma giuridica è ininfluente, dipende dal comportamento dei singoli, ai quali è richiesto di interloquire, ripeto, in termini civili».
Gli investitori istituzionali detengono consistenti quote del capitale sociale delle banche popolari, in Ubi anche il 30%, votano come tutti e non hanno rappresentanti in Consiglio. Non c’è qualcosa da correggere?
«Gli Investitori istituzionali, soprattutto i Fondi Pensione, svolgono una funzione importante perché, come dicevo prima, è necessario favorire la patrimonializzazione delle banche. Questi soggetti, finora, non hanno dimostrato interesse a occuparsi della gestione. Se a loro giudizio questa è conforme alle loro aspettative, manterranno l’investimento, diversamente lo dismetteranno. Da noi, ma per quanto di mia conoscenza, anche in altri Istituti non è stata avanzata richiesta di partecipazioni negli organi amministrativi. Se questo avvenisse, e se dovesse rappresentare un’utilità per la Società, e se le persone indicate fossero in possesso di requisiti di professionalità e di onorabilità, tali da costituire un arricchimento negli organi collegiali non vedo remore all’inserimento di alcuni nominativi nelle liste da presentare all’Assemblea. Le Banche Popolari hanno progredito anche perché ai vertici hanno avuto persone che si sono impegnate con onestà e passione ed hanno creduto nei principi e nei valori delle stesse. Le maggioranze e le minoranze una volta elette debbono operare tutte insieme nel superiore interesse della Banca. Quando abbiamo celebrato i 140 anni di vita della Banca Popolare di Bergamo, nel 2009, il Professor Tancredi Bianchi, a un giornalista che gli chiedeva di esprimere un giudizio sulla Banca ha detto: “È la storia di persone che hanno sempre anteposto l’interesse della Banca a qualsiasi interesse personale”. È quanto io auspico anche per il futuro».
Si metta nei panni di un imprenditore, quale peraltro lei è, e venga in banca a chiedere un prestito. Cosa farebbe?
«Porterei un progetto valido. In presenza di certi requisiti le progettualità imprenditoriali sono finanziabili. Ma non si può pensare che tutto sia meritevole di supporto. Si parla tanto di credit crunch, ma ci sono molti elementi che vanno valutati».
Che cosa salva del mondo imprenditoriale bergamasco?
«Il grande impegno, in alcuni casi lo spirito di sacrificio, la capacità di essersi rimboccati le maniche e di aver guardato avanti, ricercato nuovi mercati soprattutto, ma anche nuovi prodotti. In alcuni casi la crisi purtroppo ha mietuto qualche vittima».
Lei si sarebbe mai aspettato un periodo così duro?
«Nel 2007, quando effettuammo l’incorporazione con Banca Lombarda, forse solo qualche economista preveggente fu in grado di anticipare quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Ci ha colto quasi di sorpresa, per le dimensioni e per la durezza delle condizioni. Speriamo di intravedere la luce in fondo al tunnel».
Come vede Bergamo, adesso?
«Ci sono state importanti realizzazioni, penso allo sviluppo dell’aeroporto e a cascata il turismo e i servizi».
Orio ci porta milioni di passeggeri e intanto i pendolari attraversano i binari per prendere il treno per Milano…
«Mi auguro che questo sia un problema che trovi presto una soluzione…».
Ma non difettiamo di progettualità?
«Non direi, abbiamo alcune eccellenze: Università, ospedale e aeroporto indicano questo. Credo che anche la vita dei bergamaschi sia migliorata».
L’anno prossimo ci sono le elezioni. Che cosa si augurerebbe per Bergamo?
«Il voto è segreto! Mi auguro che la città venga retta da persone oneste e che abbiano a cuore le sorti della città».
È una risposta ecumenica! Tentorio farebbe bene a ricandidarsi?
«Tentorio ha bene amministrato, così come il suo predecessore, pur con qualche sbaglio, tipico di chi fa».
La Fondazione del Credito Bergamasco sta preparando per il 2015 la mostra di Palma il Vecchio. La Fondazione BPB cosa ipotizza di metter in campo?
«Abbiamo ristrutturato il complesso di Sant’Agostino con un impegno notevole, porta Garibaldi e ancora Astino e la chiesa del nuovo ospedale di Bergamo e dando sostegno a molti organismi. Vedremo che cosa mettere in campo».
L’anno prossimo scade anche il suo mandato come presidente della Banca Popolare? Che fa? Pensa di andare o restare?
«Vedremo cosa deciderà il Consiglio».
Prima suo padre, adesso lei, tra poco toccherà a suo figlio Matteo?
«Vedremo se saprà guadagnarsi l’apprezzamento degli organi deliberanti».
Si augurerebbe di vederlo sulla poltrona che è stata sua e prima ancora di suo padre?
«Con questa banca abbiamo un legame affettivo».
Tornasse indietro rifarebbe tutto?
«Cercherei di evitare certi errori, quelli che fanno un po’ tutti».
Qual è stato il giorno più bello, qui dentro?
«Ce ne sono stati molti, non saprei citarne uno in particolare».
Bpb è il gioiello di Ubi…
«Abbiamo a che fare con una clientela solida, con un’imprenditoria capace e questo ci ha consentito di risentire meno della crisi».
Chi le ha dato più dispiacere Jannone o Masnaga?
«Lascio il giudizio ad altri. Passi ad un’altra domanda».
Dieci anni fa alla domanda: "C’è qualcuno in particolare che l’ha delusa?" mi rispose “Non in modo particolare”
«Anche adesso questa resta la mia risposta».
Quali sono i peccati che le inducono più indulgenza?
«Mi rifaccio a quello che dice Papa Francesco: chi siamo noi per giudicare? Dovrei pensarci».
Ritorniamo al tema della meditazione. Forse questo suo procrastinare è sintomatico. Trovarsi a tu per tu con se stessi non è facile…
«È mancata l’occasione».
In quel caso le sarà inevitabile trovarsi a tu per tu con il Padreterno. Che cosa gli chiederebbe?
«Di essere molto misericordioso nel giudicarmi».
Che cos’è per lei la misericordia?
«Bisognerebbe chiederlo di nuovo a Papa Francesco. Tutti, nella vita, abbiamo fatto degli errori, io non sono esente».
Uno sbaglio in particolare?
«Dovrei fare un bell’esame di coscienza. Le darò una risposta, dopo i due giorni meditativi».