e-Commerce, 4 consumatori su 10 fanno acquisti online

e-commerce-cons.jpgSono 15 milioni gli italiani che fanno acquisti sul web: per il 37% si risparmia rispetto ai negozi tradizionali, per il 33% è più comodo ma solo il 10% si fida pienamente dei pagamenti online, mentre il 65% si mette al riparo da eventuali rischi usando una carta pre-pagata. E’ quanto risulta dal dodicesimo rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione.  “Fa acquisti sul web ormai il 43,5% degli utenti di internet, ovvero 15 milioni di italiani”, si legge nel rapporto, “comprare prodotti o servizi con un semplice clic del mouse è un comportamento guidato innanzitutto dall’esigenza di risparmiare”. Il 37,1% degli italiani ritiene che, rispetto ai negozi tradizionali, fare la spesa sul web è più economico, prosegue il Censis, laddove la comodità rappresenta un sicuro vantaggio per il 32,8%. Un altro aspetto positivo, secondo i clienti online, è la semplicità delle procedure di shopping in rete, segnalata dal 19,8%; per il 12,8% conta l’efficacia dei marketplace sul web rispetto agli esercizi commerciali tradizionali (più scelta, più informazioni sui prodotti e servizi, possibilità di maggiori confronti tra modelli diversi). E per il 7% lo shopping online è semplicemente più divertente rispetto al fare acquisti nei negozi tradizionali”. Dalle opinioni dei consumatori emergono anche alcune criticità connesse all’ e-commerce. Il rischio che dietro allo scontrino virtuale si celino truffe, anche legate al sistema dei pagamenti online, è segnalato dal 28,7% degli italiani. Più preoccupati risultano i consumatori over 65 anni (34,6%) e le persone meno istruite (32,6%). Inoltre, fare spese sul web è un’attività’ più “fredda” rispetto al contatto umano con il negoziante in carne e ossa per il 23,2% degli italiani. Vengono poi espressi dubbi legati al buono stato del prodotto consegnato e alla sua corrispondenza con quello proposto online, o anche alla tempistica effettiva della spedizione: il 21,8% teme che la consegna venga fatta in ritardo o con prodotti sbagliati o difettosi.


Via Quarenghi, chiudono i cinesi e tornano ad aprire gli italiani

Via_QuarenghiiIl commercio cinese arretra proprio là dove ha iniziato la sua espansione a Bergamo all’inizio degli anni Novanta, in Via Quarenghi, ridisegnando insegna dopo insegna il quartiere. Negli ultimi due anni si sono abbassate per sempre le saracinesche di diverse attività cinesi. La chiusura più recente è stata quella del supermercato asiatico Hong Kong – a due passi dalla Farmacia Frizzi-  che ha gettato la spugna a pochi mesi dall’apertura. Nei locali un tempo sede della Profumeria Dipra ha chiuso da circa sei mesi un negozio di abbigliamento cinese. Anche il negozio a fianco è desolatamente vuoto da quando ha abbandonato il mercato il servizio di Money Transfer. Procedendo lungo la via, verso l’incrocio con Via San Giorgio, non mancano altri locali chiusi e sfitti, un tempo sede di attività italiane, molte storiche come la Goielleria Colombelli, chiusa nel 2012,  il negozio di arredamento Rampinelli, il timbrificio…
Al civico 52 ha chiuso un mini market cinese e il negozio d’abbigliamento – sempre con gli occhi a mandorla- di fronte all’angolo con Via San Giorgio, al civico 39, ha deciso di trasferirvi la sua attività, riducendo probabilmente anche l’affitto oltre che la metratura.

MILENA, boutique via Quarenghi Negozio cinese chiuso in via Quarenghi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non mancano, di contro, i bergamaschi pronti ad investire nella via e a cogliere la sfida della convivenza con quasi 40 etnie diverse residenti. Davanti ad un espresso e ad un libro nascono occasioni di incontro e confronto, si sfidano pregiudizi e si procede a piccoli passi verso l’integrazione. Con orgoglio la micro-torrefazione e caffetteria Bugan Coffee Lab- inaugurata dal campione dell’espresso Maurizio Valli –  e la libreria Incrocio Quarenghi, entrambi locali  freschi di apertura nel nuovo palazzo al civico 32, sono più che soddisfatti della scelta di vivere in un quartiere aperto al mondo. «Non abbiamo il bancone proprio per non mettere una barriera architettonica tra barista e clienti- spiega Andrea Magrini tra un’arabica Etiopia e una El Salvador tostate nel laboratorio a vista-. Le occasioni di incontro e confronto non mancano: i cinesi chiedono un cappuccino d’asporto perché non staccano mai dal lavoro, e il caffè che arriva dall’altro mondo crea nuovi argomenti di conversazione, dagli africani ad altri stranieri. Noi cerchiamo di promuovere una cultura dell’espresso: non tutti apprezzano, ma per molti è uno stimolo a conoscere meglio il lavoro che sta dietro ad una tazzina. Spesso però sono gli stranieri a sembrare più empatici e aperti».

