Il rifugio più “goloso”? Lo gestisce una bergamasca

In Val di Fassa, sulla Sella del Ciampaz, a quota 2.283 metri, nel mezzo del gruppo del Catinaccio, Roberta Silva, 43 anni, di Bergamo, ha creato un rifugio da sogno. Si chiama “Roda di Vaèl” (come il nome della montagna) ed è considerato uno dei rifugi più amati d’Italia. L’anno scorso i lettori della rivista Dove l’hanno eletto al quinto posto della classifica dei rifugi italiani più belli, ma sono i numeri, più di tutto, a dirlo: 3mila ospiti a stagione.

Anche la stampa l’ha più volte premiato: lo scorso anno ha campeggiato in prima pagina su una guida ai rifugi del Nord Italia ed è stato protagonista di un video promozionale dei rifugi del Trentino che ha realizzato più di 200mila visualizzazioni, tra l’Italia e l’Estero. Quest’anno è stato uno dei pochissimi rifugi segnalati dal magazine tedesco ADC Reisemagazine in uno speciale sulle Dolomiti.

L’ambiente è accogliente e familiare, la cucina offre piatti locali accompagnati da simpatia e cordialità e ci sono 60 posti letto, un’ampia terrazza e un solarium. Roberta gestisce il rifugio con l’aiuto della sua “famiglia Vael”, uno staff di 12 ragazzi, molti dei quali sono con lei da tanti anni. La natura intorno è un incanto, si possono intraprendere escursioni, vie ferrate della Roda di Vaèl o del Majarè o scalate.

Rifugio Roda di Vaèl - Val di Fassa - Roberta Silva
Roberta Silva

Roberta, com’è iniziata questa avventura?

«Mi sono trasferita in Val di Fassa nel 2002 con mio marito, come istruttrice di snowboard. Qualche anno dopo, nell’estate del 2005, abbiamo avuto la possibilità di prendere il rifugio e così l’abbiamo fatto».

Era un suo desiderio?

«In realtà, è stata una decisione legata a mio marito, che già da anni gestiva un rifugio, il Re Alberto I alle Torri del Vajolet. Ma la montagna mi è sempre piaciuta. Non avevo mai pensato di farlo, ma oggi non farei un lavoro diverso».

Com’è la vita da rifugista?

«La stagione da noi comincia a fine maggio e finisce a fine ottobre. Mi trasferisco al rifugio per sei mesi poi torno in paese e gli ultimi due mesi fremo per tornare su. Il rifugio ti dà la possibilità di incontrare tante persone, di confrontarti con culture diverse: è un contatto unico. Una cosa che trovo fantastica nella filosofia della montagna è che camminando sui sentieri, entrando nei rifugi, salendo lungo le ferrate, non ci sono confini, non ci sono differenze, la montagna è uguale per tutti e tutti sono uguali quassù e questo lo si vede tantissimo proprio all’interno dei rifugi dove alla sera tutti sono semplicemente degli amici e persone che stanno vivendo esperienze simili. Questo è il quinto anno che gestisco il rifugio da sola. Nel 2011 è venuto a mancare mio marito in un incidente. Quello che è successo mi ha avvicinato tante persone».

Che turismo avete?

«Vengono tantissimi turisti. Per il 70% sono stranieri, austriaci, svizzeri, ma ospitiamo anche bergamaschi, qualcuno torna apposta per venire a trovarci. Da qualche tempo abbiamo anche ospiti giapponesi».

Qual è il segreto di tanto successo?

«La cordialità. È una qualità che ci riconoscono. Gestisco il rifugio come una grande famiglia. Molti dei miei ragazzi sono con me da 9-10 anni. Accolgo io ogni ospite, gli stringo la mano. È come se entrassero in casa mia. Inoltre apprezzano la cucina».

Che piatti proponete?

