Frutta secca per dimagrire? Si può

L’estate con le sue temperature alte si sta facendo sentire e in attesa delle vacanze si teme la prova costume. Donne e uomini cominciano, se non hanno seguito un’alimentazione corretta tutto l’anno, a pensare ai chili di troppo e cercano di correre ai ripari aggiungendo più verdura, frutta, fibra e acqua nella loro dieta quotidiana. Quando però si ha davanti una bella ciotola di mandorle, noci, uvetta, pistacchi o anacardi, il primo pensiero che passa per la testa è “non lo mangio perchè fa ingrassare!”.
Sarà davvero così o si tratta di una leggenda metropolitana?

Nonostante per molti anni la frutta secca fosse considerata alimento da evitare per l’eccessivo apporto calorico, ora le ricerche scientifiche dimostrano esattamente il contrario.
Assunta con moderazione è un ottimo alimento per ridurre la fame e non solo fa bene all’organismo, ma addiritura può aiutare ad eliminare il grasso corporeo.
Come? Basta fare attenzione alla quantità e all’orario. Gli scienziati propongono una porzione da 20 grammi al giorno di frutta oleosa che, come dimostrato, fa diminuire il colesterolo totale. Inoltre, aggiungere la frutta secca – soprattutto mandorle, noci, pistacchi, arachidi – nell’alimentazione aiuta a raggiungere il consumo giornaliero raccomandato di cinque porzioni di frutta e verdura. Senza contate che può agire come un ‘stop’ alla fame in quanto favorisce il senso di sazietà.

La frutta secca quindi, che è ricca di acidi grassi essenziali, è perfetta come snack di metà mattinata, per spezzare la fame ed evitare di esagerare a pranzo, ma anche a colazione con lo yogurt greco, oppure prima di andare in palestra poiché fornisce all’organismo energia e sali minerali.
Inoltre, uno studio recente dell’Università di Florida ha dimostrato che le mandorle sono una fonte eccellente di vitamina E, magnesio e calcio, mentre le fibre contenute aiutano a rafforzare i cosiddetti ‘batteri buoni’ dell’intestino. Per di più il consumo quotidiano di frutta secca in quantità moderata riduce di circa il 30% l’incidenza di alcune malattie cardiovascolari come ictus e infarto.

I top 5 

Secondo il Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti d’America (USDA) i top 5 da consumare sono: i pistacchi che apportano al nostro organismo acidi grassi benefici, proteine di origine vegetale e sali minerali; le mandorle che hanno benefici considerevoli per i pazienti diabetici; gli anacardi che sono ricchi di proprietà benefiche e contengono magnesio e selenio, ottimo per i dolori delle articolazioni; le noci che sono ricche di proteine, carboidrati, grassi buoni e omega 3 e che hanno dei benefici nell’abbassare il colesterolo e regolare la pressione sanguigna, sono inoltre consigliate anche a chi soffre di diabete; e le nocciole che secondo Journal of Clinical Lipidology possono abbassare il colesterolo.

Mangiare sì, ma con moderazione
La frutta secca ha molti benefici per la salute, tuttavia c’è sempre il rischio di consumare quantità superiori a quelle che consigliano medici e nutrizionisti. Le noci sono molto energetiche, per 100 gr di prodotto forniscono all’organismo circa 600 calorie, quindi non si deve esagerare perché c’è il pericolo che aumenti il peso corporeo. Inoltre, possono causare diarrea e altri problemi di digestione come dolori addominali e gonfiore se vengono consumate in grandi quantità. La prossima volta quindi che vi farete la domanda “mangio la frutta secca?”, la risposta è “sì” ma con attenzione.

La nutrizionista Roberta Zanardini
Un ottimo alleato per la salute 

È un mito che la frutta secca fa ingrassare? 
Il contenuto calorico è elevato, ma dovrebbe sempre far parte di una corretta alimentazione, pur non esagerando nelle quantità. La combinazione naturale di fibre, proteine, carboidrati e grassi insaturi conferisce a questo alimento un basso indice glicemico e lo rende prezioso contro gli aumenti di glicemia dovuti all’assunzione di zuccheri a rapido assorbimento. Inoltre, contiene zinco, magnesio, ferro, potassio, fosforo e calcio, per non parlare poi di vitamine A, E, C e K, insomma una sana abitudine.                                       

Quanta frutta secca possiamo mangiare al giorno per mantenere la nostra linea? 
Il consumo quotidiano dovrebbe essere di circa 10g per chi segue una dieta ipocalorica e di circa 20g per chi è normopeso. Meglio scegliere frutta secca al naturale, non tostata e non salata perché permette di usufruire di tutte le sue proprietà nutrizionali limitando allo stesso tempo l’assunzione di sodio.