negozio cinese vuoto trasferimento boutique MITZI, via Quarenghi
La libreria Incrocio Quarenghi è un crogiolo di proposte, idee e culture, dai corsi di lingue orientali- dall’hindi all’arabo, dal cinese al giapponese-  ai laboratori di origami, agli scaffali organizzati per zone geografiche per farsi a colpo d’occhio un viaggio in giro per il mondo. Si entra in negozio addirittura con la bici e la si parcheggia nella rastrelliera, i bambini si possono spiaggiare sul tatami, si può leggere il giornale, curiosare tra volumi, concedersi un caffè o un pasticcino e persino lavorare sfruttando il wi-fi. «Ho scelto Via Quarenghi perché, oltre ad essere una via di passaggio, rappresenta una via di accesso ad una Bergamo meno paludata e chiusa. Questa strada non è affatto un Bronx e sarebbe bello vederla frequentare di più, vedere i bergamaschi apprezzare una via più colorata. La libreria è nata con l’obiettivo di creare un punto di aggregazione, un luogo dove ospitare attività diverse e anche un gruppo di lettura» spiega Monica Morzenti, che ha trasformato in realtà il sogno di aprire una libreria indipendente. «La libreria è frequentata sia da italiani che da stranieri, oltre che da molti bambini. E spiace dirlo ma i bimbi stranieri sono spesso più educati e gentili dei nostri. Sarebbe meraviglioso integrare le attività commerciali italiane con quelle etniche» continua la titolare della libreria. L’apertura al mondo e alle diverse etnie che popolano la via passa anche attraverso l’arte, alimentata dai continui stimoli dal confronto con altre culture. A dicembre l’artista Giovanni Bianchini, originario di Viareggio,  ha inaugurato il suo “aTelier” al 42/c: « L’idea di aprire in Via Quarenghi è nata a Parigi a Belleville, un quartiere alternativo pieno di vita. Ho scelto questa via perché è l’unico angolo davvero multietnico della città. Il mio studio si affaccia su un cortile colorato, con abiti appesi di diverse fogge e colori, provenienti da tutto il mondo. E’ una via stimolante: basta uscire a fare due passi per incontrare in pochi metri il mondo, diversi sapori e odori, colori e culture. La via è senz’altro una fonte d’ispirazione, come lo è anche il mercato del lunedì, una vera istituzione». A Bergamo per amore, con un passato da grafico a Milano, Bianchini ha deciso di costruire il suo futuro d’artista a suon di sacrifici, dividendosi tra l’impiego come operaio metalmeccanico alla Dalmine e il lavoro a sculture, installazioni e progetti. «I miei turni di lavoro sono essi stessi una fonte di arricchimento e ispirazione, perché è proprio in fabbrica, un’altra realtà multiculturale, che ho deciso di dedicarmi all’arte». Il suo è uno sguardo al viaggio da una prospettiva nuova e diversa. «Il nomadismo per me è un vero stato d’animo. Ho sempre lavorato sul tema della migrazione, sulle opere e sull’arte che viaggia, arrivando ad impaccare una Matiz con il progetto “Autodesiderante” e di lanciarla in tour per tutta la Germania.

Chiara P. negozio  via Quarenghi

Le  stesse sculture “Open.aperture” esposte presso la Basilica di Santa Maria Maggiore aprono al mondo fino alle serre dove gli stranieri raccolgono pomodori». Le occasioni di incontro e confronto culturale non mancano e dove non ci sono si creano: «La Galleria d’arte africana, che purtroppo ha chiuso da poco, ha esposto le mie opere, al ristorante pakistano mangio a tutte le ore e faccio la spesa nei market cinesi. Come del resto vado al macrobiotico, bevo il caffè alla microtorrefazione e vado in libreria. E’ una via che amo moltissimo e che non cambierei per nulla, senza contare che siamo in pieno centro e a due passi dalla stazione». Diverse sono le nuove aperture nel primo tratto di Via Quarenghi, partendo dall’incrocio con Via Zambonate. Ha aperto da qualche mese Mitzi, l’atelier di Mitzi Micalef, artista affermata nella moda, con lavori per importanti stilisti, da Ferrè a Gattinoni, da Rocco Barocco a Renato Balestra, che dipinge a mano tessuti e crea nuove fantasie, dalla seta a tessuti hi-tech. Fresca di apertura, la boutique di intimo “Milena” che cattura l’attenzione con slip confezionati come cup-cake e un allestimento originale, inaugurata a novembre da Milena Monorchio. «Sono soddisfatta della scelta fatta e dell’inaugurazione di botteghe e negozi di qualità. Credo che Via Quarenghi vada incentivata e promossa. Il passaggio, grazie anche ai negozi di alimentari, non manca ma la via potrebbe essere decisamente più animata. E si potrebbero molto migliorare illuminazione e arredo urbano». Negli ultimi anni hanno aperto anche altre attività.  Un anno fa Chiara Presciani  ha inaugurato, al civico 9, con l’ormai inseparabile macchina da cucire, il suo negozio.  “Chiara P.” è una bottega di creatività e oggettistica che trasforma idee e pensieri in disegni, vestiti, complementi d’arredo, dagli abitini per bebè a complementi d’arredo.