«Facciamo una buona cucina, senza fare alta gastronomia, piatti semplici, tipici trentini, come i canederli che abbiniamo al goulash, taglieri di speck e formaggi, poi minestroni, tagliatelle ai funghi porcini, secondi a base di polenta e salsiccia, formaggio fuso, funghi, capriolo. Tra gli stranieri il piatto più richiesto è l’uovo con speck e patate. I dolci sono tutti fatti in casa, piace molto la Frittata del re, preparata con l’impasto dell’omelette, spezzettata e saltata con mele e uvette, è quasi un piatto unico. Due anni fa ho inserito i prodotti per celiaci».

Niente piatti bergamaschi?

«Certo che ci sono. Ho portato con me le mie origini: i casoncelli, il Valcalepio Rosso e il Moscato di Scanzo. La polenta c’era già, ma deve essere buona, noi la facciamo fresca tutti i giorni».

Lei ha due bimbi piccoli, come vivono questa esperienza?

«La bimba ha 4 anni e il maschio ne avrà 7 a luglio. Nella bella stagione passano il loro tempo libero all’aperto. Quando il grande gioca a carte con i bimbi stranieri non si capiscono ma ridono da matti. Nei rifugi tra i bambini le distanze sono completamente azzerate e anche se di nazionalità diverse questi corrono e giocano come se fossero amici da sempre. Hanno un’intesa incredibile nonostante praticamente gli scambi verbali siano ridotti al minimo».

Per la nuova stagione ha dei progetti?

«Da qualche anno ospitiamo un gruppo di astrofili che vengono a osservare le stelle. Quest’anno raddoppierò gli appuntamenti. Inoltre all’apertura della stagione organizzeremo una giornata di yoga e cena vegana per iniziare all’insegna del benessere».

Cosa farà il primo giorno in rifugio?

«Quello che faccio tutti i giorni quando sono lì: mi sveglio presto e faccio le foto all’alba. È sempre un’emozione diversa».

Rifugio Roda di Vaèl - Val di Fassa - canederli


Turisti del gusto in Val Brembana? Si può fare

Fare i turisti in casa propria? Si può. Basta mettere nella borsa da viaggio un po’ di tempo per concedersi di guardarsi attorno con calma, un briciolo di curiosità per uscire dalle rotte già percorse e la voglia di scambiare qualche parola con chi si incontra. Lo abbiamo sperimentato grazie al Distretto delle Attrattività Territoriali Vallinf@miglia, che aggrega, secondo l’input a fare rete dato dalla Regione Lombardia, 11 Comuni (Zogno, capofila del progetto, Sedrina, Ubiale Clanezzo, Valbrembilla, Taleggio, Vedeseta, Blello e, in provincia di Lecco, Pasturo, Cassina, Moggio e Cremeno) di quattro valli (Valbrembana, Valbrembilla, Valtaleggio e Valsassina) in un percorso di valorizzazione unitario che ha scelto di puntare sul paesaggio e sulla natura, ma anche sulle testimonianze del passato, i prodotti tipici e la buona tavola. Il tutto da gustare senza fretta né clamori, a misura di famiglia, come ricorda la denominazione, nonni compresi.

Occorre ammettere che il compito di dare appeal turistico a realtà storicamente più vocate alla manifattura e all’edilizia o di riportare interesse sulle seconde case non è facile, ma se è vero che oggi – come indicano gli studi – ciò che il visitatore vuole è vivere un’esperienza e avere un contatto autentico con il territorio, allora le possibilità ci sono tutte. Perché di cose da raccontare questi luoghi ne hanno e le persone che abbiamo conosciuto hanno deciso di credere nella propria terra e di fare del proprio meglio per metterne in risalto le peculiarità. A cominciare da Elena Riceputi e Marta Torriani, che con la loro giovane agenzia Emozioni Orobie hanno organizzato il tour che vi racconteremo, e da Barbara Pesenti Bolò, ex hostess sulle linee aeree, che ci ha accompagnato ritagliando tempo al suo duplice lavoro, la mattina nel suo negozio di alimentari di Gerosa con tanto di consegne a domicilio nelle frazioni, dal pomeriggio alla reception di un albergo a Bergamo.