Esiste un orario migliore per consumarla?
Sarebbe meglio evitare di sgranocchiarla prima di coricarsi o dopo pranzo, cioè quando le calorie si sommerebbero con quelle già introdotte e perché andrebbe ad appesantire la digestione fornendo un eccesso di calorie non necessario. Come avviene per la frutta fresca, i momenti ideali in cui consumare frutta secca o disidratata sono quindi la colazione o gli spuntini di metà mattina e metà pomeriggio. In questi momenti infatti il nostro organismo ha bisogno di energia per iniziare la giornata e per arrivare ai pasti principali senza incorrere in cali energetici andando a sostituire e quindi eliminare l’uso di snack confezionati

COME PUÒ ESSERE ABBINATA PER FARE IL PIENO DI ENERGIA SENZA APPESANTIRCI DI CALORIE?
Grazie alle sue caratteristiche risulta un alimento completo anche assunto da solo, ma la si può consumare in aggiunta a uno yogurt contenente frutta fresca e cereali integrali o per arricchire le insalate.


Buono come il latte

Latte di cocco, soia, mandorla, avena o riso sono sempre più presenti negli scaffali dei supermercati poiché considerati un sostituto nel caso di intolleranze o allergie al latte vaccino. L’alternativa si moltiplica a vista d’occhio, sostituendo i tradizionali prodotti caseari. I consumatori vogliono, infatti, sempre qualche novità di gusto.

È boom di consumi

In Italia sono 12 milioni le persone che consumano bevande vegetali.  Piacciono soprattutto agli adulti tra i 25 e i 54 anni e alle donne, con una fascia di reddito medio alto. “Per adesso il latte vaccino è ancora il preferito dagli italiani, a noi allevatori le alternative non creano fastidio, il latte materno e di vacca sono un alimento insostituibile”, commenta Simone Assanelli, allevatore di razza frisona a Treviglio, che ci tiene a mettere in guardia sulla definizione. “Una sentenza della Corte di giustizia europea stabilisce che solo i prodotti di derivazione animale possono essere chiamati latte, tutto il resto sono bevande ricavate da cereali, dunque tutt’altra cosa, è bene evitare di fare confusione”.

I valori nutritivi

Nelle fasi della crescita è preferibile consumare il latte di mucca. Un bicchiere di latte intero contiene otto grammi di proteine e un terzo del calcio che si dovrebbe assumere quotidianamente, è ricco di potassio e vitamine B12, A e D. Il “latte” di soia contiene più o meno le stesse proteine, è povero di calcio, ma ricco di omega 3, quello di mandorla ha molte vitamine e poche calorie se il produttore non aggiunge zuccheri. Il latte di riso è uno dei più leggeri e dolci, dunque non va bene per chi soffre di diabete. Vediamo nel dettaglio.

LATTE DI SOIA

Si ottiene macinando o frullando in acqua i semi del legume lasciati macerare per qualche ora. Oltre a essere privo di colesterolo, presenta grassi insaturi, scarsi nel latte vaccino e ha un simile apporto proteico, mentre il potere nutrizionale è inferiore. Le sue proteine, una volta assorbite, agiscono come spazzini delle arterie, abbassando  il colesterolo plasmatico totale, le LDL, i trigliceridi, ma non la frazione buona HDL, che può risultare addirittura aumentata. Nonostante il latte di soia contenga poco calcio e nessuna vitamina D, la presenza dei fitoestrogeni  ha un effetto protettivo nei confronti dell’osteoporosi. Gli isoflavoni e le proteine della soia sono ottimi alleati ai fini del dimagrimento. Degli studi hanno dimostrato che una sostanza della soia di natura proteica, la beta conglicinina, stimola il rilascio di un ormone coinvolto nella riduzione della fame.

LATTE DI RISO

Si ottiene dopo una serie di processi industriali, facendo macerare i chicchi in un brodo d’acqua, aggiungendo poi degli enzimi e pressando il tutto: il liquido è filtrato e spesso arricchito di sostanze addensanti, come amido di riso o carragenina e,  a volte, micronutrienti e oli vegetali. Ricco di zuccheri semplici, fornisce energia subito disponibile. Insieme a quello di avena è il “latte” che contiene una grande quantità di zuccheri semplici ed è quindi utile nei casi di attività fisica. A livello di calorie ne contiene 47 per ogni 100 grammi. Tra tutti i tipi di latte vegetale è il meno grasso: contiene polinsaturi, fibre, vitamina A, B, D, minerali. Bassi i livelli di proteine e calcio: quindi se lo si preferisce al latte di mucca, bisogna stare attenti a integrare l’apporto di questi nutrienti.

LATTE DI AVENA

Tra il “latte” vegetale  in commercio, è quello con il minor apporto calorico e povero di grassi. Oltre a non apportare colesterolo, riduce i livelli di quello già presente nel sangue, aiutando a prevenire malattie di natura cardiovascolare, tra cui l’arteriosclerosi. Essendo ricco di acido folico, è consigliato alle donne in gravidanza. E, avendo un basso contenuto di zuccheri, va bene per i diabetici. Rispetto al latte tradizionale, ha una maggiore quantità di fibre e, al pari del latte di soia, una buona percentuale di carboidrati e di vitamina E e B9, utile nel  prevenire l’anemia. Ricco di calcio e ferro,  possiede acidi grassi essenziali, come l’acido linoleico, che è un ottimo ricostituente ed energizzante naturale. Pertanto, si consiglia di bere latte d’avena soprattutto nei periodi di convalescenza o quando si necessita di essere in forze.

