Le signore dei casoncelli

da sinistra, Bianca Licini, Giuliana e Iosette Carenini
da sinistra, Bianca Licini, Giuliana e Iosette Carenini

“Tot nostrà meno ol pà” (“tutto nostrano tranne il pane”). Sin dall’inizio dell’attività – era l’8 dicembre del 1969 – la trattoria del Moro, di Ponteranica, ha avuto ed è rimasta fedele a questo motto che corrisponde ad una filosofia operativa, ad un modo di lavoro.

Il Moro era Carmelino Carenini, che con la moglie Maria Fiorona ha avuto l’idea di aprire una trattoria nei pressi della propria abitazione. Una posizione poco appetibile, se vogliamo, da un punto di vista strettamente commerciale, visto che da Ponteranica si deve salire qualche chilometro sulla montagna, anche se le indicazioni sono molto chiare. Non ha però sbagliato, dal momento che l’attività continua fiorente fino ai nostri giorni, in una struttura che può ospitare sino a 170 coperti.

trattoria del Moro esternoCerto le punte di lavoro sono nei fine settimana sia invernali, per la particolarità della cucina, sia estivi, per la piacevole freschezza che può spezzare la calura cittadina. Una specie di gita fuori porta, anche se nel periodo estivo non sono in pochi a salire per la pausa di mezzogiorno con la proposta del menù a prezzo fisso di 11 euro.

Dalla metà degli anni Ottanta un terzetto di briose e simpatiche signore manda avanti l’attività. Tutto è rimasto in famiglia: Iosette, in cucina, e Giuliana, in sala, sono infatti figlie di Carmelino Carenini mentre Bianca Licini, anche lei in sala, è cognata delle altre due. «Abbiamo clienti che vengono da noi da generazioni – racconta Giuliana –. Si tratta di gruppi di amici ma soprattutto di famiglie. Bambine che oggi sono mamme, si può dire che molti sono clienti da quarant’anni. Certo qualcosa sta cambiando, stanno arrivando anche i turisti, soprattutto stranieri, particolarmente quelli che visitano la pala del Lotto, nella chiesa di Ponteranica. Ecco quindi che abbiamo anche il menù in inglese e poi, per stare al passo con i tempi, abbiamo anche un menù vegetariano. Per il resto non è cambiato niente, seguiamo la nostra cucina tipica bergamasca, semmai abbiamo variato il modo di presentare i piatti».

Di certo per arrampicarsi, sia pure alle prime pendici della montagna (la strada è sufficientemente agevole), ci vogliono dei buoni motivi soprattutto, nel nostro caso, gastronomici. In realtà, sotto questo profilo, per andare alla Trattoria del Moro ne basta uno: i casoncelli alla bergamsca. Su questo piatto sono in molti i ristoratori, a torto o a ragione, a ritenere di avere la ricetta migliore, quella col segreto tramandato da qualche nonna. Attenzione: dal Moro non si scherza, qui i casoncelli sono veramente buoni e pur non potendo stilare una graduatoria di merito riteniamo di poterli collocare in un novero abbastanza ristretto di eccellenze. Piacevano persino al compianto Vittorio Cerea, il quale suggeriva di aggiungere solo un po’ di uova in più nell’impasto. Non sappiamo se sia stato fatto.

trattoria del moro - ponteranica - casoncelli - rit

«Di casoncelli ne prepariamo un bel po’ – conferma Iosette Carenini, regina assoluta della cucina – visto che sono il nostro piatto forte e ci atteniamo scrupolosamente alla ricetta originale. Non vedo motivo per cambiare dal momento che stanno funzionando bene sin da quando è iniziata l’attività. Per quanto riguarda gli altri piatti, proponiamo solo quelli della cucina tipica bergamasca. Abbiamo provato anche con il pesce ma ci sembrava un po’ un controsenso in questa cornice. Noi abbiamo tutta una storia nostra, alleviamo maiali, conigli, galline e coltiviamo verdure, avendo cura comunque di far seguire a questi prodotti tutta la trafila prevista dalle norme sanitarie. Sì, i casoncelli van bene, ma anche con il salame di nostra produzione non scherziamo!».

Trattoria del Moro - Ponteranica - la cantinaLa scrupolosa osservanza della cucina bergamasca viene declinata sulla carta del Moro in piatti che possiamo citare tutti, visto che non sono moltissimi: salame con polenta e funghi o affettati misti per antipasto. Casoncelli burro e salvia, tagliolini ai funghi porcini e foiade al sugo di lepre quali primi piatti mentre le seconde portate sono costituite da costata, nodini, spiedini, cotechini, polenta e coniglio al vino rosso, polenta e manzo al barolo, polenta e stracotto d’asino, polenta con funghi porcini trifolati, polenta lumache e funghi porcini, cinghiale con verdure stufate e polenta con funghi porcini e branzi. C’è anche la polenta taragna che può essere abbinata ai diversi piatti.

Con tre portate e vino della casa si possono spendere sui trenta euro, ma quattro fette di salame con un po’ di polenta ed un piatto di casoncelli valgono da soli la pena di un paio di chilometri di salita.

Trattoria del Moro

via Castello, 42
Ponteranica
tel. 035 573383
chiuso il lunedì
www.trattoriadelmoro.com


Fuori casa, l’avanzata dei take away

takeaway

Il Rapporto ristorazione Fipe 2016, presentato ieri a Milano, fa il punto sui pubblici esercizi italiani. Nel nostro Paese nel 2016 è proseguito, secondo le stime dell’ufficio studi della Federazione, da un lato il calo dei consumi alimentari domestici (-0,1%), dall’altro l’incremento di quelli fuori casa (+1,1%) peraltro ben rilevato dallo stesso Indicatore dei Consumi Fuori Casa (Iceo) che sale al 41,8% dal 41,6% del 2015.

Si conferma, inoltre, il trend che vede un’Italia in controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove al contrario i consumi alimentari fuori casa hanno registrato una significativa contrazione. Guardando all’Europa nel suo complesso, infatti, i consumi alimentari valgono 1.541 miliardi di euro suddivisi tra il 64,2% nel canale domestico e per il 35,8% nella ristorazione, con differenze notevoli tra Paesi. Si spazia dalla Germania, dove i consumi alimentari nella ristorazione rappresentano meno del 30% del totale, al Regno Unito (47%), alla Spagna (52%) e all’Irlanda (57%).

In Europa tra il 2007 ed il 2015 si è registrata una flessione dei consumi pari a circa 22 miliardi di euro ma nel nostro Paese la contrazione degli alimentari ha riguardato quasi del tutto il canale domestico, a differenza di quanto successo ad esempio in Spagna (-14,3 miliardi di euro) o nel Regno Unito (-7 miliardi di euro).