Siete pronti? E allora partiamo. Naturalmente parleremo di cibo e del protagonista di queste valli, il formaggio.

Negozio e cucina, a Zogno il locale che esalta i prodotti tipici

Capofila del Dat è il Comune di Zogno. Ed un biglietto da visita delle specialità della Valle lo si trova alla Baita dei Saperi e dei Sapori Brembani, proprio sulla strada provinciale. Il locale, realizzato dalla Latteria di Branzi in collaborazione con la Comunità Montana, è aperto da quasi due anni ed è una sorta di brochure – ma molto più concreta – della gastronomia locale. Ci si trova infatti il bancone per la vendita dei formaggi, gli scaffali con i prodotti tipici, un laboratorio di cucina, una cantinetta a vista per la stagionatura, uno spazio degustazione che può diventare sala conferenze e video. Insomma un luogo in cui fermarsi per acquistare il souvenir gastronomico, la tappa per un aperitivo o per la cena, oppure per tutte e tre le cose insieme in una formula moderna per far parlare le tipicità. «Vendita e somministrazione sono state messe in dialogo – spiega in sala Hakim Jendauni, marocchino, il papà dipendente della Latteria di Branzi -. Le proposte di degustazione e quelle della cucina vogliono mostrare le caratteristiche e la gamma degli utilizzi dei nostri formaggi. Chi si ferma a mangiare può scegliere tra tre primi e tre secondi che variano seguendo le stagioni. Pasta fresca e risotti sono tra i protagonisti e si accompagnano, ad esempio, agli asparagi in primavera alle castagne e ai porcini in autunno. La cifra è la semplicità, come la tradizionale “polenta e ciareghì”, resa però più elegante». In cucina c’è Romeo Gervasoni, da Roncobello, con trascorsi in Germania, sul lago di Garda e a Foppolo, che ricorda tra anche gli “gnocchi di ricotta con erbe di monte essiccate e burro”, il “risotto allo zola di capra e frutti di bosco” o i “tagliolini freschi con carciofi e agrì”. Tutt’altro che banale pure il tagliere dell’aperitivo, un viaggio tra formaggi di diversa pasta, stagionatura, aromatizzazione, accompagnato da salumi selezionati, mostarda, giardiniera e persino un croccante di mandorle. Da non perdere le “bese”, i ritagli dopo la pressatura della cagliata del Branzi, fritti in una pastella di farina e birra artigianale.

Visto che siamo turisti, vediamo di organizzarci per scoprire anche qualcosa più del territorio. La visita del Museo della Valle nel centro di Zogno entusiasmerà i bambini con la sua sezione sui pesci fossili ritrovati nelle vicinanze, alcuni di rilevanza fondamentale nella paleontologia. Oppure si potrà fare una sosta a Ubiale Clanezzo per attraversare il Brembo sulla lunga passerella (vietato dondolarsi!) che ha preso il posto del traghetto o spostarsi di poco per ritrovarsi sul ponte di Attone, risalente al X secolo, che invece si trova sul torrente Imagna. Chi ama l’arte non può perdere nella parrocchiale di Sedrina, progettata dal Codussi, la pala d’altare di Lorenzo Lotto, “Madonna in Gloria e Santi” (1542).