LATTE DI COCCO

Si tratta della polpa del cocco in forma liquida e non dell’acqua contenuta al suo interno. Pertanto, si può prepare anche a casa frullando la polpa. Contiene molti minerali – a differenza del latte vaccino e delle bevande vegetali in genere – come selenio e magnesio, oltre a potassio, ferro e zinco. E’ una fonte di vitamine E e C e la metà dei suoi grassi è composta da acido laurico  che combatte il colesterolo “cattivo”. Inoltre, pur essendo molto calorico (250 calorie per bicchiere) tanto da sposarsi al caffè senza aggiungere zucchero, il latte di cocco aumenterebbe il senso di sazietà.

LATTE DI MANDORLA

Possiede un alto contenuto di vitamine A, D, E, proteine, Omega 6, zinco, calcio, ferro, magnesio e potassio. Condivide alcune proprietà del latte di soia, ma il contenuto calorico è molto più basso: una tazza di latte vaccino intero ha 140 calorie, una di latte di soia 80, mentre una di latte di mandorla 40 e, senza zucchero, solo 30 calorie. Anche se normalmente il latte di mandorla non contiene zuccheri, i produttori li aggiungono all’alimento per migliorarne il sapore. La maggior parte delle opzioni presenti sugli scaffali ha 20 grammi di zucchero per porzione. Nell’etichetta occorre, inoltre, verificare che la materia prima usata non sia inferiore al 3 per cento, altrimenti si rischia di perdere i numerosi vantaggi, e che le mandorle siano non pelate in quanto i benefici stanno proprio nella buccia.

LATTE FIENO

Il latte fieno è una denominazione Stg, Specialità tradizionale garantita: è prodotto da animali alimentati solo a fieno che hanno accesso al pascolo libero, donando un sapore inconfondibile e più apporti qualitativi. “Il nostro, in Val Brembana, è un latte di vacche alimentate senza insilati, ovvero il trinciato o umido, se non fosse così, non riusciresti neanche a caseificarlo – aggiunge Angelo Riceputi, allevatore di Valleve -. Nella maggior parte degli allevamenti tradizionali, specie quegli intensivi, i bovini sono nutriti con mangimi industriali, miscele di mais e soia (spesso ogm) e insilati, quel latte viene dato alle industrie”. Il latte fieno è più ricco di omega 3, possiede una quantità di principi nutritivi doppia ed è più buono.

LATTE D’ASINA

Costa molto (15 euro al litro), ma le sue proprietà sono davvero tante. Il latte d’asina è il più simile al materno, tanto da essere sviluppato come integratore. Uno studio condotto dall’Ospedale Sant’Anna e dal Cnr-Ispa di Torino ha preso in considerazione 156 prematuri: metà hanno ricevuto per 21 giorni latte umano con il fortificatore a base di latte d’asina, gli altri quello standard a base vaccina. Le intolleranze erano 2,5 volte inferiori nei soggetti che assumevano il prodotto a base di latte d’asina. “E’ un latte con pochi grassi, più leggero, ricco di omega 3 e dal sapore dolce che piace ai bambini, ideale anche per chi ha problemi di colesterolo, osteoporosi o deve rafforzare il sistema immunitario”, spiega Francantonio Belotti che con il figlio Leonardo gestisce Mondo Asino. La mungitura delle loro 50 asine avviene a Olmo. I costi hanno una spiegazione: l’animale produce solo un litro e mezzo di latte al giorno.

LATTE DI CAMMELLA

Negli ultimi tempi il latte di cammella è apprezzato anche nel mondo occidentale, tanto che alle Isole Canarie è nato il primo allevamento europeo di capi da latte. Il prodotto è meno grasso e dà luogo a meno intolleranze e allergie. Tra le sue proprietà, spicca il ricco contenuto di vitamina C, che è triplo rispetto a quello di latte vaccino, e del gruppo B, utili per aumentare la produzione di collagene e per combattere i radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento. Contiene anche ferro, calcio, acidi grassi insaturi e collagene, rinforza il sistema immunitario e ha un moderato effetto ipoglicemizzante che lo rende utile per i diabetici. Mezzo litro può costare anche una decina di euro.

 

 

 

 


Selvaggina, Bergamo verso una filiera tracciata. C’è anche il tour nei ristoranti

selvatici e buoni - con logoBergamo fa da apripista a livello nazionale per la creazione di una filiera tracciata della carne di selvaggina. Il progetto si chiama Selvatici e Buoni, è curato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano e la Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, è realizzato con il sostegno della Fondazione Una Onlus e raccoglie l’adesione di numerose realtà del territorio.