Ma chi sono gli avventori dei pubblici esercizi in Italia? Nel 2016, 39 milioni di italiani hanno consumato pasti fuori casa, così divisi: 13 milioni di heavy consumer, coloro che consumano 4-5 pasti fuori casa a settimana. Per lo più uomini (53,9%) di età compresa tra i 35 e i 44 anni (23,7%) e residenti al Nord Ovest (29,5%) in centri abitati tra i 5.000 e i 40.000 abitanti (36,8%); 9 milioni di average consumer, quelli che consumano almeno 2-3 pasti fuori casa a settimana. Sono in prevalenza uomini (51,7%), residenti in Centro Italia (29,1%) in centri abitati tra i 5.000 e i 40.000 abitanti (37,9%); 17 milioni di low consumer, che consumano pasti fuori casa 2-3 volte al mese. In questo caso si tratta in prevalenza di donne (54,8%), di età superiore ai 64 anni, residenti nelle regioni del Nord Italia, in centri abitati tra i 5.000 e i 40.000 abitanti (40,1%).

La giornata degli italiani

A colazione

6 italiani su 10 fanno colazione fuori casa. 5 milioni di italiani non rinunciano a cappuccino e brioche 3 o 4 giorni a settimana

colazione-cappuccino-croissantIl Rapporto Fipe passa in analisi la ripartizione dei consumi fuori casa durante l’arco della giornata. Dall’indagine emerge che più di sei italiani su dieci consumano, con diversa intensità, la colazione fuori casa: cinque milioni di italiani consumano fuori casa la colazione almeno 3 o 4 volte alla settimana, per quattro milioni si tratta invece di un rito quotidiano. Il locale per eccellenza dove gli italiani consumano la colazione è il bar/caffè, senza alcuna distinzione di genere, età o area geografica. Il bar/pasticceria è secondo in classifica per preferenza, preferito soprattutto dalle donne (65% contro il 57% degli uomini) e nel Nord Est (64%). Le alternative restano esigue, come i distributori automatici, scelti dal 17% dei consumatori. A colazione gli italiani spendono in media 2-3 euro; solo l’1,5% spende meno di un euro e in questo caso si tratta di heavy consumer.

A pranzo

Il 67% degli italiani pranza fuori casa durante la settimana, per 5 milioni di italiani è ormai un rituale, almeno 3-4 volte a settimana

spaghetti-amatricianaPassando al pranzo, la tipologia di consumo e prezzo relativo dipende in larga misura di giorni della settimana. Al 67% degli italiani, pari a poco meno di 34 milioni, capita di consumare il pranzo fuori casa durante la settimana, e per cinque milioni si tratta di un’occasione abituale (3- 4 volte alla settimana). I tre profili di consumatori si caratterizzano per evidenti differenze: gli “heavy” consumano il pranzo soprattutto al bar, mangiando un panino o un primo piatto, gli “average” e i “low” scelgono sia il bar che il ristorante preferendo la pizza. La spesa durante la settimana si concentra prevalentemente nella fascia 5-10 euro (45,5%). Nel week end luoghi, prodotti e spesa cambiano significativamente: ristoranti/trattorie e pizzerie scalano la classifica, preferiti rispettivamente dal 56,2% e dal 39,5% degli intervistati. La spesa sale nella fascia 10-20 euro con il 42,2% delle risposte.

A cena

Il 61,7% esce a cena almeno una volta al mese, 2 milioni di italiani escono 3 volte a settimana, in particolare in osterie e pizzerie

ristoranteArrivando a sera, l’analisi Fipe rileva che il 61,7% degli intervistati ha consumato almeno una cena fuori casa con riferimento ad un mese tipo. Poco meno di due milioni hanno cenato fuori casa almeno tre volte alla settimana, prediligendo soprattutto le osterie e, in seconda scelta le pizzerie. La fascia di prezzo di una cena tipo è tra i 10 e i 20 euro, anche se più di un terzo degli italiani riserva ad una singola cena dai 20 ai 30 euro. Solo un intervistato su cento è disposto a pagare più di 50 euro per consumare l’ultimo pasto del giorno. La disponibilità a pagare degli heavy consumer risulta significativamente differente rispetto ai “low”: i primi pagano in media tra i 20 e i 30 euro, mentre più del 50% dei low consumer si accontenta di una cena compresa nella fascia 10-20 euro. I residenti nel Nord Ovest si dimostrano più propensi a spendere: il 13,2% paga più di 30 euro per una cena tipo, percentuale che nel Sud e nelle Isole è inferiore al 5%.

La “demografia” dei pubblici esercizi

Calano i bar del 3,9%, aumentano del 35% i take away

In continua espansione si è dimostrata anche la rete dei pubblici esercizi, con un aumento dell’8,1% nel 2016 rispetto al 2008, pari ad un valore assoluto di +20.184 imprese. Guardando invece alle tipologie di esercizi i bar hanno registrato un calo del 3,9% a fronte di un aumento dei take away del +35%. Puntando l’attenzione sui centri storici, si è confermata inoltre la tendenza, emersa negli ultimi anni, ad una dequalificazione dell’offerta commerciale, con il rischio concreto di vedere depotenziata la forza competitiva dell’Italia nel mercato turistico internazionale: fortemente rafforzata, infatti, risulta la presenza di esercizi take away (+41,6%), cui fa da contraltare il calo dei bar (-9,5%).

Le dinamiche dell’occupazione

L’input di lavoro del settore dei pubblici esercizi conta oltre un milione di unità, misurato in unità di lavoro standard, mentre le ore lavorate sono rimaste al di sotto dei livelli del 2008. Rispetto a sei anni fa, invece, il settore ha assorbito circa l’1% in meno del fabbisogno delle ore complessivamente lavorate. La produttività delle imprese della ristorazione non solo risulta bassa, ma anziché crescere è diminuita risultando inferiore di quattro punti percentuali rispetto al 2009 anche se nel corso del 2015 si sono registrati segnali di recupero.

I prezzi

Per quanto riguarda i prezzi, nel mese di ottobre 2016, l’ultimo rilevato nel Rapporto, quelli dei servizi di ristorazione commerciale (bar, ristoranti, pizzerie, ecc.) hanno registrato un aumento dell’1% rispetto allo stesso mese del 2015 mentre per la ristorazione collettiva l’incremento è stato del 2%. Prendendo in esame l’andamento dei prezzi di alcuni prodotti di punta del consumo alimentare fuori casa, negli ultimi giorni è stata dedicata grande attenzione alla variazione dei prezzi nei quindici anni che intercorrono dall’introduzione dell’euro: prodotti di punta del consumo alimentare fuori casa, dalla pizza alla tazzina di caffè, sono diventati i principali bersagli della denuncia di aumenti straordinari e ingiustificati. Ad un’attenta analisi dei dati, invece, si giunge a conclusioni assai diverse. Nel 2002 la rilevazione del prezzo della tazzina di caffè al bar effettuata sui listini dei bar in diverse città campione forniva un prezzo medio di 1.533 lire, che convertite in euro davano 0,79. I prezzi rilevati dall’Osservatorio Prezzi a novembre 2016 sulle stesse città indicano un valore medio di 0,98 euro: il risultato è un incremento del 24%.

