Quel vigile che ha scelto 
d’essere uomo prima che automa

Quel vigile che ha scelto d’essere uomo prima che automa

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La legge altro non è che una somma di regole, che gli uomini creano e si impongono, per vivere meglio: non è un dogma, né una monade astratta ed incontrovertibile, ma un mezzo per moderare l’istinto umano che, altrimenti, sarebbe quello della belva. Per questo, le leggi soggiacciono a due fondamentali criteri: si cambiano, quando non rispondono più alle esigenze della società, e si interpretano, in modo da adattarle alle situazioni, perché non sortiscano l’effetto opposto, rispetto alla volontà del nomoteta. Perché servano all’uomo, insomma, anziché asservirlo. Il modesto caso di cronaca che ha visto protagonista il vigile urbano Francesco Brignone, reo di avere indossato un copricapo fuori ordinanza nell’adempimento dei propri compiti e, per questo, sanzionato dai superiori, mi pare sia assolutamente esemplare. Perché, dal punto di vista strettamente regolamentare, i suddetti superiori hanno ragione, anzi ragionissima: una divisa non può essere vilipesa, adattandola al proprio gusto e alle circostanze quotidiane. Dal punto di vista civile, però, ossia dell’interpretazione della norma, questa censura ci pare algidamente inumana, date le circostanze che hanno condotto il vigile ad indossare il copricapo incriminato. Per capirci, un conto è un tutore dell’ordine che vada a dirigere il traffico in Porta Nuova con in testa un pitale, un cappellino con su scritto “Idraulica Bigliozzi”, un cilindro sfondato a stelle e strisce: altro è, come nella circostanza di cui stiamo parlando, se il vigile indossa un cappello alpino, nel giorno del funerale del più grande alpino che una città profondamente alpina abbia espresso nella propria storia. Perché è di questo che si tratta: Brignone era in servizio in centro, il giorno del funerale di Nardo Caprioli e, evidentemente per dimostrare il proprio cordoglio e la propria partecipazione ad un evento che ha coinvolto l’intera cittadinanza, ha indossato un cappello che è il simbolo e la sintesi di tutto un mondo, di mille storie di valore e di sofferenza, di una comunità umana e spirituale gigantesca e meravigliosa. Comunità di cui Brignone fa parte, essendo un alpino, e che rappresenta una fetta non indifferente e, certamente, socialmente benemerita, della popolazione bergamasca: mica l’associazione amici del vì de pomm, o quella dei giocatori di carambola. Il che, mi darete atto, non è esattamente la stessa cosa: mi pare che vi sia un margine discrezionale, per chi debba applicare la norma, tra un cialtrone che fa una pagliacciata e un gesto pieno di sentimento e di rispetto. Quella norma giuridica che regolamenta la vita degli umani non è al di sopra della legge morale: ne è, semmai, il portato. Il colonnello Brignone, nonno del reprobo, comandava il Morbegno: quello della “bala bianca” e del “Morbegno avanti!” di Nikolajevka. Il papà del reprobo era un alpino della Julia, quella del ponte di Perati. Il reprobo ha messo su di un piatto la minaccia di sanzioni disciplinari e, sull’altro, un cappello stropicciato, deformato e scolorito: e ha scelto di essere uomo, prima che automa. Ha voluto dimostrare affetto al suo presidente alla maniera degli alpini: non ha fatto male a nessuno, anzi, semmai ha rallegrato qualche passante, ha suscitato simpatia e ha fatto pensare ai bergamaschi, che lo hanno visto, quel giorno, dirigere il traffico con in testa il suo bel cappello alpino, che le istituzioni non siano poi così arcigne, così remotamente distanti dalla gente comune, così freddamente normative, intente solo a far multe o ad esigere gabelle. Per questo, oggi, la decisione di applicare rigorosamente il regolamento per il caso di Brignone ci pare che allontani l’istituzione dall’idem sentire della gente: ci pare, insomma, che si voglia sacrificare l’umanità al totem della regolamentarità. E ne deriverà, state tranquilli, un notevolissimo danno d’immagine per la pubblica amministrazione che, dal coté polizia municipale, non è che goda di tutto questo gradimento: l’idea che venga punito un vigile urbano, perché, nel giorno del funerale del presidente degli alpini, ha indossato un cappello che la sua famiglia ha portato con orgoglio per generazioni, non fa una gran bella impressione, in una provincia in cui ci sono ventimila alpini. Se fossi il responsabile delle pubbliche relazioni di palazzo Frizzoni, un pensierino a questo ulteriore aspetto della faccenda lo dedicherei. Perché è verissimo che le norme vanno rispettate, ma è anche vero che è il giudice che deve interpretarle: e anche la gente giudica, più o meno severamente, in base ai propri criteri. Che non sempre coincidono coi regolamenti, perché, per fortuna, certe volte si giudica col cuore.

di Marco Cimmino

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