I novant’anni di Mimmo e quel locale comprato in un quarto d’ora

Mimmo Amaddeo e la moglie Lina

 

Si possono riassumere 60 anni di ricordi e di cucina a Bergamo? Se c’è qualcuno che può farlo è Mimmo Amaddeo, fondatore dell’omonimo ristorante in Città Alta e ristoratore da una vita, che ha festeggiato il traguardo dei novant’anni in questi giorni ed è una vera e propria istituzione sulla Corsarola.

Passato e presente si rincorrono nelle sue parole, ne esce un ritratto dolceamaro di una Bergamo lontana, soffocata dalla povertà, e l’orgoglio per un gioiello che infine è uscito dal cassetto.

«Ho varcato la porta di Bartolomeo Colleoni il 1 agosto del 1956. Non avevo ancora trent’anni. Era un pomeriggio afoso, sono entrato in quello che in tutti questi anni è stato il mio ristorante e in un quarto d’ora ho stretto l’affare». «In quegli anni – ricorda – eravamo appena usciti dalla guerra, a Bergamo c’era una grande miseria e molti emigravano all’estero. I locali erano fatiscenti, i bagni erano comuni e quando si entrava sembrava di essere in camere a gas. L’ufficiale giudiziario di allora, un certo Crispino, era il terrore di tutti, fu lui a far fare a tutti i gabinetti».

Mimmo è sempre stato uno che guardava avanti, un innovatore. Con la moglie Lina, entrambi calabresi, ha fatto apprezzare i sapori della cucina popolare italiana, in particolare la pizza, piatto quasi misterioso per i palati orobici (Mimmo è stata la seconda pizzeria aperta a Bergamo dopo Pio ed è la più vecchia tra quelle ancora attive, nonché negozio storico riconosciuto dalla Regione Lombardia).

«Bergamo era un tesoro nascosto, la cenerentola delle città italiane – dice –. Poi gli emigranti sono tornati con i soldi che avevano risparmiato lavorando all’estero, sono arrivati altri ristoranti, gli alberghi, e la gente è cominciata a venire in Città Alta». «Ora – ci racconta con orgoglio – Bergamo è terra di tutto il mondo, non solo dei bergamaschi, ogni giorno ci sono sempre più visitatori».

Tra i suoi ricordi più cari ce ne sono due: «i pomeriggi in cui i bambini venivano al ristorante per vedere al nostro “baraccone di televisore” la tv dei ragazzi, perché in quegli anni erano in pochi ad averla a casa», e il giorno in cui Adriano Celentano si è affacciato alla porta. «Ricordo ancora quel fatto, venne da me e mi chiese un tost».

Da qualche anno Mimmo ha lasciato la guida del ristorante a due dei suoi sette figli, Roberto e Massimo, ma se andate, lo trovate lì ad attendervi all’ingresso, con la moglie e con il suo “buongiorno” e“buonasera”. Come negli ultimi sessant’anni.


Stefano Cavalleri, il “papà” della moda bimbo conquista i paesi Arabi

STEFANO CAVALLERI 1«I Pinco Pallino era il mondo. Ora il mondo lo sto, lentamente, ricostruendo». Non nasconde la difficoltà di ripartire Stefano Cavalleri, classe 1951, fondatore, con Imelde Bronzieri, del marchio bergamasco di alta moda per bambini cui ha detto addio nel 2011 anche come direttore creativo, dopo che la proprietà era già passata di mano. Ma ora ritiene che tutti i tasselli stiano andando al posto giusto perché possa tornare ad essere un protagonista dello stile in formato junior, lui che nel Dizionario della Moda Italiana rappresenta l’unica menzione dedicata alla moda per bambino.

Il suo progetto si chiama QuisQuis «e sono sempre io – afferma -, l’evoluzione di 35 anni di esperienza, curiosità e ricerca in una chiave ovviamente attuale e moderna, grazie anche ad un team di giovani assistenti che mi affianca».

A che punto è la sua nuova avventura?

«Con la nuova collezione ha debuttato la partnership per produzione e distribuzione mondiale con Spazio Sei di Carpi, che dopo 18 anni ha “divorziato” da Blumarine ed è licenziataria di firme come Iceberg e Scervino. Un passaggio che mi dà la possibilità di lavorare ad un total look, non solo alla cerimonia come avvenuto in precedenza. Significa anche capi meno preziosi e poi le linee per maschietti e baby, scarpe e accessori, come coroncine, cappelli, borsine che hanno sempre fatto parte della mia immagine. La collezione è stata presentata a Pitti Bimbo ed è speciale perché è completa».