 


Bar e specialità alimentari, ad Antegnate un nuovo scrigno di sapori

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C’è una bella storia di famiglia e di impresa dentro al Dolcefreddo Cafè, locale aperto dallo scorso 27 settembre nella zona artigianale di Antegnate, in via Meucci 2. La storia di un’azienda attiva da quasi trent’anni nella distribuzione all’ingrosso e al dettaglio di surgelati, che ha fatto proprie le parole d’ordine di questi tempi: rinnovarsi e diversificare. E la scelta di Alessia, assistente di volo sui jet privati, di mettere la propria esperienza nella selezione di piatti e prodotti per i vip internazionali al servizio della nuova iniziativa di famiglia.

«La crisi ci ha spinto a reinventarci – racconta Maria Guida Rubini, che ha fondato nell’89 con il marito Gian Paolo Bandera la Dolcefreddo -. Il settore del freddo è stato particolarmente colpito, perché i costi di gestione sono alti, e molti dei venditori porta a porta che servivamo hanno chiuso. Così abbiamo deciso di concentrarci sulle forniture per le feste estive e di dedicarci anche all’acquisto e vendita di attrezzature usate per pasticcerie, panifici, bar e negozi di alimentari. Abbiamo anche aperto un locale, dove, accanto alla caffetteria, ai pranzi veloci e agli aperitivi, si possono trovare vini e specialità alimentari accuratamente scelti in tutti questi anni di attività nelle forniture».

cesti-natale-dolcefreddo-cafe-7Natale è il momento migliore per farsi confezionare un cesto regalo, personalizzato nel contenuto e nella forma, o trovare un buon prodotto da portare in tavola. Ci sono i panettoni griffati Flamigni, Scar Pier, Muzzi, il cioccolato di Babbi, ma anche parmigiano, salumi, come il salame di Montisola o la coppa di un produttore locale, e poi i vini, Franciacorta e toscani soprattutto.

«Lavorando sui jet privati ho avuto la conferma di quanto valga il made in Italy», spiega la figlia Alessia, 26 anni, dall’età di 21 impegnata come assistente di volo (dalle Svalbard allo Zambia, da Kabul a Baghdad) per questa fascia esclusiva di viaggiatori. «Oltre a curare l’ospitalità a bordo ci si occupa del catering e non abbiamo idea di quanto sia apprezzata una mozzarella di bufala o una cotoletta – prosegue -. Da qui siamo partiti con l’idea del locale, dal valorizzare ciò che di semplice e buono ci invidia tutto il mondo».

Tra i piatti per la pausa pranzo si può trovare, ad esempio, quello con stracciatella, alici e pomodori secchi, oppure insalate ricche. L’obiettivo è caratterizzarsi per gli aperitivi e i taglieri con salumi, come quelli di cinghiale e cervo, e formaggi accompagnati ad un buon calice di vino. «Non abbiamo la cucina – dice Alessia, che nel locale è affiancata dalla sorella Federica, 28 anni -, ma ci stiamo organizzando per servire i taglieri con una scodella di polenta fumante. Piace a tutti, è appagante, credo che possa essere un’idea per uno spuntino o un aperitivo diverso dai soliti buffet o dalle classiche patatine e noccioline». Insomma Dolcefreddo Cafè vuole diventare un posto di piccoli piaceri per il palato.

«Continuo a lavorare sui jet come freelance, se sto un mese senza volare mi manca la terra sotto i piedi! – confessa Alessia -. Intanto ho però scelto di dare una mano alla mia famiglia in questo nuovo capitolo della nostra storia aziendale».

dolcefreddo-cafe-3Dolcefreddo Cafè

via Meucci, 2
Antegnate
tel. 0363 914240


E nell’ex manicomio arrivò il bistrò

onp-bistro-salaUna macchia di colore vivace in un contesto che ricorda altre vicende, seppur mitigato da una provvidenziale cornice di verde. Così ci è apparso l’Onp Bistrò: una sigla talmente dichiarativa da far trasparire un’intelligente autoironia nella scelta.

Sì, siamo proprio all’interno dell’ex ospedale neuropsichiatrico, ex manicomio per intenderci, a Bergamo in via Borgo Palazzo al numero 130. Con l’abolizione dei manicomi, l’ampio complesso, come si sa, offre spazio ad una serie di servizi sanitari e ad associazioni che operano nella sfera della sanità e del sociale. Ci lavorano circa 400 persone e il bistrò rappresenta la soluzione alle loro esigenze per la colazione, gli spuntini o la pausa pranzo. Ma sono di ordine diverso le motivazioni che hanno portato all’apertura del locale, inaugurato lo scorso mese di maggio.

«L’Onp Bistrò – racconta Giancarlo Cadeo, 35 anni, oste, educatore e coordinatore del progetto – è un locale pubblico a tutti gli effetti e siamo quindi aperti sia a quanti operano all’interno di questa struttura sia a chi proviene dall’esterno. Siamo sul mercato, insomma, non viviamo una situazione protetta, ma allo stesso tempo non siamo né un bar né un ristorante comune. Usiamo infatti la ristorazione per scopi educativi ed in particolare per l’inserimento lavorativo di soggetti con difficoltà psichiche. L’iniziativa ha perciò un doppio valore, rendere un servizio importante per chi lavora qui, per i pazienti e per gli utenti degli ambulatori e dei servizi del complesso, e perseguire i nostri obiettivi sul piano sociale».

Diversi i soggetti che hanno contribuito alla realizzazione del progetto, a partire dall’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII e dall’Aps “Circolo ricreativo Day Care”, passando per l’Ats di Bergamo, ossia l’ex Asl, la cooperativa Bonne Semence che ha curato la ristrutturazione dell’immobile per arrivare alla cooperativa sociale Namastè e al suo ramo che si occupa di ristorazione, La Magnolia catering. Il bistrò ha sede nella palazzina che prima ospitava il forno e poi lo spaccio dell’ex manicomio. L’edificio è stato completamente rimesso a nuovo ed oltre al bar ristorante del piano terra con 60 coperti (presto lo spazio verrà ampliato con la chiusura dell’attuale dehors) dispone di una sala polivalente, in fase completamento al piano superiore, destinata ad ospitare incontri e mostre.

onp-bistro-banco«Stiamo crescendo con i nostri tempi per dare modo al locale di consolidarsi – continua Cadeo –. Abbiamo una struttura professionale, del resto La Magnolia, con il suo centro di cottura di Treviolo, fornisce già 250 pasti per la refezione collettiva ed è specializzata in catering. Qui possiamo contare su un cuoco professionista, Ermanno Carrara, che ha alle spalle 35 anni di attività anche ad alto livello, ed una barista professionista. Abbiamo scelto la formula del self service per non mandare i ragazzi che vogliamo inserire “allo scoperto” direttamente ai tavoli. Stare dietro al bancone per loro offre una maggiore protezione. Per il momento abbiamo effettuato due inserimenti di soggetti in difficoltà ed abbiamo due tirocinanti. Il self service è però anche perfettamente funzionale al luogo e al tipo di clientela, che per lo più richiede un servizio veloce e fa attenzione ai prezzi».