Ascom Bergamo, supporter del progetto, ha colto la sfida di coinvolgere i ristoratori per ridare valore ad un’eccellenza alimentare troppo spesso sottovalutata, ma che nel nostro territorio ha enormi potenzialità, considerata la presenza in Bergamasca di 13mila ungulati selvatici, tra cui cervi, camosci, caprioli e cinghiali. L’utilizzo di carni di selvaggina rappresenta una scelta sostenibile e a bassissimo impatto ambientale, volta a rivalutare il vero prodotto locale, gestendo al contempo eventuali squilibri dettati dall’incremento della fauna selvatica.

La selvaggina è una risorsa che va rivalutata sia dal punto di vista qualitativo che sanitario, riscoprendo anche tagli poco conosciuti che si prestano alle più svariate ricette. Le carni degli animali a vita libera hanno qualità organolettiche interessanti, dal basso contenuto di grassi e colesterolo alla ricchezza di ferro, zinco e vitamina B12.

La “bontà” dell’iniziativa potrà essere testata nel mese di novembre con “Selvatici e buoni a tavola…”, quattro cene in altrettanti ristoranti, ognuna con un menù dedicato ad una carne diversa accompagnato dai vini del Consorzio Valcalepio.

Si comincia mercoledì 8 all’Osteria Al Giganca di Bergamo con il cervo, per proseguire il 15 alla Trattoria gastronomica Selva di Gelso di Clusone con il daino, il 22 al ristorante Bellavista di Riva di Solto con protagonista il cinghiale e per chiudere il 30 novembre al ristorante Peccati di Gola di Vilminore di Scalve con il camoscio. Il costo è di 35 euro per persona (solo su prenotazione almeno due giorni prima dell’evento, contattando i ristoranti).

Oltre ad aver promosso il coinvolgimento dei ristoratori, Ascom partecipa al progetto di filiera con un corso per “persona formata” sugli aspetti normativi, sanitari e di promozione delle carni di selvaggina. Il percorso formativo della durata di 16 ore, è in programma il 17, 24 e 31 gennaio e il 5 febbraio all’Accademia del Gusto di Osio Sotto.

«La selvaggina ha fatto la storia della cucina e fa parte da sempre della nostra tradizione gastronomica – sottolinea Luigi Pesenti, vicepresidente del Gruppo Ristoratori Ascom -. Si presta a innumerevoli ricette e un adeguato trattamento delle carni ne esalta il gusto, a torto ritenuto dai più troppo intenso. La sfida della ristorazione è quella di fare scoprire materie prime eccellenti e di stagione come la selvaggina, che rappresenta tra l’altro una scelta sostenibile a differenza delle produzioni zootecniche intensive».

«Il progetto nasce dall’esigenza di trasformare un problema, quello dell’aumento esponenziale degli ungulati selvatici, in una risorsa – ha spiegato in occasione della presentazione Silvio Barbero, vicepresidente dell’Università di Pollenzo –. Il percorso di valorizzazione della filiera parte dai cacciatori e dalla loro formazione, mirata a trasformarli in produttori di cibo con tutte le conoscenze necessarie e relative responsabilità, prosegue con i macellai e infine con i ristoratori. Mettendo insieme questi saperi diversi si potrà creare un modello in grado di certificare provenienza e qualità delle carni».

>> Il programma delle cene


Agri yogurt, da podio quello di capra di Bariano

vincitori concorso agri yogurt 2017

Lo yogurt di capra dell’azienda agricola Cascina Aurelia di Bariano conferma la sua bontà. Già riconosciuto “ottimo” nelle precedenti edizioni del Concorso nazionale Agri Yogurt, in occasione delle Fiere Zootecniche Internazionali di Cremona, ha ottenuto il secondo posto quest’anno, alle spalle dell’azienda agricola San Gregorio di Massimo Cipolat Padiel di Aviano (Pordenone), mentre al terzo posto è arrivata l’azienda agricola La Mascionara di Rinaldo D’Alessio di Campotosto (L’Aquila).

Il Concorso nazionale Agri Yogurt ha l’obiettivo di promuovere piccole realtà agricole, o artigianali, che uniscono alla produzione di freschissimo latte di vacca, capra, o bufala, la trasformazione e la vendita diretta al consumatore. Erano iscritti alla competizione 105 yogurt da 17 regioni d’Italia e 48 province. Gli yogurt sono stati esaminati da una commissione composta da 25 valutatori, con un’apposita scheda che ha preso in considerazione gli aspetti visivi, olfattivi e gustativi.

cascina aurelia BarianoL’azienda di Bariano condotta dalla giovanissime Gloria Colzani e Jennifer Patelli produce e vende direttamente, anche con un simpatico furgoncino personalizzato, oltre allo yogurt bianco o aromatizzato, formaggi freschi e stagionati, dessert, gelato e cosmetici, tutti fatti con il latte delle capre Saanen del piccolo allevamento.

Per la categoria yogurt da latte vaccino ha vinto l’azienda Gocce di Memoria di Marchionni Ugo & C. di Chiuro (Sondrio) con un punteggio di 88,2 punti; seconda l’azienda Affinito Anna Taverna Centomanni di Potenza; terzo il Caseificio Di Vagno di Conversano (Bari), mentre negli yogurt da latte bufalino il successo, con 86 punti, è andato al caseificio Casa Madaio di Castelcivita (Salerno), seconda l’azienda agricola Casumaro di Bomporto (Modena); terza l’azienda agricola Rinna Domenico di Amaseno (Frosinone).