E il mercato come risponde?

«Alla kermesse fiorentina partecipo da 35 anni, l’affluenza è stata bassa ma i contatti molto buoni. Accanto ai clienti del mondo arabo si sono rivisti i russi, che la crisi aveva allontanato, oltre ad Azerbaigian e Kazakistan. Ed è tornata l’Europa, con Germania, Francia e pure l’Italia che si era persa totalmente. Sono segnali incoraggiati. Per noi la testimonianza di fiducia in ciò che stiamo producendo, per il settore moda il fatto che ci si sta rimboccando le maniche e si sta ripartendo».

La prima boutique monomarca QuisQuis è stata aperta a Doha, nel Quatar, lo scorso anno. È questa l’area più interessante?

«La penisola arabica ama molto quello che faccio e l’espansione prosegue. A Doha prevediamo di aprire un secondo spazio, mentre ad ottobre apriremo ad Abu Dhabi, in tempo per il Gran Premio di Formula Uno e il richiamo che avrà l’evento. All’inizio del 2016 sarà la volta di Dubai. Grazie a Spazio Sei siamo presenti anche in 12 negozi nelle vie della moda di tutto il mondo, nel Dubai Mall, in rue du Faubourg-Saint-Honoré a Parigi, in Piazzetta a Porto Cervo, solo per dare qualche esempio del prestigio e del valore delle location».

Come si conquista una platea così ampia e differente?

«È complicato. Le collezioni sono sempre più vaste per rispondere ai climi, alle ricorrenze, alle usanze e alle religioni. L’estate è, se vogliamo, più semplice perché fa caldo un po’ dappertutto, per l’inverno si ragiona “a strati”, dai golfini che sono sufficienti nei paesi arabi ai cappotti, piumini e pellicce per il mercato russo. Ma cambia anche il gusto e la scelta dei colori, le tinte pastello piacciono ai russi, i colori forti agli arabi, mentre bianco e avorio non vanno in Giappone. E poi ci sono le lunghezze di maniche e gonne, per non parlare delle ricorrenze diverse per ogni nazione e religione. In 35 anni ho imparato a conoscere tutto questo e a tenerne conto».

Come definisce il suo stile?

«Poetico. Da sogno perché senza sogni non si vive. E sempre sereno. Mi piace regalare dei sogni ai bambini e trasmettere l’idea del buon gusto, mostrare che ci si può vestire bene. I miei sono capi cari, per chi ha certe possibilità, non lo nego, ma i bambini sono ben vestiti anche con una camicetta bianca e un paio di jeans».

Ma perché vestire i bambini con capi eleganti e ricercati. Non dovrebbe essere l’età della spontaneità?

«Io credo che sia un modo per far conoscere ed apprezzare il bello e dare un valore alle cose, contro la cultura dell’usa e getta che travolge tutto, anche i ricordi. Contro la volgarità e la violenza. Significa insegnare loro a prendersi cura delle cose, a fare attenzione. Quando i miei figli hanno compiuto 18 anni ho regalato loro un paio di scarpe importati e insieme spazzola e lucido perché le conservassero al meglio, come un caro ricordo. L’abito della comunione, la bella camicia sono anche memoria, si legano ai momenti della vita. In bermuda e t-shirt si può stare tutti i giorni, perché andarci anche ad una cerimonia? Naturalmente il compito di indirizzare al bello e al buon gusto sta ai genitori…».

Quando disegna i capi pensa ai bambini o alle mamme che li compreranno per loro?

«Ho sempre pensato ai bambini. Ogni bambino sogna il bello. La bambina di fare la giravolta con un abito da principessa, per il maschietto forse è un po’ più difficile, ma delle giacche in jersey o felpa lo possono conquistare per una cerimonia».

Come non dovrebbero, invece, essere vestiti i bambini?

«Come dei piccoli adulti. Le bambine con pance scoperte, piercing finti, minigonne esagerate, i bambini come macho in miniatura. Purtroppo è la tendenza in atto, spinta anche da alcune aziende. Ma non la si ritrova solo nel vestire, su Internet, nei talent si vedono sempre più spesso bambini che cantano e ballano scimmiottando gli adulti. È un’immagine che non condivido».

La produzione di QuisQuis è cominciata in Puglia ed ora è Carpi, il made in Italy continua a fare la differenza?