Anche la cucina ha una sua precisa filosofia. «La Magnolia punta su una ristorazione attenta all’ambiente, alle persone e alla salute – evidenzia Cadeo -. Per le materie prime utilizziamo prodotti biologici e, dove è possibile, della filiera corta e del commercio equo e solidale. Ci riforniamo anche da alcune cooperative locali e seguiamo molto, quindi, anche la stagionalità. Un altro tema importante è quello della lotta agli sprechi, mentre per quanto riguarda le proposte non mancano i piatti che valorizzano le verdure, all’insegna della leggerezza e delle scelte salutari». «Il bistrò porta un servizio all’interno della struttura cittadina – conclude – ma è anche un locale molto caldo e accogliente, un punto d’incontro decisamente ospitale, non certo la classica mensa».

LA PROVA

onp-bistro-piattoAperto a tutti ma al momento utilizzato prevalentemente dal personale delle strutture mediche e associazioni ospitate nel complesso dell’ex manicomio, l’Onp Bistrò offre un’ampia scelta in termini di costi per soddisfare le varie esigenze della pausa pranzo. Si va dal pasto completo proposto a 10 euro sino alla scelta dei singoli piatti, da 4 a 6 euro, oppure il trancio di pizza a 4 euro e quello di focaccia a 3. Contorni, macedonia, acqua e pane per completare il tutto hanno prezzi più che accessibili.

Ci sono anche menù coordinati: per un primo piatto, un contorno, pane e acqua, oppure per due contorni, pane e acqua si spendono 5,60 euro. Un secondo piatto con contorno, pane e acqua costa invece 7 euro. Il menù completo è presentato a 10 euro, come detto, e comprende primo, secondo, contorno, pane, acqua e caffè. Nella determinazione dei prezzi si è tenuto conto anche del valore dei ticket a disposizione di chi lavora nella struttura.

In occasione della nostra visita, le proposte del giorno, che oltretutto possono essere visionate quotidianamente sul sito www.lamagnolia.it, comprendevano: crema di verdure, strozzapreti ai formaggi orobici e porcini freschi, guanciale di manzo al Valcalepio con crostone di polenta, sformatino di quinoa su fonduta di pomodoro, cous cous vegetariano, prosciutto e melone. Ampia e ben assortita la scelta delle verdure, cotte e crude, per i contorni.

Gli strozzapreti ai formaggi e porcini e il manzo al Valcalepio hanno attirato la nostra attenzione e non ce ne siamo pentiti. Buon rapporto qualità-prezzo e di certo superiore a quanto ci si può aspettare per un complesso di ristorazione collettiva.

L’ASSOCIAZIONE

«La ristorazione strumento per creare un legame con il territorio»

Un self service, un bar, una sala multifunzionale per conferenze ed esposizioni, un luogo della memoria per quanto riguarda la psichiatria nella nostra provincia, un’opportunità per l’inserimento lavorativo di soggetti fragili, un’occasione per favorire incontri con persone in condizioni di disagio psichico. L’Onp Bistrò è tutte queste cose, un progetto complesso realizzato grazie alla cooperazione tra diverse realtà. Ad innescare il tutto, l’Aps Circolo ricreativo Day Care che ha avuto in comodato d’uso dall’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo la palazzina ex spaccio nel quale è stato realizzato.

«È un’iniziativa che ha richiesto tempo e il contributo di diversi soggetti per poter decollare e concretizzarsi – spiega la dottoressa Serena Bruletti, membro dell’Aps insieme ad altri operatori psichiatrici, a volontari e a rappresentanti delle associazioni di familiari, e psichiatra responsabile del servizio di riabilitazione della UOP I dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII –. L’Onp Bistrò è un tassello importante della nostra attività e nella nascita di questa idea ci si è ispirati ad iniziative analoghe già ampiamente decollate come quella di “Olinda” a Milano, che ha sede nell’ex manicomio Paolo Pini e che è nota per iniziative di ristorazione di ottimo livello. Gli obiettivi sono molteplici, ma soprattutto vogliamo in questo spazio creare occasioni di integrazione e di inserimento lavorativo. Non si tratta di abbattere delle barriere ma, al contrario, di accogliere, di includere, di far sì che questo spazio sia vissuto e sentito proprio dalla città. Il bar, il ristorante, la sala polivalente possono essere il fulcro di tante iniziative culturali e artistiche. Pensiamo che possa anche favorire l’emersione e la valorizzazione dell’arte irregolare, che rappresenta un patrimonio di creatività che persone al di fuori dell’esperienza del disagio psichico non hanno. Ora che l’Onp Bistrò è attivo la sfida è aperta: tutti possono entrare, farsi coinvolgere. La ristorazione è uno strumento forte per creare un legame con il territorio e per favorire contatti e iniziative in cui la prossimità tra sani e malati diviene un valore aggiunto per la vita di entrambi».

Onp Bistrò

via Borgo Palazzo, 130
Bergamo
tel. 035 233981
aperto da lunedì a venerdì dalle 7,30 alle 16.


Nuove aperture a Bergamo. «Dopo principesse e cucine stellate, ecco la mia Osteria»

Nato sulle ceneri del ristorante Al Pitentino, che a sua volta aveva rimpiazzato lo storico indirizzo cinese del Bambù, lo scorso mese ha inaugurato, a due passi dal Palasport cittadino, un nuovo locale da tenere sott’occhio. Si chiama N.O.I, con un acronimo che, secondo il volere dei due proprietari, cela la filosofia di una Nuova Osteria Italiana, ma, in qualche modo, anche la volontà da parte della coppia di voler presentare una cucina personale e libera da schemi, dettata dal mood del momento e dal piacere di stare a tavola senza eccessive complicazioni intellettuali da dover soddisfare.

Eppure, a incuriosire sono proprio le vicende professionali messe in fila nel recente passato dal cuoco ventinovenne Tommaso Spagnolo, che in quest’avventura ha coinvolto il quasi coetaneo Guido Gherardi (30 anni, anche lui bergamasco), esperto di ospitalità e gestore, in passato, di un bed&breakfast a Bergamo. La passione per la cucina, da parte di Spagnolo, ha radici lontane nel tempo, ma non è legata alla storia di una famiglia di ristoratori. «Tutto è nato perché poco più di una decina di anni fa mi divertivo a cucinare per gli amici – ricorda oggi sorridendo – e proprio da quelle serate è nata l’idea di farla diventare una vera e propria professione. La prima esperienza significativa è stata da Frosio, ad Almé, ma poi sono passato anche da Il Saraceno a Cavernago e alla Cantalupa, dai Cerea, mentre iniziavo a frequentare i corsi della Scuola gastronomica a Colorno. In seguito, dopo aver conosciuto un po’ della cucina d’eccellenza che si poteva avvicinare in provincia di Bergamo, ho pensato che valeva la pena di fare esperienze in giro per l’Italia e all’estero. Prima sono stato dalla grande Valeria Piccini, a Montemerano, alla corte di una donna sanguigna dalla quale ho imparato soprattutto il valore della tradizione e della terra. E dalla quale mi diverto a tornare quasi ogni anno per assaggiare i suoi piatti e riprovare quelle sensazioni. Poi, si è presentata l’occasione di svolgere la mansione di cuoco privato per Marie Chantal Miller, la principessa della corona di Grecia e la moglie di Paolo di Grecia. E questa è stata un’esperienza decisamente unica, con base nel quartiere di Chelsea a Londra, ma sempre in giro per il mondo, con molti viaggi a spezzare la monotonia, tra Bahamas e Gstaad, tra Vip, politici attori e teste coronate. Come quella volta che ho preparato i gamberi in tempura per Uma Thurman».

