“Bergamo è una città difficile,
più spazio ai giovani per innovare” 

“Se fossi un gelato? Sarei un cono al gusto zabaglione, perché dà forza ed energia”.
La chiacchierata con Riccardo Schiavi comincia così, con una domanda a sorpresa e finisce con “Ma io mi chiedo, dove vuole andare Bergamo?”. Una domanda (retorica) altrettanto sorprendente, mentre tenta di finire un toast sbocconcellato infinitamente nel corso di una mezz’ora abbondante inondata di parole, pensieri e massime. La prima che viene in mente, dopo aver diviso con lui un tavolino del suo locale “La Pasqualina” in via Borfuro (clone della sede storica di Almenno San Bartolomeo) è questa: “punta alla luna, male che vada avrai vagabondato tra le stelle”.  Per dirla in chiave più pasticciera: punta a fare una brioche tutta, ma proprio tutta integrale, male che vada avrai buttato via 7, 8 mila brioches e altrettanti impasti mal riusciti, ma avrai vagabondato tra li ingredienti più genuini del mondo. L’ultimo (impasto sbagliato) in ordine di tempo, risale all’ora prima dell’incontro e per sua stessa ammissione “in laboratorio sono dato fuori come un matto, mi capita ancora di buttare in pattumiera l’impasto, ma se prima succedeva spessissimo, adesso molto meno”:
Schiavi è comunque riuscito a sbarcare sulla luna delle brioches e a piantare la sua bandiera, una conquista che è tutta farina (integrale) del suo sacco, fatta di attenzione e cura per quello che si mangia ogni giorno. “Può sembrare banale, ma far colazione al bar tutte le mattine con cappuccino e brioche rientra nel piano nutrizionale del cliente e dunque, con 360 colazioni l’anno, una brioche ha il suo peso specifico”. Come tutto quello che si trova in questo locale aperto nel 2006 in un anfratto del centro di Bergamo (dove un tempo si vendevano lucidi, squadre e tecnigrafi) da questo signore che, in testa oltre a tanti capelli neri e un ciuffo candido beffardo in mezzo, ha tante idee (ristorativamente e qualitativamente parlando) meravigliose. “Le idee più belle mi vengono quando vado in montagna a sciare, libero la mente e i pensieri mi tornano leggeri”. Tipo quella volta che pensò al contenitore “coccodè” per il suo gelato: tanti scomparti come per le uova, per altrettante palline con i vari gusti tutti da assaggiare senza stancare il palato, frustrato nella scelta imposta da molte gelaterie (tre gusti e non di più). A dire il vero, se fosse un gelato, potrebbe essere gusto entusiasmo, fatto con gli ingredienti più genuini della passione “E’ la cosa che non mi fa sentire il peso del lavoro, io tutte le mattine mi alzo per andare a divertirmi” e dell’ottimismo, mantecati da quel pizzico di sana follia commerciale che fa la differenza. Quando sette anni fa ha aperto questo locale (succursale dell’azienda di famiglia di Almenno) molti gliela “diedero lunga” un paio di mesi. E, invece, visto così dà l’idea che la faccenda possa durare un paio di secoli. Tanto per cominciare, il personale che ci lavora, propone fuori menù e senza alcun costo quello che manca in moltissimi altri locali: il piatto della buona cera. Tutti gentilissimi, senza essere invadenti, professionalità e cortesia mixati quanto basta per dubitare di trovarsi a Bergamo dove in certi bar la musoneria la fa da padrone. Schiavi mostra la carte dei valori, cinque punti saldi, un “quintalogo”che comincia con “vivere e far vivere un’esperienza unica al cliente”. Solo quando è molto stanco, Schiavi si chiede “ma chi me l’ha fatto fare?” L’ultima volta gli è capitato di ritorno da Porto Cervo dove un anno fa ha aperto “La Pasqualina”, chiamiamola “on the beach” volendo togliere quell’allure vippissima che contraddistingue la località sarda. “Tornavo a mezzanotte in aereo ed ero alle prese con un grosso problema. Così, immerso nei pensieri famigliari, me lo sono chiesto”. Qualche senso di colpa? “No, compatibilmente con tutto il resto cerco di godermi i miei bambini, Gabriele e Tommaso. Loro sono la mia energia, quello che sto facendo è anche per loro, voglio dare loro una possibilità di lavoro, ma solo se saranno d’accordo. Se vorranno fare altro, ad esempio gli idraulici, non li ostacolerò di sicuro”. Che cosa voleva, invece, fare da grande Riccardo Schiavi, figlio maggiore di quella Rosa Preda (“tanti difetti, ci si scontrava ma quando ho iniziato la mia attività le ho detto chiaramente: “qui comando io, non impicciarti” ricorda mentre si commuove “ ci volevamo bene e adesso che non c’è più mi manca”) che era una vera forza della natura? “A scuola ero un asino, sono riuscito a prendere il diploma da ragioniere “te lo diamo ma sparisci dalla circolazione”, mi hanno detto. Sono sempre stato abituato a lavorare. Ho capito che per essere felice avrei dovuto fare quello che mi piaceva, seguire la strada professionale per cui mi sentivo tagliato. Se invece che nascere imprenditore fossi rimasto ragioniere, magari sarei stato meglio, ma sono nato così e non ci posso fare nulla. Sono un semplice ragioniere, ma certe cose le ho imparate per conto mio”. La più importante? “La strategia. Dal punto di vista imprenditoriale è importante sapere dove si vuole andare. Fino a qualche anno fa avevo in testa molta confusione, poi sono riuscito a capire quale fosse la mia strada. Adesso la sto perseguendo con serenità, questo è l’ingrediente principale della vita come del lavoro.Mi guardo allo specchio e mi vedo così”. Non dice né quante ore lavora ma ammette “Bisogna aver voglia di sbattersi”, né quante proposte di investimento ha ricevuto: “Tantissime”. L’ultima, in ordine di tempo, è appunto “La Pasqualina” di Porto Cervo che nasce dall’intenzione imprenditoriale di riportare nella località sarda il bel tempo che fu. “Ho firmato subito il contratto 6+6 su una promenade che stentava a decollare. Mi piace questo locale perché accontenta una clientela trasversale che sembrava che a Porto Cervo non avesse più punti di riferimento; non c’è solo la famosa piazzetta dove potersi trovare. La mia gelateria ha riportato un po’ di umanità nella località più in, diciamo i piedi per terra”. Con un piede in Sardegna e l’altro in via Borfuro, Schiavi pensa ad ampliare la Pasqualina di centro città e a creare un dolce caratteristico che identifichi Bergamo in campo dolciario. “Conosco abbastanza Bergamo, ma trovo che sia una città difficile come i bergamaschi che la vivono, del resto sono così anche io. Professionalmente parlando, anche nel campo dove opero, possiamo contare su grandi figure, gente a cui piace girare il mondo e a cui piace darsi da fare. Purtroppo, però, si assiste ad un certo invecchiamento dell’imprenditorialità, ed è quello che personalmente vorrei evitare avvalendomi di gente giovane. Sono sicuro che i giovani mi aiuteranno non solo a non invecchiare ma a innovare. Gliel’ho detto: se fossi un gelato sarei lo zabaglione, tradizione e innovazione insieme  ”.

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