Brembilla, l’antica Osteria è anche anch’essa un “monumento”

L’itinerario del Dat piega a sinistra ed è a Brembilla (che ora con Gerosa forma il Comune di Val Brembillla) che si trova quello che per gli amanti della gastronomia può essere considerato a tutti gli effetti un “monumento”. L’Antica Osteria il Forno, la cui attività è documentata dalla licenza del 1811, ha ricevuto il riconoscimento di “Locale storico” da parte della Regione ma ha saputo soprattutto conservare il suo passato e valorizzarlo. È stata forno, stallo per i cavalli, alloggio, trattoria, macelleria, negozio e pesa pubblica e le cinque sale da cui oggi è composta hanno tenuto traccia delle destinazioni di un tempo. Da notare, la sala del forno con volta a botte in tufo, il pavimento vecchio di 140 anni nella sala centrale e, in un’altra saletta, un affresco con un’annunciazione del 1500, che prima era all’esterno. Anche in cucina la parola d’ordine è stata salvaguardia. Nonostante gli ampi spazi, per circa 200 coperti, il locale non ha ceduto al richiamo della pizzeria o delle proposte che di volta in volta hanno fatto tendenza, ed ha avuto ragione, almeno a  giudicare dalle tavolate di giovani incontrate nelle nostra visita, ben felici di spaziare tra casoncelli e taragne. Zia Alessandra Offredi, ottant’anni, è orgogliosa di avere dato l’impronta con i piatti di famiglia, come i ravioli e la gallina, ed ora i nipoti Andrea e Marco Cornoldi, quinta generazione, proseguono sulla stessa linea o addirittura tornando indietro. «Ad esempio, abbiamo riscoperto i “nusecc” – dice Andrea –, gli involtini di verza con il ripieno dei casoncelli che facevano le nonne, e stiamo rivalutando un altro piatto di casa, “patate, fasöi e codeghì”, ossia patate, fagioli e cotechino, che proponiamo in una forma più elegante, in carta fata con i fagioli passati». I pezzi forti sono i ravioli di carne al burro versato, i risotti mantecati con i formaggi locali e per secondo farona ripiena, gallina lessa, polpa di cervo con l’immancabile polenta o la taragna. Per chi è a caccia di un emblema del territorio c’è anche “polenta e osèi” con gli uccelletti cucinati con panna e salsiccia, «come era tipico delle nostre zone – ricorda Andrea – dove anche il condimento doveva dare sostanza». Il Forno ha anche alcune camere, nel caso la vostra voglia di vacanza stia prendendo il sopravvento.

Per smaltire un pranzo come questo o prepararsi alla cena si può arrivare a Gerosa e con una piacevole e panoramica camminata sulla mulattiera raggiungere il santuario del Madonna della Foppa, luogo di devozione e pellegrinaggio per via di due apparizioni, nel 1558 e nel 1630.

Un museo diffuso racconta la cultura del Taleggio

In Valtaleggio, manco a dirlo, tutto vi parlerà del tipico formaggio. Gli enti locali, gli abitanti e le aziende hanno deciso di ribadire con forza che la forma oggi famosa e ricercata in tutto il mondo è nata lì e che solo tra quelle montagne la si può conoscere ed apprezzare al meglio. È così nato l’Ecomuseo, un museo grande tanto quanto il territorio, dove le opere da ammirare sono i pascoli, l’aria, le baite con i tipici tetti in piode, il caseificio, le aziende di stagionatura e dove a fare da guida sono i residenti stessi. Il progetto porta con sé una buona dose di originalità e innovazione. Per un soggiorno esclusivo, tutto tradizione e natura, senza dimenticare i comfort, sono state recuperate due baite ed è stata lanciata la formula baita&breakfast, dove le colazione è a base di prodotti tipici e c’è pure una zona relax con sauna, mentre per far conoscere da vicino la vita dei bergamini e l’arte del formaggio sono a disposizione tre installazioni, a Sottochiesa, Vedeseta e Peghera, che uniscono multimedialità ed esperienza diretta, si chiamano La VaCCanza, Tu Casaro e Stagiònàti. Un pacchetto davvero insolito ed intrigante che comprende anche cinque itinerari tematici e che però non ha ancora segnato, per ammissione dei promotori, una svolta nell’attrattività e andrebbe rilanciato.