Vino e formaggio, Donizetti ispira due nuove specialità

Gaetano Donizetti come marchio della città, capace di veicolare il nome di Bergamo nel mondo. È un obiettivo che la Fondazione Donizetti e il territorio stanno condividendo, con iniziative che portano la musica e la figura del compositore fuori dai teatri.

Anche il cibo assume il ruolo di testimonial e così, dopo il Donizetti Spriss, aperitivo creato da Toni Foini de Le Iris, il liquore Elisir d’amore delle Distillerie di Sarnico, la serie di cioccolatini del Balzer, senza contare la già famosa torta Donizietti, arrivano altre due chicche ispirate al famoso musicista.

La Cantina Le Corne di Grumello del Monte, azienda con la vigna a corpo unico più estesa della provincia di Bergamo, orientata alla riqualificazione del territorio e alla produzione di vino nella cornice della coltivazione biologica, dedicherà annualmente una riserva numerata all’opera di Donizetti che compie 200 anni (progetto #donizetti200): quest’anno sarà il pinot nero di Bergamo “Divenire – Pigmalione”.

Il caseificio Defendi di Caravaggio, azienda familiare con oltre 150 anni di esperienza nella produzione di formaggi Dop lombardi come gorgonzola, taleggio e specialità con latte di bufala, ha invece in produzione la “Furtiva Lagrima”, un erborinato che nasce dall’unione di un gorgonzola selezionato dalla consistenza particolarmente cremosa e accurati ingredienti che vanno dalle confetture a granelle di cereali.

Ecco come i produttori raccontano la propria ispirazione donizettiana

Le Corne, il vino dedicato ai 200 anni della prima opera scritta da Gaetano Donizetti

le corne«Oggi il vino Pinot nero rappresenta, in quel di Bergamo, un’alternativa ai “tagli bordolesi” che tanto hanno sostenuto lo sviluppo enologico di questa terra. La lungimiranza del titolare, che 10 anni fa decise di piantare a Grumello del Monte questo vitigno ci permette oggi di produrre un “nettare” singolare; capace di risvegliare sensazioni nascoste e sopite nel tempo e nella monotonia della vita d’oggi!

Prodotto senza chimica, lentamente, solo l’intelletto umano e la pazienza di saper attendere. Un vino irruento e scontroso nella sua giovinezza, sfrontato e irriverente; non si concede mai a coloro che non lo sanno ascoltare, a coloro che non sanno percepire la sua profondità, a coloro che non sanno attendere! Come un’opera di Donizetti mai delude, la sua acidità unita alle note fruttate e minerali sa solleticare il palato predisponendo la nostra mente a piacevoli pensieri, sempre garantendo un crescendo sensuale e trascinante».

Formaggi Defendi: La furtiva lagrima, il gorgonzola cremoso si rifà all’aria più celebre

«Una ricetta segreta che come la complessità di un’aria non può essere svelare o descritta, ma solo ascoltata e assaggiata. Siamo molto felici di aver aderito a questo progetto perché già da anni i nostri prodotti portano nel mondo la genuinità dei formaggi e dei pascoli bergamaschi e la cultura del nostro territorio. Tempo fa abbiamo dedicato a Caravaggio e ai suoi dipinti alcuni prodotti della nostra gamma. Oggi dedichiamo a Gaetano Donizetti un omaggio legato anche al ricordo di nostro padre, grande appassionato d’opera e figura centrale nella storia dell’azienda».

Le due nuove specialità sono state annunciate all’apertura di DoReDrink, occasioni conviviali promosse dalla Fondazione Donizetti per condividere con la città idee, spunti, informazioni e approfondire la programmazione della nuova stagione lirica che avrà inizio a ottobre al Teatro Sociale».


Valle Imagna, alla Bibliosteria si cena con i produttori agricoli

bibliosteria cà berizziParla di senso di appartenenza, passione per il lavoro della terra, costruzione di percorsi agroalimentari, storie di uomini e ambienti, di ieri e di oggi, il nuovo ciclo di “conversazioni a cena” con gli artigiani del cibo, promosso dal Centro Studi Valle Imagna.

Dal 9 giugno al 21 luglio, per quattro venerdì, la Bibliosteria di Cà Berizzi a Corna Imagna (contrada Regorda, 7) ospita altrettanti allevatori e agricoltori della valle, testimoni di antiche tradizioni o coraggiosi pionieri di nuove produzioni. Le serate si articolano in due momenti: alle 19.30 la presentazione dell’ospite, delle attività e dei prodotti aziendali, alle 20.30 la cena con i prodotti agroalimentari illustrati dal protagonista.