Da due anni esatti  la via è la sede di Spaccio Carni, storico negozio di Piazza Pontida che ha scelto di trasferire qui l’attività di famiglia. «Siamo più che soddisfatti del nuovo negozio che lavora molto grazie anche all’orario continuato dalle 8 alle 20 e l’apertura domenicale dichiara Andrea Pedroni – . Certo trovare parcheggio è davvero un’impresa e purtroppo i vigili non sono mai clementi».

 


Mercato immobiliare: per Nomisma, Bergamo è in leggera ripresa

urban apartment buildingIl mercato immobiliare orobico si conferma debole, ma si colgono timidi segnali di recupero nella componente residenziale e immobili d’impresa. È quanto emerge dall’Osservatorio sul Mercato Immobiliare (marzo 2015) curato da Nomisma, società di studi economici di Bologna, presentato questa mattina a Milano, presso Assolombarda. I segnali di miglioramento non permettono però di parlare di un’inversione di tendenza, anche se la componente domanda ha comunque iniziato a reagire. Nomisma evidenzia una più contenuta flessione dei prezzi rispetto al 2013: -2,7% per le abitazioni usate, -2,1% per uffici e negozi. Per il 2015 Nomisma stima una parziale ripresa per il segmento residenziale, mentre per i comparti commerciale e direzionale la situazione dovrebbe rimanere poco dinamica.

Analizzando il comparto abitativo, i prezzi delle abitazioni nuove hanno subito un calo del -1,5% mentre quello delle usate del -2,7%. Al contempo, il divario tra prezzi richiesti ed effettivi si è confermato al 17,5% per le abitazioni usate e al 14,5% per le nuove. All’interno del mercato locativo si riscontra un lieve incremento dei rendimenti lordi annui, ora mediamente del 5,2%. La quota di domanda rivolta all’acquisto resta significativa (46%), nettamente superiore alla media delle 13 città intermedie monitorate da Nomisma. Il 64% delle compravendite viene finanziato tramite mutuo, che va a coprire oltre il 73% del valore totale dell’abitazione.

Passando al mercato dei box e garage si evidenzia una diminuzione dei prezzi superiore rispetto alle abitazioni (-4,2% in media). Il calo si presenta meno accentuato per i canoni (-1,4%) e i rendimenti potenziali lordi annui da locazione arrivano a toccare il 5,3%. I tempi di vendita sono mediamente di 8 mesi e lo sconto applicato del 13%, livelli record per la città di Bergamo.

Sul fronte degli uffici Bergamo presenta segnali di attenuazione della crisi; in particolare la conferma viene dal trend decrescente dei prezzi (-2,1% di media), dato da una stabilizzazione dell’offerta unita a un rallentamento della caduta della domanda. Sostanzialmente inalterati dal 2010 i rendimenti potenziali lordi annui (4,6%).

Rispetto al mercato dei negozi – come sul fronte direzionale – si coglie una debole stabilizzazione dell’offerta e un rallentamento del calo della domanda. I prezzi presentano un calo del -2,1% e i canoni del -1,5%, con un rendimento medio lordo da locazione stabile al 6,9%.

I capannoni industriali presentano un rallentamento dell’estensione dell’offerta, forse dovuta all’uscita dal mercato di molti immobili. I prezzi presentano un calo del -1,9% per i capannoni nuovi e del -2,3% per quelli usati, mentre il divario tra prezzo richiesto e prezzo effettivo resta molto elevato (24%).


Indice di felicità, Bergamo è prima in Lombardia

Non c’è solo l’eclissi a caratterizzare la giornata di oggi. Da tre anni a questa parte, il 20 marzo è la Giornata mondiale della Felicità indetta dall’Onu ed è in questa occasione che Voices from the Blogs (spin-off & start-up dell’Università degli Studi di Milano, osservatorio permanente di quello che si dice e si discute in rete, attraverso l’utilizzo di avanzate metodologie statistiche e tecniche informatiche disegnate appositamente per la Sentiment Analysis) ha svelato, nell’e-book “iHappy 2014” edito dal Corriere della Sera, l’andamento della felicità in Italia nel corso dell’anno, dal primo gennaio (che risultato il giorno più felice del 2014) fino al 31 dicembre.