Tra sfizi concessi solo agli ultraricchi e una vita da girovago però il cuoco bergamasco ben presto si rende conto che gli manca la tensione di una cucina vera: «Fare il cuoco di famiglia può essere molto divertente, perché a quei livelli non ti manca nulla. E tutto ti viene concesso tra mille stravaganze e nessun limite di spesa. Però va detto che manca l’atmosfera, manca la sensazione di far parte di una vera brigata. Così ho deciso dopo un anno di cambiare, pur fermandomi sempre a Londra, ma al Dinner, da Heston Blumenthal, per assaporare l’energia pulsante di una grande cucina stellata e di uno dei migliori ristoranti della lista dei 50 Best Restaurants of the World. Anche qui sono rimasto per dodici mesi prima di andare a New York da Daniel Humm al celebre Eleven Park Madison, come chef di partita alle carni e al pesce. Quest’ultima rimane la più recente tappa lavorativa, anche perché sapevo che nel mio destino prima o poi ci sarebbe stato il ritorno a Bergamo, ma è stata anche una delle più significative. Mi viene in mente, tanto per dire, dell’incontro con Ferran Adrià, il mito della cucina dei giorni nostri».

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A Bergamo, invece, Tommaso Spagnolo si presenta con uno stile che solo a tratti mostra delle sue scorribande negli stellati. In realtà c’è una forte attenzione nella scelta della materia prima (in parte anche locale) più che in quella delle tecniche di cottura o nell’estetica del piatto capaci di sbalordire. «Ora che finalmente ho il mio ristorante – rivela con schiettezza il cuoco – vedo il lavoro come puro divertimento, non certo come strumento per arrivare a dei riconoscimenti da parte di guide e di addetti ai lavori. La mia idea è quella di una cucina molto semplice, quasi convenzionale, con una spesa accessibile per il cliente e che rimane vicina più o meno ai 50 euro. In fin dei conti, vorrei mettere al servizio di un’osteria contemporanea i frutti delle esperienze maturate, ma senza eccessi e sensazionalismi. Certo, in futuro voglio fare anche un po’ di ricerca nel piatto, ma non va dimenticato che il ristorante N.O.I è ancora giovane, ha appena aperto e vuole sempre dare certezze alla sua clientela, senza voler essere arrogante o pretenzioso. Non si può certo paragonare alle cucine che ho visitato in passato. A Londra, per dire, c’è sempre una competizione incredibile, anche interna al ristorante, tra chi lavora, per emergere e farsi valere. Perché parliamo di brigate con trenta persone che lavorano a stretto contatto ogni giorno. Qui invece, per i quaranta coperti che offriamo mi accontento di poco, almeno per ora. Mi basta un aiuto cuoco in cucina e un lavapiatti. In qualche modo l’Osteria moderna è anche un’idea presa in prestito da altri cuochi italiani, come Scabin e Oldani. O perfino stranieri, come nel caso di Inaki Aizpitarte con il suo bistrò parigino».

Il menù al Noi cambia molto spesso, quasi giornalmente per alcuni piatti, ed è una scelta dettata da esigenze di food cost e da quello di buono che offre il mercato del fresco. In questi giorni capita di trovare le Mezze maniche di grano duro al ragù di cortile con funghi porcini, la Guancetta di maiale iberico con senape, salsa verde e gnocchetti, oppure la Vellutata di zucchine e mentuccia con ricotta profumata al limone o le Lumache, tra Bergamo e la Borgogna. Piatti che, oltretutto, qui si possono abbinare anche ai cocktail, come ormai accade spesso nei ristoranti alla moda.

ristorante-noi-bergamo-2Ristorante N.O.I

via Pitentino, 6
Bergamo
Tel. 035.237750
www.NOI-restaurant.it


Ad Albino anche la pizza sposa il “chilometro zero”

«Volevamo unire le esperienze e costruirci un futuro». Così sintetizza la nascita della Nuova Brasserie, ad Albino, il maggiore dei tre fratelli, Matteo Gualdi, 28 anni, che con David, 26, e Monica, 24, nel 2014, partendo da Vertova, ha deciso di iniziare non un’avventura ma un’impegnativa esperienza imprenditoriale. Alle spalle, regista segreta ma non troppo, la mamma Cosetta, 52 anni, che proviene da una lunga dinastia di ristoratori e sovraintende alla cucina.

Per il nome del locale i titolari hanno ripreso quello del pub molto in voga una decina di anni or sono aggiungendo solo “Nuova”. Ma molte cose sono cambiate.

albino - la nuova brasserie - internoCon l’ingresso dei nuovi proprietari, il ristorante pizzeria è stato completamente ristrutturato nella parte edilizia e rinnovato nell’arredamento. Ora le due sale, una al piano terra l’altra al primo piano, si presentano curate ed essenziali con la capienza per un centinaio circa di coperti. Ed essere cambiata non è però solo la struttura. «Avevamo un nostro progetto quando siamo partiti – continua Matteo – e sotto un certo profilo possiamo anche definirlo un locale polivalente visto che periodicamente facciamo musica dal vivo, karaoke e ogni mese ospitiamo la mostra di un artista diverso, che si tratti di pittori, scultori o fotografi. Ma siamo un ristorante pizzeria, non ce lo dimentichiamo, e quindi queste sono comunque iniziative di contorno».

Per capire gli obiettivi forse è meglio rifarsi al passato dei nostri protagonisti. Matteo proviene da un altro settore mentre David e Monica hanno sempre lavorato nelle pizzerie d’asporto. «Ho iniziato come pony pizza – interviene David – e con gli anni sono arrivato sino al forno maturando una buona esperienza. Anche Monica ha una robusta esperienza alle spalle, è lei la nostra pizzaiola principale». Se ne deduce che il cavallo di battaglia della Nuova Brasserie è la pizza, ma c’è un denominatore comune che caratterizza il lavoro sia della cucina sia della pizzeria e cioè la valorizzazione dei prodotti locali.

La carta propone sette pizze a chilometro zero ma anche i taglieri di salumi e formaggi sono locali e l’impasto della pizza contiene anche mais Spinato di Gandino. La cucina si fa rispettare con una carta sobria che segue le linee fondamentali di una proposta classica molto curata. Ecco quindi che chi ama i prodotti di terra può confezionarsi un buon menù con un tagliere di salumi, gli immancabili casoncelli alla bergamasca e una tagliata, ad esempio. Si possono trovare anche una tagliata di pecora o degli gnocchetti speciali sempre con ingredienti locali.

albino - la nuova brasserie - piattoTra i piatti di pesce si possono scegliere un tris fumè di tonno, spada e salmone, gli spaghetti allo scoglio o ancora del pesce spada o la piovra tiepida. La maggior parte dei dessert è fatta in casa e la lista viene completata con prodotti artigianali di pasticceria e gelateria.