«La manodopera italiana è unica, ma per alcuni tessuti, ad esempio delle sete meravigliose, e lavorazioni scelgo anche all’estero. In India, soprattutto, dove sono maestri nell’uso del colore e nel ricamo con paillette e filo di seta».

Con Bergamo che rapporto ha?

«È la mia città, che amo e dove dovrei vivere, anche se ora gli impegni fuori sono tanti, tra Carpi, dove si produce QuisQuis, la Puglia per seguire la prima linea bambino di Cesare Paciotti, un’iniziativa tutta nuova per la quale hanno scelto me, e i viaggi. Oggi comunque sono più spesso a Bergamo, da mio padre novantenne, che a Trescore, dove abito. Ciò che apprezzo è la possibilità di vivere ancora vicini alla natura, una delle scorse sere mi sono goduto l’arrivo del temporale…».

Come sono i bergamaschi nel vestire?

«È sempre stata una città perbene, mai d’avanguardia. Per un acquisto speciale la meta è sempre stata Milano, come del resto per il teatro e il divertimento. Ci sono però due donne che con i loro negozi fanno tendenza. Una è Rosy Biffi che sin dagli anni 70 è un punto di riferimento per la moda, una talent scout, direi, perché alcuni stilisti li rende famosi lei. L’altra è Tiziana Fausti, che ha portato griffe importanti come Dior, Gucci e Prada».

Mai pensato di passare alla moda per adulti?

«Ho cominciato con la moda donna e con un negozio in via San Tomaso. Il progetto è sempre stato nel cassetto ed ora quel cassetto si è dischiuso, ma è un po’ presto per parlarne…».

Un “assaggio” del prossimo autunno – inverno QuisQuis


Lutto nella moda. È morto Elio Fiorucci

elio fiorucciLa moda italiana e internazionale dice addio ad uno dei suoi innovatori. Il grande stilista e creativo Elio Fiorucci è stato trovato morto stamani nell’abitazione di viale Vittorio Veneto, a Milano. Aveva compiuto 80 anni lo scorso 10 giugno. L’ipotesi più accreditata è che si sia trattato di un malore. La salma è già stata messa a disposizione della famiglia.

Jeans attillati, maglie e scarpe colorate, oggetti in plastica e i celeberrimi angioletti. Sono tante le icone che ha disseminato nel costume con tocco gioioso e libero.

Nato a Milano, Fiorucci ha iniziato a occuparsi di moda insieme al padre. Ha aperto il suo primo – e memorabile – negozio, in Galleria Passarella, nel 1967, mentre la produzione di abiti è cominciata nel 1970. Ben presto il suo stile “pop” e rivoluzionario ha collezionato successi in tutto il mondo, con negozi negozi a Londra e New York. Dopo un’espansione trentennale, nel 1990 Fiorucci ha ceduto l’azienda alla società giapponese Edwin International, mantenendo a Milano il centro di design.

Nel 2003 ha fondato “Love Therapy”, una linea con dei nanetti colorati come logo. Ha collaborato anche con Ovs con la linea “Baby Angel”.

Da sempre animalista e vegetariano, nel 2011 è diventato garante del manifesto “La coscienza degli animali” promosso da Michela Brambilla e nel 2014 ha collaborato con il Wwf creando una t-shirt speciale contro la realizzazione delle pellicce d’angora.

«Con la sua scomparsa, Milano perde un imprenditore straordinario che ha contribuito a rendere la nostra città più globale e innovativa» è stato il pensiero di Carlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio e di Confcommercio Milano. «Fiorucci ha saputo parlare a generazioni di giovani attraverso stimoli e idee, non convenzionali, che arrivavano dall’estero, ma che riusciva a interpretare e proporre con grande sensibilità e intelligenza – ha ricordato -. Stilista tra i più creativi, resta ancora oggi un esempio e un punto di riferimento perché rappresenta quello spirito milanese pioneristico in grado di vedere lontano e che dobbiamo avere sempre presente».


Marcelle, la pioniera delle patatine fritte a Bergamo

«In Italia non vengo perché non ci sono le patatine fritte», aveva detto a mo’ di provocazione 47 anni fa la giovane Marcelle Gibert al marito che progettava di rientrare in patria dal Belgio, dove – lei belga, lui figlio di emigranti bergamaschi – si erano conosciuti e sposati.