In base al contenuto di circa 40 milioni di messaggi su Twitter raccolti quotidianamente nelle 110 provincie italiane e analizzati per produrre l’indicatore iHappy, emerge che nel 2014 la palma di capitale della felicità è stata assegnata a Cagliari. In fatto di felicità la Sardegna si conferma dunque sugli scudi e dopo Oristano (prima in classifica nel 2012), stavolta è il capoluogo sardo ad aggiudicarsi il primato (con un indice di iHappy pari al 67,4%). Al secondo posto troviamo Lecce (67,1%), seguita da Genova (già vincitrice un anno fa). Bene anche Parma (65,9%), che da tre anni di seguito si colloca nella top ten delle più felici. Con poche eccezioni, le grandi metropoli finiscono invece in fondo alla classifica a conferma di un trend già emerso lo scorso anno e che porta complessivamente il valore medio di felicità italiano nel 2014 a scendere rispetto al 2013 (-1.8 punti: dal 60,4% del 2013 al 58,6% del 2014) . Tra stress, traffico (e delusioni calcistiche) la più triste del 2014 è stata infatti Milano, ultima con un non invidiabile 44,3% di punti felicità, ma con l’augurio che nel 2015 l’arrivo di Expo possa portare con sé anche una ventata di buonumore. Male anche Napoli (penultima col 45,2%) e Roma (49,2%). Situazione complicata anche a Palermo (53,9%) e Torino(53,2%), così come per Venezia (49,4%), che rimane nella top-ten delle dieci provincie meno felici. Perde terreno anche Bologna (accomunata in questo alle altre provincie emiliano-romagnole) che scende di ben 39 posizioni e si ritrova a centro classifica (48° posto col 59,8%) assieme a Firenze (59,1%). Balzo in avanti notevole invece per La Spezia (che recupera 50 posizioni in graduatoria), Pisa (+40) e Catania (+39).

E Bergamo?

Si è attestata a metà classifica, al 53esimo posto con un indice di iHappy pari al 58,8%, perdendo sette posizioni rispetto al 2013. La performance migliora leggermente nella graduatoria tra le province più popolose, sopra cioè i 900mila abitanti. In questo caso la Bergamasca è sesta su 15, dietro Bari, Salerno, Catania, Bologna, Firenze e prima di Brescia. Ma è nel confronto con tutte le altre province lombarde (dove il valore medio dell’anno si è attestato a 50,8%) che Bergamo primeggia collocandosi in cima alla classifica, seguita da Cremona (57,4%), Mantova (55,9%), Brescia (54,8%), Sondrio (52,3%), Como (50,8%), Varese (49,5%), Monza e Brianza (46,6%), Lodi (45,7%), Pavia (45,5%), Milano (44,3%). Nella nostra provincia è stato registrato anche il giorno più felice a livello regionale: lo scorso 27 luglio. Cosa accadeva di speciale? Lo studio associa l’innalzamento dei valori all’imminente apertura dell’autostrada A35, 0ssia laBrebemi. Negli ultimi sette giorni, invece, Bergamo è stata meno brillante, collocandosi al 65esimo posto con un indice del 34,5%. Ma oggi è la giornata della Felicità e chissà che non si ricominci a twittare positivo

Cosa determina la felicità

Spesso sono le feste a fare la differenza: nei giorni festivi in Italia la felicità cresce mediamente di +2,2 punti, spiega lo studio. Ma la festa è sinonimo di felicità solo quando non cade di sabato o di domenica, altrimenti diventa un “ponte sprecato” (iHappy -3,1 in media quando una festività non è in un giorno feriale). Italiani più felici però anche a San Valentino (+2,6) e l’8 marzo(+4,5), mentre lo spostamento di lancette dovuto all’ora solare/legale crea ansia e depressione (iHappy -3,4). Si dice che non siano i soldi a fare la felicità, ma in tempi di crisi economica l’italiano sorride (anche) quando gli affari vanno bene: nel 2014 l’andamento di Piazza Affari ha infatti influenzato anche iHappy: 5mila punti in più nell’indice MIB a fine seduta comportano una crescita di 1,7 punti nell’indice iHappy del giorno successivo. D’altra parte il giorno in cui una buona parte di italiani riceve la busta paga (il 27 di ogni mese) è un giorno mediamente più felice degli altri (+4,2 punti). Ma oltre all’economia anche il sole ed il mare hanno la loro importanza. Risalendo la penisola da sud a nord la felicità infatti diminuisce: due gradi in più di latitudine (equivalenti a spostarsi da Crotone a Frosinone, o da Bologna a Bolzano) fanno scendere iHappy di 1,2 punti, tranne nelle province in cui c’è il mare. Muoversi dalla Sicilia alla Liguria dunque non produce cambiamenti nel buonumore degli italiani. Insomma, c’è chi twitta felicità perché ha il sole, chi perché ha il mare.