«Ascoltiamo le varie storie, assaggiamo i prodotti, cerchiamo di cogliere gli elementi salienti delle singole esperienze, con i punti di forza e di debolezza di ciascuna realtà produttiva – spiegano gli organizzatori -. I vari protagonisti ci introducono non solo nei sapori della loro terra, ma specialmente nel bagaglio di conoscenze e di abilità artigianali ancora in grado di tramandare un patrimonio umano che rappresenta il bene collettivo più importante da salvaguardare. L’incontro di antiche e nuove produzioni documenta una rinnovata tensione imprenditoriale e la capacità del contesto di rigenerare nuove comunità rurali consapevoli e attente ai valori dell’ambiente e della qualità della vita».

Il costo di ogni serata è di 25 euro. Chi partecipa a tutti e quattro gli appuntamenti riceve un volume omaggio del Centro Studi Valle Imagna.

Per le prenotazioni: 366 5462000 – info@caberizzi.it

IL PROGRAMMA

VENERDÌ 9 GIUGNO

Caseificio Osvaldo Locatelli

Osvaldo Locatelli segue le orme della mamma, Rosa Carminati, produttrice storica dello Stracchino all’Antica delle Valli Orobiche (Presidio Slow Food), che nel suo caseificio a Corna Imagna continua a proporre insieme ad altri prodotti caseari attuali ad esso riconducibili, tutti a latte crudo, intero e a munta calda.

VENERDÌ 23 GIUGNO

Cheluma di Andrea Togni

L’allevamento a ciclo biologico completo di lumache Helix Aspersa, che per le loro caratteristiche organolettiche sono particolarmente adatte ad essere cucinate e gustate a tavola, è stato recentemente introdotto ad Almenno San Salvatore, su un terreno collinare dove, fino a qualche anno fa, venivano coltivate uve pregiate.

VENERDÌ 7 LUGLIO

Zafferano di Luca Albergoni

Alcuni terreni terrazzati, già utilizzati nel passato per la coltivazione di vite, granoturco, tuberi e ortaggi, situati ai piedi della Costa dei Campi di Locatello, sono stati oggi utilizzati dal giovane Luca Albergoni per la coltivazione dello zafferano. Una nuova forma di microeconomia di territorio.

VENERDÌ 21 LUGLIO

Orsobiodinamico di Maria Grazia Rota

L’azienda si trova a Brumano, in alta Valle Imagna, un ambiente incontaminato lontano dalla città. Si producono piccoli frutti e confetture nel pieno rispetto dell’ambiente, applicando il metodo bidinamico, che mira a stimolare le sinergie e gli equilibri all’interno del terreno e delle piante.


Val del Fich, i formaggi da premio della “Giamburrasca” dei caprini

Nessuna emozione quando le telecamere di Linea Verde l’hanno ripresa tra le stalle e i prati dell’azienda, durante la mungitura e la preparazione delle sue “creature” a chilometro zero, ricotte e formaggelle, con tanto di consegna a domicilio nei paesi limitrofi, mentre da quest’anno ha avviato anche una fattoria didattica per i bambini.

Ma è sui formaggi che si concentra la critica, dopo il riconoscimento prestigioso già incassato da Federica nel concorso milanese Onaf 2016 “All’Ombra della Madonnina» per la doppietta stracchinello-tronchetto. Da quel momento la sua vita non è stata più la stessa e nel giro di un paio d’anni è diventata una delle allevatrici più “mediatiche” del Bel Paese, dimostrando di cavarsela assai bene non solo nella caseificazione e nell’allevamento, ma anche davanti a microfoni e telecamere. Lei però è fatta così, spontanea come il suo sorriso, e ama ricordare come tutto nacque poco più di tre anni fa, nell’anno in cui a Milano frequentava la facoltà di Veterinaria all’Università, con indirizzo “Allevamento e Benessere Animale”.

Federica racconta di aver deciso di fare il tirocinio in un allevamento di capre «poiché è l’animale da reddito che mi ha sempre affascinato sin da bambina». Così iniziò a frequentare l’Azienda agricola Gamba, dove Battista Leidi, il vero guru italiano dei caprini, insegnandole l’arte della caseificazione, non le risparmiò ruvidezze e rilievi. «I primi giorni – ricorda – furono difficili soprattutto perché Battista era molto rigido nei suoi insegnamenti, ma col passare dei giorni mi sono sempre più legata a lui e il tirocinio è durato più del dovuto. Cercavo di unire la teoria e gli studi universitari con la tecnica e la tradizione che mi trasmetteva Battista: lì ho capito che quello era il lavoro che avrei voluto fare e con l’appoggio dei miei genitori ho deciso di buttarmi in questa avventura, coronando il mio sogno: lavorare con gli animali».