Invece in Italia ci è venuta, ma ci ha portato anche le patatine fritte dalla sua terra, che si vuole (la disputa con i francesi è aperta) abbia dato i natali ai famosi bastoncini, oggi il più abituale dei contorni o degli snack ma una cinquantina di anni fa pressoché sconosciuti all’ombra delle Orobie.

Da quella battuta l’idea del lavoro che insieme avrebbero potuto fare nel nuovo paese. «Avevo 24 anni ed avevo studiato da cuoca, mio marito era perito meccanico – ricorda –, abbiamo intuito che poteva essere un’opportunità e ci siamo costruiti da soli il mestiere». Gli esordi sono stati su un furgone al Ponte del Costone in Val Seriana e, in Val Brembana, a Zogno ad intercettare il flusso di gitanti di ritorno dalla montagna la domenica (come non ricordare l’acquolina e la tentazione di una sosta?). Poi sono arrivati i mercati e la proposta si è ampliata con polli allo spiedo, wurstel e spiedini. Oggi Marcelle, la pioniera delle patatine, ha 71 anni e dirige con piglio deciso e la parlantina schietta di chi è abituato a vivere la piazza la rosticceria ambulante La Casalinga, con sede a Torre Boldone, che arriva ad impiegare anche sette persone, tra cui la figlia Fulvia Colombi, il genero e il socio Mario. Mentre il marito ha preso la via della Spagna portando anche lì le patatine on the road.

«Ora le domeniche non lavoriamo più – spiega -. Siamo presenti in sei mercati settimanali (nell’ordine da lunedì a sabato: Bergamo, Calolziocorte, Alzano, Nembro, Ponte San Pietro e Gazzaniga) e l’offerta si è moltiplicata. Abbiamo ben 56 prodotti diversi, tra polleria arrosto e fritti». Davanti al bancone c’è l’imbarazzo della scelta, tra polli, arrotolati di vario genere, cosce, spiedini, ali, anche piccanti alla messicana, quaglie. E sul versante dei fritti, accanto alle classiche patatine e crocchette, ogni sorta di verdura pastellata, bocconcini, fagottini, panzerotti. L’evoluzione del gusto e dei tempi ha portato anche le carni certificate halal, per rispondere ai dettami religiosi dei clienti musulmani.

«Si tratta di prodotti già pronti per la cottura, fresche le carni, surgelate le fritture, che poi cuociamo direttamente sul furgone e facciamo trovare sempre caldi – racconta -. La gamma si è ampliata grazie a ditte specializzate che offrono grande scelta e, per certi versi, semplificato il lavoro». Gli inizi, infatti, sono stati tutt’altra cosa. «Utilizzavamo patate fresche – ricorda Marcelle -. Siccome sul furgone non c’era l’acqua le pelavamo in sede, prima a mano, poi è arrivata una macchina, e le trasportavano in contenitori appositi immerse nell’acqua. Una volta sul posto le tagliavamo e le friggevamo». La tecnica è quella belga: una prima frittura, si levano dall’olio, si lasciano asciugare e si ributtano per alcuni minuti al momento di consumarle per ottenere lo speciale mix tra esterno croccante e interno morbido. Un procedimento che la signora consiglia a chi vuole prepararle in casa. «Nella ristorazione invece – evidenzia – non c’è più nessuno che parte dal fresco, le patatine surgelate hanno avuto la meglio. Sono una comodità ed è inutile negarlo. Tutto sta nello scegliere prodotti di qualità e nel friggerle al meglio».


Alla Domus Bergamo i “Famosi del Vino” si raccontano

Alla Domus Bergamo Wine – il contenitore di iniziative in chiave Expo di piazza Dante a Bergamo – nei venerdì di luglio, settembre e ottobre arrivano “I Famosi del Vino”, rassegna dedicata ai grandi nomi dell’enologia italiana che raccontano le proprie esperienze e storie, fatte di territori, vitigni, calici, tradizione e percorsi familiari lungo la Penisola.

Dopo l’apertura, lo scorso 10 luglio, con il “re” del Sagrantino di Montefalco, Marco Caprai, il 17 luglio a presentare le sue produzioni sarà Christian Bellei, titolare della Cantina della Volta, una delle realtà più interessanti del modenese, nata per dare continuità alla produzione avviata negli Anni 20 del secolo scorso da suo padre, Giuseppe, che per primo produsse Spumanti Metodo Classico con il Lambrusco.