La felicità nelle 24 ore

In una giornata tipo si osserva un primo picco di felicità tra le 7:15 e le 7:32 di mattina, quando si prende il primo caffè, ma poi l’indice crolla verso le 9, quando in molti uffici si inizia a lavorare. La felicità torna a salire a partire dalle 11 e tocca un massimo attorno alle 13:20, durante la pausa pranzo. L’umore scende di nuovo intorno alle 17, quando la stanchezza inizia a farsi sentire, e risale quando gli italiani iniziano ad uscire dal lavoro fino alle 18-18:30 circa. A questo punto si entra però negli orari dei pendolari e, tra traffico e treni in ritardo, iHappy torna a scendere tra le 19 e le 20. La serata mostra una ripresa fino, ma verso l’1, tra malinconia per il giorno che si conclude e ansie per ciò che ci aspetta la mattina seguente la felicità tocca nuovamente il fondo.

È possibile controllare l’indice di felicità aggiornato agli ultimi sette giorni su http://www.blogsvoices.unimi.it/list.html

iHappy2014 – la classifica

iHappy2014 – Lombardia


Addetti poco competenti e coda alle casse fanno sfumare l’acquisto

coda casseLa coda alla cassa è uno dei principali motivi di rinuncia all’acquisto, specialmente se l’articolo desiderato costa poco ed è facilmente reperibile altrove. La fedeltà alla marca, quindi, viene messa sempre più a rischio non solo dalle comparazioni consentite nel mondo online, ma anche da esperienze d’acquisto in negozio al di sotto delle aspettative. Emerge da uno studio Epson che si poneva l’obiettivo di identificare i trend emergenti dell’universo Retail e le sfide commerciali e tecnologiche che gli operatori di settore dei principali paesi europei si trovano oggi a dover affrontare, il tutto visto attraverso gli occhi dei consumatori. A questo scopo, sono state condotte 5.000 interviste a un campione di donne e uomini tra i 18 e gli oltre 50 anni di Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna (circa 1.000 questionari per ciascun Paese).

Cosa influenza maggiormente il giudizio sul brand? Ben il 56% degli intervistati ha indicato velocità dei pagamenti e assenza di lunghe code alle casse come uno tra i principali fattori che hanno un impatto positivo sull’immagine del marchio, preceduto soltanto dalla competenza degli addetti alle vendite (al primo posto, con il 59% di risposte). Seguono, nell’ordine, la presenza in negozio di postazioni self service per ricerche e ordini a pari merito con un’identica qualità di esperienza d’acquisto sia online sia in negozio, la possibilità di pagare gli articoli agli addetti anche lontano dalle casse, la personalizzazione dell’esperienza d’acquisto, la velocità del servizio, la possibilità di effettuare i pagamenti in modalità self service e addetti alle vendite dotati di dispositivi mobili per ricercare la disponibilità a magazzino dei prodotti. Per il solo campione italiano, ai primi tre posti vi sono nell’ordine: postazioni self service per ricerche e ordini, pagamenti rapidi senza coda alle casse e addetti alle vendite competenti. La coda danneggia gli affari e la fedeltà al brand. Fare un po’ di coda alla cassa è accettabile, ma se questa diventa troppo lunga l’impatto sul business del negozio è preoccupante. Il 42% dei consumatori europei dichiara che meno vale il prodotto che desiderano acquistare, meno sono disposti a lunghe attese in coda, mentre il 28% attende pazientemente in coda solo se ha già impiegato molto tempo a scegliere gli articoli. C’è poi un 29% di consumatori che spesso lascia la merce e se ne va se c’è coda e un 25% che va a fare lo stesso acquisto in un altro negozio. Per 1 consumatore su 5, infine, è inaccettabile che al giorno d’oggi si debba ancora perdere tempo in coda. Questo è un rischio che dovrebbe essere seriamente valutato soprattutto dai negozi che vendono prodotti che si possono facilmente trovare nel punto vendita di molti concorrenti. La ricerca dimostra infatti che è maggiore la probabilità di abbandono dell’acquisto per i beni a basso costo e per quelli di largo consumo che non richiedono molto tempo per la scelta.


La crisi fa crescere i pubblici esercizi in città, ma il turnover resta elevato

Caffe Culture Imagery (14th - 15th November 2011)Crescono i locali in città. Nonostante la crisi continuano ad aprire ristoranti, bar, take away, enoteche e birrerie. Negli ultimi cinque anni i dati Ascom evidenziano un balzo dell’11,3% nel settore della somministrazione di cibo e bevande, con 57 nuove attività avviate tra il 2009 e il 2014. L’anno scorso il comparto della somministrazione e ricettività- alberghi inclusi- si è chiuso con il segno più: rispetto al 2013 le attività grazie a 560 aperture il comparto è cresciuto del 3%. I negozi alimentari crescono, in controtendenza con quelli che trattano altri generi, in particolar modo abbigliamento e calzature, che hanno risentito in particolar modo del calo dei consumi.

