Fabio, il ballerino alla Scala
che diventa contadino a Zogno

Grinta, forza di volontà e sacrificio sono le doti di Fabio Sonzogni, 17 anni, allievo dell’Accademia Teatro alla Scala. Durante la settimana segue i corsi a Milano, nei weekend e d'estate aiuta la famiglia a fare il fieno e accudire i bovini nella loro fattoria sul monte di Zogno.
Il ragazzino assomiglia a Billy Elliot, il protagonista del famoso film, diretto nel 2000 da Stephen Daldry. Al centro la storia di un ragazzino inglese, figlio di un minatore, che sogna di diventare un ballerino di danza classica, ma viene ostacolato dalla famiglia. Al contrario, a riconoscere il talento del bambino bergamasco sono stati proprio i genitori, mamma Laura e papà Alfredo. La sua storia personale, insieme a quella dei compagni di corso, è raccontata nel film documentario “Fuoriscena”, realizzato lo scorso anno dai registi Alessandro Leoni e Massimo Donati e proiettato in città, all'Auditorium, da Lab 80. Un racconto corale che abbraccia un anno, vissuto nel rigore delle pratiche quotidiane che questa disciplina impone.
Fabio, come si svolge la tua vita su doppi binari?
“Seguo i corsi in accademia da sei anni. Mancano ancora due anni per completare gli studi. Trascorro la settimana a Milano. Alla danza dedico la mattina, il pomeriggio, almeno quattro ore di attività al giorno. Ma sto anche studiando, sono iscritto al liceo linguistico serale. Per necessità, ho dovuto trovare alloggio in un convitto. Ogni fine settimana e a fine giugno, una volta terminati i corsi, ritorno nel mio paese, Zogno. Qui, in montagna, c'è la casa dei nonni, dove mio papà si occupa dei terreni. Io faccio la mia parte, aiuto a tagliare il fieno, già da metà maggio e poi a luglio. E poi c'è il mio compito: far mangiare gli animali. E' una bella sensazione, una liberazione. Mi immergo in un altro mondo, nella natura che mi aiuta a staccare dai ritmi frenetici della città”. 
L'accademia della Scala è un'eccellenza tra le più prestigiose al mondo. Forma tutte le figure professionali del teatro d’arte, oltre a danzatori, cantanti, sarte, attrezzisti. Come ci sei approdato?
“Ballo da sempre. E' come se fin da piccolo riuscissi a sentire la musica. Mia mamma ha capito la mia vocazione e ha cominciato a farmi frequentare i corsi di danza, finché gli insegnanti si sono accorti che potevo avere un futuro davanti e così ho partecipato alle audizioni per entrare all'Accademia della Scala. Dopo averle superate, comprese quelle fisico-attitudinali, ho affrontato un mese di prova. Alla fine, come al termine di ogni anno, ci sono gli esami da superare. I miei genitori non mi hanno mai ostacolato, tantomeno forzato. Il loro aiuto è stato nel lasciarmi libero”.
Per avere un'idea della scrematura, quanti allievi frequentano i corsi? 
“Moltissimi provano a entrare. ma non è facile. Al sesto anno di corso, siamo in dieci ballerini e quindici ballerine. Maschi e femmine sono, infatti, in classi separate a partire dal secondo anno”. 
Il documentario racconta proprio lo studio e il lavoro di voi giovani talenti, dalle attività didattiche agli spettacoli, tra fatica, rinunce e determinazione.
“Il film mi è piaciuto molto. Non è stato una sorta di “Grande fratello” perché l'occhio della telecamera è sempre stato discreto. I registi hanno studiato il nostro ambiente per un anno senza essere invasivi e le riprese sono durate un paio di giorni. Non ci sono interviste, né voci fuori campo, ma la presa diretta sulla nostra vita e il lavoro da dentro. Gli spettatori riescono a capire gli sforzi, la passione e le emozioni che proviamo. E' un po’ come se anche loro si immergessero nelle stesse sale dell’Accademia dove muoviamo i nostri passi”. 
Molti giovani che vogliono sfondare come ballerini professionisti tentano la carta dei talent show televisivi. Può essere una buona vetrina o trampolino di lancio?
“Con tutto rispetto per chi non la pensa come me, io non sono d'accordo. Non lo farei mai. La danza non può essere televisiva, è un'arte che si pratica su un palcoscenico in teatro. E chi la vuole vedere, non accende un monitor. Sul piccolo schermo c'è la spettacolarità, non la tecnica e la ricerca della perfezione. Chi sogna di fare questo mestiere aspira a entrare in un corpo di ballo, non a partecipare ad Amici di Maria de Filippi”.
La musica che va per la maggiore tra i tuoi coetanei è l'hip hop. Tu che genere ascolti? 
“La classica, quella dei nostri balletti. Il mio compositore preferito è ÄŒajkovskij”.
Tra i pregiudizi che ruotano attorno al mondo della danza c'è quello dell'eccessiva magrezza delle ballerine, spesso filiformi e malate di anoressia. E' falso?
“Non è vero che bisogna rientrare per forza in determinati canoni fisici o estetici, una ballerina  è un'atleta. E' ovvio che debba essere agile, magra, non appesantita, ma è anche vero che deve essere tonica, con una buona massa muscolare. Pertanto, lo può essere soltanto se mangia”. 
Qual è il tuo modello?
“Sarebbe facile e scontato dire Robero Bolle. L'artista piemontese possiede un fisico eccezionale, scultoreo. Ma il mio modello si chiama Leonid Sarafanov, primo ballerino presso il Teatro Michajlovskij di San Pietroburgo. I suoi virtuosismi sono unici al mondo. Sogno di poter ballare, un giorno, come lui”.
Non ti manca la vita spensierata, le partite a pallone, insieme ai tuoi coetanei?
“Ormai ho perso le amicizie che avevo a Zogno. Per la danza ho sacrificato tanto, e ne sono orgoglioso”.
Ma se dovessi scegliere tra la fattoria di Zogno e il Teatro alla Scala?
“Nessuna esitazione. Scelgo la danza”.

Copyrights 2006-2022 – Iniziative Ascom S.p.A. – P.iva e C.F. 01430360162