Il 24 toccherà a Mario Pojer, della cantina Pojer e Sandri, adagiata sulle colline di San Michele all’Adige, straordinaria fin dalle prime produzioni delle quali si ricordano il Palai Müller Thurgau ’75, seguito da uno Chardonnay e da una varietà autoctona quale la Nosiola per poi distinguersi, più recentemente, con la produzione dei distillati.

La ripresa dopo la pausa d’agosto è affidata, il 4 settembre, a Mauro Lunelli, anima delle cantine Ferrari. Il 18 sarà ospite Maurizio Zanella, volto e cuore delle cantine Ca’ del Bosco, e il 25 arriveranno Sergio Di Loreto e un mito dell’enologia italiana Marchesi de’ Frescobaldi, il più prestigioso produttore di vino della Toscana. Tre gli appuntamenti di ottobre. Il 16 con il Marchese Anselmo Guerrieri Gonzaga, patron della Tenuta San Leonardo, produttore di uno dei vini italiani più premiati al mondo; il 23 con Gianluca Bisol, direttore dell’omonima cantina e il 31 con Martin Foradori, proprietario della più grande cantina dell’Alto Adige, Hoeffstaetter, padre del rinomato Pinot Nero. Tutte le presentazioni sono gratuite e saranno accompagnate da una piccola degustazione.


Ordine al Merito della Repubblica, onorificenze per 24 bergamaschi

Ordine al merito della Repubblica italianaSono stati 24 i bergamaschi che ieri 2 giugno, hanno ricevuto le onorificenze dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” nel corso delle celebrazioni per il 69esimo anniversario della Fondazione della Repubblica.

La cerimonia ufficiale commemorativa della ricorrenza s’è tenuta in piazza Vecchia, in Città alta, a partire dalle 10.

Il programma s’è aperto con lo schieramento dei reparti di formazione interforze delle Forze Armate e dei Corpi Armati Civili dello Stato, dei gonfaloni del Comune e della Provincia di Bergamo e dei Comuni della Provincia di Bergamo, dei medaglieri e labari delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma. E’ seguito l’afflusso delle Autorità e delle Rappresentanze civili e militari, l’ingresso della massima Autorità, l’esecuzione dell’inno nazionale e la lettura del messaggio del Presidente della Repubblica.

E’ stato il prefetto Francesca Ferrandino a consegnare i diplomi delle Onorificenze dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”.

Ecco l’elenco

Vito Roselli (Albano Sant’Alessandro) – Cavaliere

Angelo Carrara (Albino) – Cavaliere

Edoardo Bassi (Alzano Lombardo) – Cavaliere

Eugenio Baroni (Bergamo) – Cavaliere

Domenico Savi (Bergamo) – Cavaliere

Antonio Talarico (Bergamo) – Cavaliere

Gennaro Maggio (Bonate Sopra) – Cavaliere

Dario Sorte (Brignano Gera d’Adda) – Cavaliere

Pietro Bianchi (Caravaggio) – Cavaliere

Alberto Cantini (Caravaggio) – Cavaliere

Luigi Costa (Caravaggio) – Cavaliere

Sergio Giuseppe Inverardi (Dalmine) – Cavaliere

Luciano Franza (Palosco) – Cavaliere

Giuseppe Bottino (Ponteranica) – Cavaliere

Andrea Pesenti (Romano di Lombardia) – Cavaliere

Giuseppe Passiatore (Seriate) – Cavaliere

Cristian Vavassori (Stezzano) – Cavaliere

Tarcisio Ravelli (Telgate) – Cavaliere

Dino Rota (Torre de’ Roveri) – Cavaliere

Stefano Maffeis (Urgnano) – Cavaliere

Renzo Nisi (Urgnano) – Cavaliere

Daniele Limonta (Stezzano) – Ufficiale

Roberto Arrigoni (Almenno San Salvatore) – Commendatore

Franco Marsetti (Bonate Sopra) – Commendatore


Carrara, dj-set con “Frodo” e negozi aperti fino a mezzanotte

elijah woodVia San Tomaso si prepara a stendere il tappeto rosso e a salutare con negozi e locali aperti fino a mezzanotte il più famoso tra gli Hobbit, negli ultimi anni sempre più affermato come deejay. Elijah Wood, Frodo de “Il signore degli anelli”, si esibirà giovedì 4 giugno in un dj set in piazza Giacomo Carrara, davanti all’Accademia fresca di inaugurazione.