Il commercio alimentare registra un + 6,85% confermandosi un settore attrattivo per nuovi imprenditori. «Dopo anni di crisi, l’alimentare attrae nuove imprese che cercano di affermarsi e di trovare nuove nicchie di specializzazione- spiega Oscar Fusini, vicedirettore Ascom-. I pasti fuori casa sono in crescita e gli esercizi cittadini moltiplicano l’offerta.  Vanno per la maggiore formule agili e veloci: il tempo delle pause stringe, il budget per i pasti si riduce, e si finisce col mangiare spesso in piedi». Dall’ hamburgeria alle tigelle, dalla polenteria alle zuppe, dal vegano al frullato vitaminico,  c’è solo l’imbarazzo della scelta: «Oltre alla diversificazione dell’offerta, uno dei fenomeni più evidenti è la concentrazione degli esercizi in particolari aree della città- continua Fusini-.  Si sta sempre più affermando l’idea di polo attrattivo, attraverso dei piccoli distretti gastronomici. Non c’è più il timore della concorrenza ma, anche sulla scorta di quanto avviene nel resto d’Europa,  maggiore è la possibilità di scelta più forte diventa il passaggio di potenziali clienti».


Auto, salgono le immatricolazioni ma non a Bergamo

A differenza del dato nazionale, l’inizio dell’anno non ha sorriso al mercato bergamasco dell’auto. Mentre le immatricolazioni in Italia nel primo bimestre 2015 sono cresciute del 12,3%, con 266.555 vetture vendute rispetto alle 237.441 dello stesso periodo 2014, nella nostra provincia c’è stato un leggero calo (74 vetture in meno, da 4.271 a 4.197, pari all’1,7%). Nel mese di gennaio, in particolare, le immatricolazioni sono state 2.123 contro le 2.177 del 2014, mentre a febbraio si sono registrate 20 immatricolazioni in meno (2.074 contro 2.094).

Ecco la classifica dei mezzi venduti per marca a Bergamo nei primi due mesi del 2015

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  1. Fiat (517)

  2. Volkswagen (405)

  3. Ford (334)

  4. Opel (318)

  5. Renault (265)

  6. Toyota (240)

  7. Lancia (205)

  8. Peugeot (180)

  9. Dacia (174)

  10. Audi (170)

  11. Hyundai (157)

  12. Mercedes (143)

  13. Citroen (140)

  14. Bmw (123)

  15. Kia (120)

Ma anche la performance nazionale non è così brillante come sembra. «Il risultato è fortemente influenzato dalla crescita delle immatricolazioni a noleggio (+45% nel mese di febbraio e +49% nel cumulato) – afferma l’Unrae, l’Associazione dei costruttori esteri – , per due fenomeni contingenti ben precisi: nel noleggio a breve termine il forte “inflottamento” per le esigenze legate all’Expo di Milano, mentre nel noleggio a lungo termine i rinnovi dei contratti rinviati negli anni precedenti. Restano, invece, asfittiche le vendite a privati, che crescono nel mese di un timido +5,2%, perdendo ulteriormente peso e scendendo al 57,3% di quota, il valore più basso della nostra storia, portando i concessionari a vendere nel mese a privati solo una macchina a testa in più rispetto all’anno scorso».

L’analisi della struttura del mercato, come detto, segnala l’elevato contributo del noleggio che, crescendo nel mese del 45%, raggiunge una quota di mercato del 26,9%, quasi sei punti percentuali in più dello scorso anno, a sua volta già caratterizzato da volumi consistenti, con un contributo maggiore del lungo termine. I privati riescono ad immatricolare in febbraio poco più di 3.800 vetture rispetto ai volumi dello scorso anno, per un totale di 77.625 unità. Le società, dal canto loro, ottengono in febbraio una leggera crescita del 2,9% a 21.448 unità, con una quota che scende al 15,8%.

Nel mese di febbraio in crescita tutte le alimentazioni in cui è scomposto il mercato: il diesel performa meglio del totale (+15,1%) e incrementa di un punto la sua quota, la benzina cresce di un +8,1%, ma rimane sotto il 30% di rappresentatività. Ottimi risultati, inoltre, per le vetture a basso impatto, con il Gpl in crescita nel mese dell’11,9%, confermando la sua quota di mercato all’8,2%, con il metano che incrementa i suoi volumi del 28,2%, per raggiungere il 4,1% di rappresentatività ed, infine, con le ibride in crescita del 15,2% e stabili in quota all’1,4%. Grazie al contributo del noleggio anche in febbraio l’area Nord Est del Paese è al top nel ranking per numero di immatricolazioni (+29%), sfiorando il 36% di quota sul totale nazionale, seguita dalla crescita dell’11% in volume dell’area centrale, al 3° posto – però – per numero di immatricolazioni.