Federica Cornolti

L’attività parte con 15 capi in lattazione stabulati in una piccola struttura provvisoria: Federica inizia a lavorare il primo latte in un piccolo laboratorio mentre aspetta i premessi per la struttura finale. «Ad oggi possiedo 40 capi in lattazione e lavoro un buon quantitativo di latte che viene completamente trasformato per la produzione di formaggi freschi, formaggelle, ricotte e yogurt». La soddisfazione più grande sono i complimenti dei clienti e della critica, specie in occasione del concorso milanese all’Ombra della Madonnina.

caprini - azienda agricola Val del Fich (2)«La Giuria mi ha assegnato l’eccellenza per il tronchetto crosta fiorita: è stata una sorpresa perché non avrei mai pensato, visto la mia poca esperienza, di raggiungere un premio del genere». L’entusiasmo è la sua arma in più, quella che le fa reggere la giornata anche a ritmi infernali: «Mungo le capre due volte al giorno, do da mangiare agli altri animali e poi parto con la caseificazione. Adesso mi sto attrezzando per organizzare i campi estivi con i ragazzi. È un lavoro sette giorni su sette. Anche se cerco di godermi al massimo i momenti di relax. A Pasquetta sono andata in montagna, ma prima di partire e una volta tornata, mi aspettavano le capre da mungere: non mi pesa, è la mia vita».

Con i clienti ha un rapporto speciale, in tanti le danno del tu, c’è empatia quasi immediata: «Mi piace il rapporto diretto con la gente: ascolto tutti, mi vanno bene i complimenti, ma ascolto anche i consigli e faccio tesoro anche delle critiche quando arrivano. Il consumatore cerca disperatamente la genuinità: preferisce venire al mio spaccio anziché andare al supermercato, ma in questo modo mi sento anche investita di tante responsabilità, perché devo dar loro i messaggi giusti, per una corretta alimentazione o uno stile di vita sano». E tanto per non farsi mancare niente, Federica ha varato anche una linea di confetture: «Le produco insieme a mia mamma e mia nonna. Diciamo che è un’idea intergenerazionale: è bello fare qualcosa insieme alla propria famiglia, e sono pure buone!».

Federica Cornolti - azienda agricola val del fich (2)Ma tornando alla sua antica vocazione, nonostante sia stata molto tempo, recentemente, davanti a taccuini e telecamere con disinvoltura disarmante, Federica confessa che la sua più grande emozione resta quella che le capita abbastanza spesso, ormai, in stalla: «È quando vedo nascere un capretto: a quel punto tutta la fatica scivola via e resta soltanto una grande gioia».

Azienda Agricola “Val del Fich”

via Cornella
Ponteranica
346 1045697


E l’ex operaia divenne coltivatrice di tartufi

Fino a quattro anni fa era operaia in un’azienda tessile. Dopo la chiusura dello stabilimento, la cassa integrazione e la mobilità, si è reinventata come contadina. Eufemia Maiorano, classe 1961, oggi è titolare dell’azienda agricola “La sella” a San Giovanni Bianco, nella frazione San Pietro d’Orzio, un piccolo villaggio agricolo un tempo autonomo e collocato su un’altura. Accanto alla produzione di zafferano, la neoimprenditrice ha affiancato quella del tartufo. “Ero fuori dal mercato del lavoro, la terra mi ha dato un’opportunità e l’ho colta al volo – spiega Eufemia -. I due impieghi sono agli antipodi, non si possono paragonare e i sacrifici nella nuova professione non mancano, sono passata dallo stare sempre rinchiusa in fabbrica al lavorare fuori, anche quando piove e fa freddo”.

Le piantine seminate, nella primavera del 2012, sono 130. E in estate il suo Satana, un incrocio tra un cocker e uno springer, potrà fiutare i primi tartufi. Appartengono alle varietà Uncinato, Estivo e Nero pregiato e si differenziano per la stagione di raccolta.

eufemia Maiorano e il cane SatanaIl primo, che si ritrova nel terreno già in primavera, ha un profumo delicato, con note di nocciola, porcino e grana. Si può gustare sia cotto sia crudo in svariati piatti.

Segue la raccolta dell’Estivo, o Scorzone, che può raggiungere dimensioni notevoli e ricorda l’aroma del malto: viene perlopiù impiegato per realizzare salse e nella produzione di insaccati. Il prezzo di entrambi è sui 250 euro al chilo, molto più “economici” rispetto al Nero pregiato, che si trova in inverno, possiede un gusto dolce e, spolverizzato, impreziosisce qualunque preparazione. Il suo valore può superare i 600 euro al chilo.

Il prezzo di mercato varia anche a seconda della pezzatura, della forma e della qualità organolettica. Il tartufo non va confuso con i tuberi: è un fungo sottorraneo e simbionte. Ogni prodotto è associato a una pianta che lo farà crescere, spesso un albero micorizzato. Nella tartufaia bergamasca, che si estende su seimila metri quadri, sono il nocciolo e il carpine bianco. Il tartufo si sviluppa in un tempo minore, sui sei-sette anni rispetto ai venti-venticinque del tiglio. “Il primo passo da compiere è far analizzare il terreno, deve essere calcareo, umido, vicino a corsi d’acqua, poi armarsi di pazienza – spiega Eufemia Maiorano -. Le spese di gestione annuali sono basse: sono necessarie la cura, l’irrigazione e la potatura delle piante, poi la produzione può essere costante anche per trent’anni”.

I tartufi della Sella saranno destinati alla vendita diretta. Info al 393 1543560.