L’aperitivo musicale durerà dalle 19 alle 23.30 e il biglietto d’ingresso consentirà anche la visita alla pinacoteca. L’attore americano negli ultimi anni ha sviluppato un suo progetto musicale con Zach Cowie, dando vita al duo Wooden Wisdom, che suona, tradotto, come “saggezza di legno”.

I Wooden Wisdom hanno iniziato a suonare musica insieme circa 4 anni fa, quando Elijah si integrò, grazie al suo iPod, al dj set che Zack, ex discografo, stava tenendo in un party di un amico comune. Wood e Cowie andarono avanti per tutta la serata, divertendosi così tanto da decidere di non smetterla più. Il sodalizio che suona un po’ di tutto, spaziando “dallo psych-rock a Bollywood”, dalla musica indie rock a quella soul, dal brit pop al funk e all’elettronica, è impegnato in una tournée estiva in Europa.

Prima dell’evento bergamasco, la formazione sarà ospite al Beaches Brew Festival di Ravenna. I Wooden Wisdom usano – da veri puristi- soltanto vinili che appartengono alla loro inseparabile e invidiabile collezione, che portano con sé in ogni festival. Wood, 34 anni, ha già interpretato una quarantina di film sul grande schermo. Tra questi, “Tempesta di ghiaccio”, “Deep impact”, “Sin city”, “Hooligans” e “Maniac”, oltre alla già citata saga de “Il signore degli anelli” che ne ha fatto una vera e propria star.

Per partecipare all’evento – realizzato in collaborazione con Accademia Carrara di Belle Arti Bergamo, Comune di Bergamo, GAMeC , Bergamo Film Meeting, Qi Clubbing e Borderline – non resta che acquistare il biglietto (al costo di 10 euro, con a breve l’ apertura delle prevendite; 12 euro il prezzo in cassa la sera dell’esibizione).


Bonetti ai giovani: “Allargate gli orizzonti e perseguite i vostri sogni”

I nuovi progetti imprenditoriali si sviluppano grazie a un reality show. Il format “Shark tank” sbarca su Italia Uno, giovedì 21 maggio, in prima serata. Il programma offre un’opportunità a chi ha una buona idea o un’attività da espandere ed è alla ricerca di un finanziatore che possa aiutarlo.

Ogni aspirante manager deve gettare la propria idea nella vasca, dove ci sono i cinque “squali” o investitori alla ricerca di progetti interessanti. Tra i supermanager c’è Luciano Bonetti, presidente di Foppapedretti e dirigente sportivo. La sua azienda, fondata nel 1946, produce arredi, in gran parte dedicati al mondo dell’infanzia e della casa. Il fatturato nel 2014 si è attestato sui 63 milioni di euro. I dipendenti sono 210, oltre ai 300 nell’indotto.

Alla sede centrale, a Grumello del Monte, si aggiunge quella di Bolgare per un totale di 107.000 metri quadrati, di cui 57mila coperti. L’ingegnere elettrotecnico bergamasco, classe 1948, è da sempre attento all’innovazione. Suo lo slogan “L’albero delle idee”.

Bonetti, qual è l’identikit dei concorrenti di “Shark tank”?

“Sono per metà donne. Ci sono i ventenni come i cinquantenni. Il Sud batte tutti per creatività. Idee straordinarie sono arrivate dai ragazzi siciliani, pugliesi e campani. A volte, mettono in scena delle presentazioni talmente particolari che sembrano sketch comici al punto che pensavo di essere vittima di uno scherzo televisivo. Ci sono società già avviate e start up. In pochi minuti, noi manager dobbiamo esaminare e valutare le proposte da finanziare di tasca nostra”.

Si sente uno “squalo”?

“Sono il più innocuo di tutti. Quando ho visto il format americano volevo rifiutare di partecipare. E’ spietato e rigido. Gli investitori atterrano in elicottero con mazzette di dollari. Per me lo show deve essere istruttivo, far capire ai giovani gli errori che non devono commettere”.

Qual è lo sbaglio più comune?

“Pensare che se il mercato vale 10 miliardi di euro, c’è l’un per mille per te che conquisti vendendo 10 milioni di biro. Non è detto. A fare la differenza è il modo di fare le cose, e cioè bene. All’inizio, quando presentavo una scala o un asse da stiro che costavano tanto, sentivo solo dei no. Poi però gli stessi venivano a chiedermi se potevano averli”.