Fra i segmenti spicca l’andamento dei crossover che incrementano i propri volumi di oltre il 57%, quello delle station wagon a +36,8% e, seppur con volumi più contenuti, la performance dei monovolume compatti e multispazio, rispettivamente in crescita in febbraio del 22,9% e del 42,2%. Il mercato dell’usato, infine, segna nel mese un consistente +6,9% e 377.619 vetture trasferite (353.242), comprensive delle minivolture, che portano il cumulato del 1° bimestre a 729.488 trasferimenti complessivi, in crescita del 2,3% rispetto alle 713.292 unità dello stesso periodo 2014.


Il notaio Tucci: «Formula recepita in ritardo rispetto all’andamento dei mutui»

Tutti lo vogliono, tutti lo cercano, ma quando se lo trovano davanti decidono che, in fin dei conti, non fa al caso loro. Il rent to buy, sempre più richiesto e ricercato, stenta a farsi strada nel nostro mercato immobiliare, vuoi per la commistione tra due contratti, l’affitto e la vendita, che complica le cose, vuoi per la tassazione elevata. La nuova formula di origine anglosassone, entrata nel nostro ordinamento con il decreto “Sblocca Italia”, si scontra anche con una cultura come quella italiana fondata sulla proprietà immobiliare: «L’Italia è il primo Paese al mondo per proprietà privata e l’obiettivo per ogni italiano continua ad essere l’acquisto immobiliare, che all’ estero viene invece vissuto come un vincolo- commenta l’avvocato e notaio Marco Tucci, a margine del convegno organizzato da Fimaa Ascom-. Purtroppo il recepimento di questa formula contrattuale è avvenuto con un certo ritardo, visto che il rent to buy arriva in un momento in cui gli istituti di credito stanno tornando a concedere mutui». I dati dell’Abi evidenziano infatti un vero e proprio boom di mutui, anche attraverso al Fondo di Garanzia per la Casa che, nel suo primo mese di operatività, ha portato a febbraio 27,7 milioni di euro di nuovi mutui. Il Fondo- la nuova soluzione a vantaggio delle famiglie che ancora scontano gli effetti della crisi ma aspirano ad acquistare l’abitazione principale- rappresenta un’ulteriore spinta allo sviluppo del mercato dei mutui che già registra una fase di grande rilancio, con un’impennata relativa a tutto il 2014 del 32,5% rispetto al 2013 e un ammontare complessivo di circa 25,3 miliardi di euro. «La possibilità di detrarre gli interessi passivi del mutuo rappresenta inoltre un indubbio vantaggio sul rent to buy dove i canoni sono versati a fondo perduto e l’atto stesso comporta una più elevata tassazione di contratto che non si recupera, dall’atto iniziale a quello finale , alla doppia natura contrattuale stessa della nuova formula. La vendita immediata fa inoltre maturare in vista di un eventuale cambio di casa un credito d’imposta che si perde completamente nel rent to buy se ci si ferma all’affitto e non si arriva al riscatto». L’innamoramento per la nuova formula si rivela un’infatuazione passeggera: «In Italia ci si innamora spesso di formule anglosassoni, ma alla formalizzazione nero su bianco l’amore sfuma in fretta. Fino ad oggi le trattative partite con convinzione con il rent to buy sono naufragate con questa formula contrattuale, cui sono state preferite altre soluzioni già previste nel nostro ordinamento, come ad esempio il preliminare notarile trascritto per tre anni o la vendita con riserva di proprietà che ad oggi si presentano come le soluzioni giuridicamente e fiscalmente più vantaggiose». Ovviamente se si è interessati ad acquistare e vendere, perché altrimenti il rent to buy può rappresentare un’alternativa: E’ la formula perfetta per gli indecisi cronici, l’unica a garantire la possibilità di rinviare fino a dieci anni l’acquisto o di scegliere liberamente di limitarsi all’affitto senza riscattare l’immobile. Il venditore rischia di vincolarsi per dieci anni, un lungo periodo di tempo in cui può ricevere offerte di acquisto». Se, tra le formule mutuate dall’estero, il rent to buy e il trust godono di scarsa fortuna a queste latitudini, il leasing continua a confermare il suo successo: «La locazione finanziaria, una sorta di corrispettivo business del rent to buy, si è ormai affermata come formula contrattuale. Il conduttore ha la possibilità di detrarre i canoni di leasing e di riscattare rata dopo rata, in 12 anni, il costo dell’immobile. Molti acquisti di capannoni ed uffici avvengono ormai così, con tempi ridotti per la detrazione fiscale dell’acquisto, visto che si parla di 12 anni contro una media di 33 anni per poter scaricare l’acquisto dell’immobile. La formula può interessare oggi anche i liberi professionisti». Nella veste di notaio Marco Tucci non manca di ricordare l’importanza del ruolo nella trascrizione degli atti:«Il contenzioso sugli immobili gestiti dai notai è pari allo 0,0029 %, quindi nullo. Il sistema notarile garantisce le transazioni, mentre all’estero tutto è speculativo. Meglio di così è difficile fare. Per questo trovo assurda l’ipotesi ventilata dal disegno legge sulla concorrenza che sancirebbe la fine dell’obbligo dell’atto notarile per le operazioni immobiliari oltre che per la costituzione di alcune tipologie di società. In Italia la durata dei processi ci colloca al terz’ultimo posto in Europa (davanti solo a Cipro e Malta) e, secondo la classifica “Doing Business 2013” della Banca Mondiale al 160esimo posto su 185 Paesi analizzati. Con 5 milioni di cause pendenti che portano a sanzioni impressionanti europee per il ritardo di giudizio credo che sia bene iniziare a preoccuparsi dei costi che una soluzione come questa possa portare con sé».