«Dal punto di vista delle materie prime – conclude Matteo – ci rivolgiamo maggiormente ad aziende piccole e locali cercando di far conoscere e diffondere i loro prodotti. Proponiamo anche delle serate a tema. Recentemente ne abbiamo realizzata una che abbiamo definito “Cinquanta sfumature di ovino” con la carne proveniente da un’azienda agricola di Clusone. Per quanto riguarda la clientela, visto il tipo di locale, abbiamo una frequentazione giovane ma ci rivolgiamo in particolare alle famiglie che possono trascorrere una serata in pizzeria diversa, per la qualità della pizza e l’ambiente raffinato e tranquillo».

Nuova Brasserie Pizzeria Ristorante

via Provinciale, 94
Albino
tel. 035 752923
chiuso il martedì


Fudbox, ecco il regno degli hamburger

Sono andati fino in America per apprendere i segreti dell’hamburger perfetto, ma poi sono tornati in patria per tradurre quella ricetta con le migliori materie prime della tradizione italiana: così è nato FudBox, fenomeno che sta prendendo piede tra i giovani e non solo, di Bergamo.

L’hamburgeria di piazzale Oberdan, intesa come chiosco da strada e non come locale (la filosofia è molto diversa) nasce nel 2014 come punto d’incontro di una coppia diversissima eppure affiatata: da un lato Andrea Cologni, diplomato geometra con la passionaccia per la cucina, ma soprattutto preciso e organizzato, e dall’altra Ylenia Agate, creativa e scompigliata food designer. Coppia nella vita e nel lavoro hanno saputo unire conoscenza, creatività e… “gavetta” prima di trasformare il sogno in realtà, con la trasferta a San Francisco che ha fruttato loro un bagaglio di esperienza inestimabile sul fronte food.

«Degli americani – spiega Andrea – c’è sicuramente da apprezzare la rapidità d’esecuzione e la grande organizzazione in cucina, oltre alla capacità di marketing anche su piccola scala: di questi aspetti abbiamo sicuramente fatto tesoro, anche se sul fronte delle materie prime le nostre restano decisamente superiori. Io ho lavorato nel quartiere finanziario di “Frisco” in una caffetteria italiana e devo dire che gli americani hanno un vero e proprio culto per i prodotti italiani. Per questo ci siamo resi conto di avere un grande potenziale che poi avremmo sfruttato, tornando in patria».

«A San Francisco – aggiunge Ylenia – ci ritroviamo a sfatare un mito: la scarsa qualità degli hamburger. Mangiamo spesso in piccoli localini dove ci vengono serviti hamburger qualitativamente superiori con ingredienti freschi, così decidiamo quale sarà la nostra strada: ricercare l’eccellenza nel burger. Torniamo in Italia con un’idea fissa: aprire un locale tutto nostro dove sperimentare e condividere. E così è stato».

Il posto giusto per realizzare il loro sogno? «Un caratteristico chiosco direttamente in strada – spiegano loro -, come in Europa, in pratica in braccio alla città. Lo trasformiamo completamente, lavoriamo con colori e grafiche tutto fatto da noi, in tre settimane un chiosco di kebab diventa Fudbox, la nostra magica scatola di cibo».

hamburger - fudboxSi comincia con uno stuolo di ragazzini che divorano cheeseburger (o cisburger come lo chiamano loro) semplici e doppi e hot dog, due classici dello street food che non mancano mai, per poi scoprire che, a distanza di settimane e poi di mesi, l’età media della clientela continua ad alzarsi: c’è il liceale, l’universitario, persino qualche professionista, fino al passo strategicamente decisivo: la conquista dell’intera famiglia. «Dopo qualche tempo dall’apertura sono cominciati ad arrivare interi nuclei familiari – ricorda la coppia -, significa che avevamo passato la prova qualità, che i genitori si fidavano di noi e addirittura mangiavano il cibo prediletto dai loro figli perché lo ritenevano anche qualitativamente appagante».

Da allora la premiata ditta Fudbox non si è più fermata: ha sfornato decine di burger creativi, alternando sempre materie prime d’eccezione. «Il nostro segreto? Facciamo la spesa per il locale, dove ci riforniamo anche per noi: abbiamo il macellaio di fiducia per la carne, verduriere doc e panettiere che ci fa il pane su misura di vari formati, perché anche il pane di qualità è una componente fondamentale nella nostra offerta».

Una delle provocazioni di Andrea è l’hamburger senza… carne. «Era da tempo che studiavamo un panino vegetariano – spiega Cologni –, dopo diversi tentativi alla fine è nato il “Vege Burgher”, con melanzane, Salva cremasco, pomodori confit e pesto di basilico e pomodoro. Non è il classico Veggie Burgher di soia o di ceci ma un impasto di melanzane cotte alla piastra. In città non si trova un hamburger vegetale artigianale, ma noi abbiamo accettato la sfida. Vista l’ottima accoglienza, per noi questa è la dimostrazione che la qualità vince, con la soddisfazione di esserci fatti nuovi clienti anche tra i vegetariani che di solito se ne stanno alla larga dalle hamburgerie».

Andrea e Ylenia si stanno strutturando anche per il servizio catering, ma accanto ai banchetti tradizionali, con eventi già realizzati per banche e società, hanno varato la formula “fudbox a casa tua”, per feste di compleanno dei ragazzi, seguendo la nuova scia molto gettonata degli chef che cucinano live nelle case private: «Anche in questo caso il lavoro non manca – dicono loro – anche perché ai ragazzi che sono piaciuti i nostri burger, basta un attimo, con sms e WhatsApp, a mettere in circolo un passaparola formidabile».


Bù, anche Bergamo ha il suo cheese bar

Non è solo una moda, semmai un “modo” di considerare diversamente il formaggio: i cheese bar nascono proprio per mettere al centro dell’offerta gastronomica il patrimonio caseario italiano. Il fenomeno prende spunto dai “bar à fromage” molto diffusi in Francia fin dagli anni Ottanta, che trovano terreno fertile da noi soprattutto nell’ultimo periodo, prendendo il testimone dalle enoteche che avevano surrogato questa assenza storica sul territorio, con ristoratori esperti che ricoprono anche il ruolo di “divulgatori” del verbo caseario per rispondere alla crescente domanda degli appassionati.

E a Bergamo non poteva certo mancare un locale simile, che in pochi mesi ha già riscosso un forte interesse. Si tratta di Bù, che naturalmente vuol declinare la sfida del buono (in dialetto) in tante componenti. Aperto lo scorso 16 ottobre a un passo da piazza Dante, con un’offerta importante di caci della provincia e non solo, il cheese bar raccoglie in fondo l’eredità di quel progetto, chiamato “Forme”, che aveva animato ad Astino il Fuori Expo, rivendicando il ruolo di Bergamo come capitale dei formaggi d’Europa, forte, anche ma non solo, del primato delle Dop casearie, ben nove complessivamente.