Il suo motto, riportato dal sito del programma, è: “Se continui a fare quello che sai fare, resti il coglione di sempre”. Cosa significa?

“Bisogna allargare i propri orizzonti. Mi spiego con l’esortazione di Ulisse ai suoi uomini, ripresa da Dante nell’Inferno: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtude e conoscenza”. Come l’eroe omerico si spinge al di là del mare, pur essendoci un mondo a lui ignoto, i giovani devono buttarsi. I sogni vanno perseguiti”.

Che valore dà alla pubblicità?

“Mi piace la parola reclame, che non ha una vera traduzione. Se non comunichi, nessuno sa che cosa produci. E’ come una donna che se ne sta chiusa in casa, anche se è bella, non troverà mai un fidanzato. Credo nelle qualità concrete, non nell’iconografia. Il modello è Giovanni Rana che raccomanda gli ingredienti dei suoi tortellini. E sono davvero buoni e genuini. Io faccio lo stesso con l’asse da stiro, mostro come si apre, come si chiude e il risparmio di tempo e di spazio. Senza mentire”.

Nel suo ufficio c’è un quadro che occupa una parete, raffigura Gabriele D’Annunzio, è un suo mito?

“Sì. Lo ammiro perché ha saputo comunicare se stesso più di chiunque altro, ha dato per primo i nomi femminili alle automobili e quello alla Rinascente. E’ stato il primo grande copywriter italiano”.


Astino, al via il 21 maggio la mostra su Veronelli

Si apre giovedì 21 maggio la mostra Luigi Veronelli – camminare la terra, prodotta dalla Triennale di Milano e dal Comitato decennale Luigi Veronelli, uno degli appuntamenti in chiave Expo legati al recupero della Valle d’Astino e del complesso dell’ex monastero (la cui inaugurazione ufficiale è fissata per sabato 16 maggio).

Dopo il debutto alla Triennale, la mostra approda in terra bergamasca e rimarrà allestita fino al 31 ottobre nelle sale del refettorio e del vestibolo.

La figura del grande giornalista enogastronomico, tra i primi a portare avanti battaglie per la qualità e la trasparenza del cibo e per la buona agricoltura, ben si presta alla riflessione sui temi dell’Expo. «Camminare la terra – spiega Gian Arturo Rota, presidente del Comitato per il Decennale e tra i curatori della mostra – è pensata per essere fruibile da un pubblico eterogeneo, non necessariamente di appassionati ed esperti. Presenta un Veronelli inedito, non solo esperto di cibi e vini, ma un intellettuale a tutto tondo, editore, filosofo, scrittore, che si è occupato anche di forme nel campo del vino, di società e di sport. Proprio questa varietà di interessi è ciò che ha colpito maggiormente i visitatori della tappa milanese della mostra». Veronelli viene raccontato da libri, articoli, documenti, dai video con estratti delle sue trasmissioni tv, “A tavola alle 7” e “Viaggio sentimentale nell’Italia dei vini”, e dall’esatta riproduzione della sua cantina di via Sudorno, organizzata con moduli cubici di cemento grezzo. Cantina che potrebbe essere collocata definitivamente ad Astino.

La mostra, ad ingresso libero, è aperta dal martedì alla domenica dalle 10 alle 20 (chiuso il lunedì) e sarà accompagnata da eventi collaterali come incontri conviviali, corsi, degustazioni, presso il ristorante Le Cantine di Astino, il chiostro e le cantine medievali.

Info


Bergamo film meeting, c’è anche la cena con il regista

giacomo abruzzese registaIn occasione della 33a edizione di Bergamo Film Meeting, l’associazione culturale The Blank propone, anche quest’anno, l’appuntamento The Blank Kitchen, dedicato al cinema. Mercoledì 11 marzo, il regista italiano Giacomo Abbruzzese sarà ospite dello spazio @ Polaris in Piazza della Libertà a partire dalle ore 20.30, per una cena aperta al pubblico, in cui racconterà la sua esperienza cinematografica. La cena è un modo per avvicinare il pubblico e gli artisti attraverso l’elemento trasversale e unificante del cibo.

Giacomo Abbruzzese presenta nella sezione Visti da vicino della 33a edizione di Bergamo Film Meeting il documentario This Is the Way.

La cena è su prenotazione e riservata a un massimo di trenta persone.

Info: associazione@theblank.it | tel.: 035 19903477 | dal martedì al venerdì, dalle 9.00 alle 13.00