Slot machine, le buone regole per gli esercenti

vetrofania codice etico slot machineBastano anche piccoli accorgimenti per disincentivare o, se non altro, rendere meno travolgente il gioco d’azzardo. Le ha messe in fila il Tavolo Provinciale per la Prevenzione del Gioco d’Azzardo Patologico, in un Codice etico che viene proposto agli esercenti.

Il gestore che aderisce al codice, oltre a osservare in modo rigoroso la legge che vieta il gioco d’azzardo ai minorenni, si impegna a:

1.      non prestare denaro ai giocatori;

2.      adottare strategie per favorire il controllo del tempo (per es. apponendo orologi ben visibili se possibile orologi a timing sonoro);

3.      rendere effettivamente fruibili i giochi di intrattenimento alternativi, previsti dal comma 7art. 10 del TULP (per es. freccette, biliardino, tavoli da stecca);

4.      laddove possibile, a differenziare/isolare lo spazio slot machine dal resto del locale con elementi di separazione ambientale;

5.      sensibilizzare chi intende giocare con minori al seguito apponendo cartellonistica di divieto d’accesso ai minori agli spazi slot;

6.      disincentivare il consumo di alcolici nello spazio slot:

  • sensibilizzando i giocatori a non consumare alcolici durante il gioco,
  • somministrando alcolici esclusivamente al banco e al tavolo,
  • non somministrando/vendendo alcolici a chi sta giocando,
  • non predispondendo supporti per bicchieri in prossimità delle slot machine;

7.      non collocare le slot machine in aree fumatori;

8.      esporre in modo visibile le reali percentuali di vincita delle slot;

9.      esporre in modo visibile i materiali informativi messi a disposizione dall’ASL;

10.  collaborare a momenti di sensibilizzazione e prevenzione al Gioco Patologico;

11.  esporre in modo visibile il Codice Etico.

 


Moda, acquisti su. In Lombardia balzo dell’8%

abbigliamento uomoMentre si è ormai chiusa ufficialmente la stagione dei saldi invernali (possibili secondo le norme regionali fino allo scorso 3 marzo), arrivano i dati del monitoraggio realizzato dall’Osservatorio Acquisti CartaSi per Federazione Moda Italia sulle spese effettuate dagli italiani a gennaio 2015 con carta di credito nei settori in abbigliamento, calzature, accessori, pellicce, pelletterie e valigerie ed articoli sportivi. E i numeri sono positivi. Sul piano nazionale gli acquisti sono infatti cresciuti del 6,9% rispetto a gennaio 2014 e in Lombardia l’aumento è stato ancora superiore, pari all’8%. Il dato del comparto moda riguarda una spesa di quasi 1 miliardo e 47 milioni di euro (per l’esattezza, 1.047.186.846 euro), pari al 15,3% delle spese complessivamente effettuate a gennaio dagli italiani. In particolare, hanno registrato le migliori performance gli accessori moda con un +30,6%, gli articoli sportivi (+9,8%), l’abbigliamento (+7,1%) e le calzature (+2,8%). Segno meno, invece, per la pelletteria e valigeria (-7,4%). Molto netto, invece, il calo della pellicceria (-20,1%). Quanto alle evidenze regionali, se in tutta Italia domina il segno positivo, Toscana (+9,8%), Veneto (+9,6%), Friuli Venezia Giulia (+9,5%), Umbria (+8%), Lombardia (+8%), Sicilia (+7,5%) e Marche (+7,1%) si attestano sopra la media. L’Emilia Romagna è nella media (6,6%), seguita da Puglia (+6,2%), Piemonte (+5,4%) e Liguria (+5,2%). Più giù Lazio (+4,9%), Campania (+4,8%), Basilicata e Calabria (+3,1%), Sardegna (+2,9%), Abruzzo e Molise (+2,6%) e Trentino Alto Adige (+1,7%).