Proprio la Latteria Sociale di Branzi, che con Francesco Maroni era stata l’“anima” di Forme, è ora la stessa che ispira questo progetto di ristorazione, con la collaborazione di tante altre realtà agroalimentari del territorio, che fin dalle prime settimane ha incassato un gradimento importante, tra l’altro con una trasversalità assoluta della clientela, che va dai giovani agli adulti che hanno come denominatore comune la passione per l’assaggio e la cultura casearia, ai turisti alla ricerca di un’offerta gastronomica tipica di qualità, fino alle coppie decise a sperimentare locali innovativi, senza contare tutti coloro che affollano il locale in pausa pranzo, per un break sfizioso durante il lavoro. Ad accoglierli è Jacopo Bravi con il suo staff, ragazzi giovani e preparati che stanno sul pezzo 7 giorni su 7 (non è previsto alcun giorno di chiusura) dalle 7,30 del mattino alle 2 di notte.

«La vera novità che ha introdotto Bù – spiega Bravi, 33 anni bergamasco, con alle spalle esperienze nella ristorazione e nell’alberghiero – è quella di proporre l’intera filiera del latte e non solo il prodotto finito. Per questo abbiamo creato in loco un mini caseificio, in cui produciamo, “live”, dagli yogurt alle creme, al burro chiarificato, fino alla lattica, che poi andranno ad arricchire la nostra offerta nel menù». La didattica e la trasparenza al potere, quindi, per far conoscere a tutti i segreti della trasformazione, che alla sua base ha come arma vincente il latte della montagna bergamasca, vero punto di forza del locale.

Poi naturalmente ecco sua maestà il formaggio declinato in tutte le maniere possibili: dai ricchi taglieri alle raclette, agli orologi “in purezza”, fino alle verticali, come quella del Formai de Mut solo d’alpeggio, con annate che vanno dal 2012 ad oggi. L’offerta vanta oltre 40 caci, con tutti i campioni locali: il Branzi naturalmente gioca in casa, ma poi ci sono taleggio, salva cremasco, stracchino all’antica, agrì, quartirolo, gorgonzola, senza contare i contributi di altre maison, come l’erborinato Rosso Imperiale di Casa Arrigoni affinato nelle vinacce o i superbi caprini della Via Lattea. A proposito di Branzi, c’è anche quello con latte di sola Alpina Originale, razza che si era ormai estinta in Italia, ma che è stata recuperata dalla Svizzera e che nel locale trova anche spazio nell’offerta degli hamburger, molto gettonati dai teenager.

E scorgendo il menù (accompagnato da oltre 50 etichette, dai migliori vini bergamaschi a una buona selezione lombarda e nazionale) scopriamo che un po’ tutte le portate (anche se con le dovute eccezioni) ruotano attorno al mondo

caseario: dai primi (consigliato il risotto al radicchio trevigiano con fonduta ai formaggi d’alpe o i paccheri cacio e pepe), ai secondi (con la meravigliosa cotoletta al Branzi) fino ai dessert (dalla pannacotta ai budini fino alle golose brioches alle creme prodotte con il latte della casa). Senza dimenticare il take away di alta qualità, per una spesa davvero “bù”…


Il formaggio dell’anno e il miglior cheese bar? Sono bergamaschi

Il Taleggio Dop del caseificio Giovanni Invernizzi

 

È bergamasco il miglior formaggio dell’anno. Si tratta del Taleggio Dop del caseificio Giovanni Invernizzi di Pontirolo Nuovo, insignito dello speciale titolo agli Italian Cheese Awards 2016, i premi dedicati ai migliori formaggi prodotti con latte 100% italiano e organizzati dell’ambito della manifestazione “Formaggio in Villa” di Mogliano Veneto. Il concorso, organizzato da Guru del Gusto, ha vissuto la serata finale al DoubleTree by Hilton, nel corso della quale sono stati consegnati i riconoscimenti ai vincitori delle diverse categorie. Bergamo ha ottenuto anche il premio “Cheese Bar dell’anno”, riservato alle attività innovative di somministrazione che propongono formaggio. La vittoria è andata a Bù Cheese Bar, aperto dallo scorso 16 ottobre in via Monte San Michele, nei pressi di piazza Dante, a Bergamo su iniziativa della Latteria sociale di Branzi.

La storia del caseificio Giovanni Invernizzi risale agli anni Trenta, con la signora Teresa che apre un negozio di raccolta latte e vendita di stracchini e formaggelle. Sposata con Giovanni Invernizzi, trasmette l’attività ai quattro figli, che la trasformano in un caseificio che oggi, quando al lavoro c’è anche la quarta generazione della famiglia, può contare su tre linee principali di produzione, i formaggi stagionati tra cui il Gran Padano Dop, quelli a pasta molle che hanno come maggiori esponenti Gorgonzola e Taleggio e la linea delle paste filate dedicata per la maggior parte alle mozzarelle.

bù cheese barIl Bù, che in dialetto bergamasco significa “buono”, è un locale aperto tutti i giorni della settimana dalle 7,30 del mattino alle 2 di notte e offre la possibilità di gustare le diverse forme del latte, non solo formaggi selezionati, quindi, ma anche yogurt, burro, creme. La formula unisce degustazioni, cucina e divulgazione, grazie anche alla presenza di un mini caseificio interno.


Birra e cucina, un matrimonio di gusto

“Se ami il cibo, ma conosci solo il vino, è come se cercassi di comporre una sinfonia con solo metà delle note e metà orchestra”. Oliver Garrett, il celebre birraio americano della Brooklyn Brewery ne è convinto. Ogni prelibatezza gastronomica può sposarsi alla perfezione non soltanto con un bianco fermo o un buon rosso ma anche con una birra di qualità. Basta scegliere quella giusta.

Ma se in America e nei Paesi nordici questo binomio è ormai un’abitudine consolidata, per una terra più legata al vino come la Bergamasca, e l’Italia intera, si tratta di una tendenza di più recente espansione.

Sono stati i giovani, abituati a viaggiare all’estero e alla costante ricerca di qualcosa di alternativo, i primi ad apprezzare la cultura brassicola, soprattutto durante le sagre e le Oktoberfest. Ed ora questa antica bevanda, le cui origini risalgono alla Mesopotamia, ha letteralmente conquistato un pubblico più maturo, andando ben oltre il banale accostamento con la pizza o i crauti. In molti ristoranti, anche di alta cucina, non è raro trovare accanto alla carta dei vini una ricca gamma di bionde, rosse o stout in grado di esaltare o contrastare ogni sorta di cibo. E c’è chi addirittura mette la birra in tavola durante i pranzi di gala.

Tra i pregi di questa bevanda fermentata a base di acqua, malto, luppolo e lievito spiccano la versatilità, la moderata gradazione alcolica e un prezzo più contenuto rispetto al vino. La tavolozza di profumi e stili offerta dalla birra è ormai tra le più sofisticate. Ecco perché, prima di decidere a quale piatto abbinarla, va assaggiata, a meno che non ci si affidi ai consigli di esperti del settore come il biersommelier. Da quando la birra è stata messa al pari del vino, infatti, in Italia si è andata sempre più affermando questa nuova figura
professionale che in Germania esiste già da tempo.