Marron glacé, uno su due in Europa è made in Bergamo

marron glace italcanditiBergamo patria dei marron glacé? Ebbene sì! La metà delle preziose e golosissime castagne glassate consumate ogni anno in Europa, ossia 700 tonnellate, viene prodotta a Pedrengo dalla Italcanditi Vitalfood, come si legge in un’ampia intervista al fondatore, Angelo Goffi, realizzata dalla rivista Città dei Mille. il prodotto è uno dei fiori all’occhiello della storica azienda, nata nel 1963 dall’esperienza nel laboratorio artigianale del padre Alfredo, fin al 1945 specializzato nei marron glacé, nella frutta candita e nelle confetture e oggi leader a livello europeo nella produzione di confetture, creme, frutta candita, preparati per yogurt, verdure stabilizzate, creme salate e salse.

Il dominio nel settore dei marron glacé si deve «ai prezzi prezzi più concorrenziali sul mercato – ha spiegato il titolare nell’intervista -, ovvero agli investimenti tecnologici nell’impiantistica della produzione». Si parte da castagne attentamente selezionate, che vengono pelate a vapore e lavorate artigianalmente per conservarne sapore, fragranza e morbidezza, utilizzando tecnologie produttive avanzatissime, unite ad un severo controllo sulla qualità e sulla rispondenza ai più elevati standard di igiene.

L’innovazione dei processi produttivi e gli investimenti in ricerca e sviluppo sono, del resto, nel Dna dell’azienda, che ha una produzione complessiva di 60mila tonnellate, 400 dipendenti, un fatturato di 100 milioni di euro ed esporta in cinquanta Paesi nel mondo.

Un punto di forza è rappresentato anche dalle politiche energetiche e di tutela dell’ambiente, in primis dagli impianti fotovoltaico e a biogas, ricavato dall’impianto di depurazione delle acque reflue dello stabilimento.


L’inno alla “ciccia” del macellaio-poeta

In tempi in cui della carne si preferisce avere la visione più distante possibile dall’animale – in forma di fettine o arrosti, belli e pronti da mettere in padella – Dario Cecchini, il macellaio di Panzano in Chianti che ha reso il suo negozio una meta turistica internazionale, fa l’esatto contrario e trasforma in uno show (riuscitissimo!) niente meno che il sezionamento e il taglio di una mezzena di manzo.

È stato lui l’ospite della cena degli auguri dell’Associazione cuochi bergamaschi, che nell’occasione lo ha nominato socio onorario.

Gesti sicuri, parlata schietta e i versi di Dante a dire che dentro le vene di questo artigiano, erede di una tradizione nella macelleria lunga 250 anni, scorre anche il gusto per la poesia. «L’animale bisogna trattarlo il meglio possibile, dargli cibo buono, una vita lunga e una morte dignitosa, più compassionevole possibile. E per rendergli il giusto onore va usato tutto, dal naso alla coda, perché se la qualità c’è, è dappertutto». È il primo caposaldo del Cecchini-pensiero.

Il secondo, e conseguente, è l’elogio delle parti meno nobili. «La prima ricetta dell’Artusi è il brodo, che, guarda caso, si fa con le ossa, non con il filetto». E che dire della pancia del manzo? «Oggi ci si fanno gli hamburger, ma a me sembra sprecata – evidenzia -, prima ci si facevano bolliti eccezionali».

Sarà che è stato tirato su con gli “scarti” della macelleria di famiglia. «Da piccolo pensavo che la mucca avesse 5 teste, 20 zampe e 4 code – ricorda -. Le bistecche erano per i clienti e alla nonna portavano da cucinare tutto ciò che in bottega non era richiesto. La mia “prima volta” con la bistecca è stata al compimento dei 18 anni: è stato meraviglioso, ma è stato meraviglioso anche tutto quanto avevo mangiato fino ad allora, grazie alla sapienza in cucina della nonna».

Natale del cuoco 2016 -premiazione cecchiniIl giusto incentivo ai cuochi in sala a trasformare con passione e arte anche le parti più difficili. «Anche la gente, che ha sempre visto il manzo come un oggetto misterioso, sta cominciando a capire che la carne non deve essere per forza magra», rassicura Cecchini, che intanto svela un segreto: «Il taglio migliore, quello che i macellai non vendono mai ma che tengono come ricompensa per la famiglia è il “ragno”, un pezzettino brutto e un po’ grasso, con delle nervature a mo’ di ragnatela, da cui il nome». Dalla coscia, farcita di midollo e insaporita con sale e aromi, ha invece ricavato il pezzo forte di Natale della sua macelleria, il brasato al midollo.

Quanto alla bistecca, le regole sono poche ma tassative. «Deve essere alta troppo, grande troppo e bella troppo. Sotto i quattro centimetri è carpaccio – sentenzia – . Va cotta sulla brace otto minuti da un lato, otto dall’altro e otto per in piedi e mangiata nella maniera più primitiva possibile, portando in tavola solo sale e olio».

Con buona pace della fettina.