La regola generale è che la birra deve essere robusta e intensa quanto le pietanze a cui viene accostata: il connubio risulta particolarmente riuscito se c’è qualche sapore o aroma in comune. Birra e formaggio, per esempio, dovrebbero essere entrambi aciduli. Gli ingredienti leggermente amari della birra stimolano l’appetito. E allora perché non iniziare il pasto con una birra leggera per pulire il palato e preparare lo stomaco al cibo? Veniamo poi ai primi. Alle zuppe leggere si accosta una chiara e secca; alle minestre, invece, una maltata come la Scotch Ale. Parlando di secondi, una Ale chiara, caratterizzata dal forte aroma del luppolo, va d’accordo con le insalate verdi, mentre le birre amare sono adatte a quelle condite con aceto. Con bistecca o roastbeef meglio optare per le scure, mentre le birre di luppolo secche contrastano il piccante dei piatti esotici. Via libera, invece, alle chiare per pesce e pizza.
La birra si sposa bene anche con il dolce: una Doppelbock, al delicato gusto di ciliegia, o una Imperial Stout sono perfette con il cioccolato. Per le torte fruttate meglio una Lambic. E per chiudere il pasto si consiglia una birra “pesante” ma dolce che faciliti la digestione.

In Bergamasca oggi ci sono locali specializzati tra i migliori d’Italia e parecchi birrifici riconosciuti su scala nazionale anche da specialisti del settore come la Guida alle Birre d’Italia curata da Slow Food. Tra i più famosi spiccano Endorama di Grassobbio, Hammer di Villa d’Adda, Hopskin di Curno, Sguaraunda di Pagazzano, Maspy di Ponte San Pietro. E poi c’è la Elav di Comun Nuovo che ha lanciato un’originale versione della Vienna Lager preparata con la polenta, sfruttando le croste che restano attaccate al paiolo. Da segnalare anche il birrificio Valcavallina di Endine Gaiano e il Via Priula di San Pellegrino che lo scorso febbraio si sono aggiudicati un secondo e un terzo posto all’11esima edizione del premio Birra dell’anno, promosso dall’associazione Unionbirrai.

A conferma della sempre più marcata attenzione al connubio tra birra artigianale e cibo, è nato il primo concorso internazionale Armonia “Birra nel piatto”, che premia l’utilizzo delle birre in cucina e nella ristorazione.

I locali: «Etichette selezionate danno una marcia in più alla proposta»

Le esperienze di De Gusto, In Croissanteria e Fiore dell’Oste

In un mercato sempre più competitivo, esibire una carta delle birre ricca e dettagliata sta diventando un punto di forza per parecchi locali. Meglio ancora se il ristoratore sa suggerire al cliente il connubio ideale tra cibo e birra. In gioco non c’è la classica pizza abbinata a una bionda ma una vasta gamma di ricette, dall’antipasto al dolce, che ben si sposano con stout e bevande luppolate prodotte artigianalmente. «La sfida è unire la buona birra alla buona cucina, affiancare alla paziente spillatura la preparazione di piatti curati e ricercati, arrivando a creare un locale accogliente e prezioso, laddove il valore è dato dal gusto per ciò che si prepara e si serve», racconta Luca Carrara, 32enne che da agosto 2014 gestisce il De Gusto in via del Lazzaretto all’incrocio con via Baioni, a Bergamo. In meno di due anni questo risto-pub cittadino è balzato in vetta alle preferenze degli internauti su Tripadvisor e non solo. Merito anche dei suoi tre cuochi bergamaschi William Bertocchi, Jonathan Signorelli e Cinzia Mismetti che, dopo gli studi all’alberghiero di Nembro, hanno viaggiato molto per scoprire tutti i segreti della cucina internazionale. Ciò che ne deriva è un menù in costante evoluzione che varia a seconda delle stagioni.

Tra le proposte inserite di recente al De Gusto spiccano il risotto alla valtellinese, il merluzzo con piselli e liquirizia, la selezione di formaggi, il tutto accompagnato da birre alla spina: Canediguerra Bohemian Pilsner, Brown Porter, Rodenbach Grand cru, Hilltop Barry’s bitter, Endorama Buendia, Carrobiolo Triple. «L’obiettivo – afferma Carrara – è riuscire a far apprezzare la birra anche in momenti in cui non è abituale berla, come l’aperitivo e la cena; abbinare la birra a tapas e piatti golosi e stuzzicanti è un modo per valorizzarla al meglio».

in croissanteriaIn linea con la moda del momento Nicolò Vezzoli, titolare della pasticceria In Croissanteria di Carobbio degli Angeli, ha fatto un cambiamento radicale negli ultimi tre mesi. Dopo l’esordio dolce, con vendita di pasticcini e brioche, oggi ha allargato la sua offerta proponendo uno street food di qualità per il pranzo e la cena, il tutto abbinato a una vasta selezione di birre artigianali. E i consensi non tardano ad arrivare: «Pur non essendo una birreria nel vero senso del termine, il nostro giro di clientela sta aumentando – dice Vezzoli –. Abbiamo aperto come pasticceria ma poi abbiamo pensato di aggiungere piatti più strutturati che si avvicinano allo street food, dagli hamburger ai cibi etnici rivisitati, dall’astice canadese alla pizza gourmet, il tutto accompagnato da una delle nostre tre birre artigianali: la bionda, la rossa e la Indian Pale Ale. La prima si adatta bene a cibi leggeri come il nostro hamburger “Italo” con burrata e pesto. La rossa sta bene con piatti più strutturati come l’hamburger con il cheddar, il bacon e l’insalata. La Ipa, invece, è più amarognola, di nicchia, per intenditori, deve piacere. Interessante è anche l’accostamento tra la birra e le quattro pizze gourmet che stiamo inserendo nel menù. Si tratta di pizze alternative che hanno in prezzo dai 15 ai 25 euro perché farcite con ingredienti selezionati: gambero rosso, burrata, pata negra, trancio di tonno scottato, gamberi avvolti nel bacon».

Anche Cristian Borace, titolare del Fiore dell’Oste di Brusaporto, ha deciso di allargare la sua offerta culinaria affiancando al suo consolidato ristorante il “Forno dell’Oste”, uno spazio adibito alla degustazione di birre artigianali e buon cibo. «Il vino la fa sempre da padrone – ammette Cristian – però quando organizziamo le serate di degustazione cibo e birra il riscontro è positivo». E poi c’è un notevole risparmio rispetto al vino: «Si passa dai
20 euro di una buona bottiglia di vino ai 12 euro di una birra da 750 ml – conferma Cristian –. La più leggera è la classica bionda Ale non pastorizzata e non filtrata ad alta fermentazione, con un grado alcolico del 5%. Con il suo aroma maltato leggero, morbido, dal sentore di erbaceo e di miele, si abbina
agli antipasti o alla classica pizza.Le birre doppio malto leggermente dolciastre si sposano coi taglieri di formaggi; quelle più strutturate stanno bene anche con i dolci. Usiamo la birra anche come ingrediente nella preparazione di risotti, stufati, ma anche di pane e torte. Tra i nostri piatti forti spiccano il risotto pancetta e birra rossa, gli gnocchi ceci e birra, le costine di
maiale e lo stinco alla birra. Con la birra ho persino preparato il tiramisù e il caramello».