La cooperativa e lo Strachitunt, una storia di resistenza

Chi vive e lavora qui, del resto, lo sa che rimanere comporta difficoltà. La cooperativa agricola Sant’Antonio a Vedeseta, in frazione Reggetto, è un esempio di resistenza. È l’unico caseificio della Valtaleggio e lavora esclusivamente il latte della zona, circa 25 quintali al giorno, di sei conferenti, offrendo agli allevatori di montagna un reddito equo e sostenibile e creando occupazione. Sono partite da qui riscoperta dell’ormai famoso Strachitunt, lo stracchino rotondo dalla caratteristica erborinatura che nasce dall’unione della cagliata della sera con quella del mattino, e l’iter che ha portato alla Dop, che ha delimitato il territorio di produzione ai soli comuni di Taleggio, Vedeseta, Gerosa e Blello, escludendo tutti gli altri, in primis la pianura che aveva già “adottato” la specialità. Per un errore nel disciplinare, relativo a misure e peso delle forme, lo scorso anno la vendita a marchio è stata sospesa. «Un’inesattezza puramente formale – spiega il presidente della cooperativa Flaminio Locatelli –. È bastato cambiare un numero e tutto è andato a posto. Le correzioni sono state inviate lo scorso 20 novembre e dalla primavera potremo con ogni probabilità tornare sul mercato con lo Strachitunt Dop. Fortunatamente i clienti hanno capito che il prodotto era lo stesso e continuato ad acquistarlo pur senza denominazione, ma ovviamente questa sospensione un po’ di problemi ce li ha creati». «Sinceramente avremmo fatto a meno della Dop – confessa -, perché significa burocrazia e spese per la certificazione, ma era l’unico modo per tutelare il prodotto e il nostro lavoro. Basti pensare che qui a Vedeseta siamo la realtà che impiega più persone, quattro: due casari, addetti anche alla raccolta del latte, e due donne part time».

Mauro Arnoldi - PegheraAnnesso al caseificio c’è lo spaccio dove, oltre allo Strachitunt, si possono acquistare le altre produzioni: il Taleggio, lo Stracchino di Vedeseta (un antenato del Taleggio), l’Alben (simile al Branzi), le formaggelle, la Magrera, tutti rigorosamente a latte crudo. Vengono realizzati in proprio anche gli yogurt e il burro.

Per trovare gli stagionatori occorre invece andare a Peghera, nel comune di Taleggio. Si tratta di realtà aziendali, CasArrigoni e Arnoldi Vataleggio, storiche e strutturate, che vendono ormai in tutto il mondo. «Se rimaniamo c’è un perché – afferma Mauro Arnoldi, dell’omonima società -. Perché ambiente e clima hanno alcune caratteristiche uniche, ma anche per come sono esposte e costruite le aziende, con locali quasi tutti sotto terra, e naturalmente per la conoscenza dei prodotti che qui si tramanda da generazioni». Taleggio, Quartirolo, Salva Cremasco e Strachitunt rappresentano il grosso delle specialità trattate ed essendo delle Dop ognuna richiede il rispetto di precise norme.

La sfida di Alida, da affineur a ristoratrice

Una bella conoscenza dei formaggi ce l’ha anche Alida Pesenti Bolò, che sempre a Peghera, dopo 15 anni da affineur, ha accettato la sfida di mettersi ai fornelli per proseguire l’attività del ristorante Liberty. «È nato come osteria e posto di ferma per i cavalli, ha più di cento anni – evidenzia – ed è sempre stato della famiglia di mio marito. Nel 2001 è venuto a mancare mio cognato, che lo gestiva, e a me dispiaceva chiuderlo e mettere fine ad una storia così lunga». Si è perciò messa in gioco frequentando i corsi della scuola alberghiera di San Pellegrino e scoprendo una passione per la cucina. La scelta è di utilizzare soprattutto ciò che offre la zona, ma per portare un po’ di novità agli habituée si fa anche il pesce. Il formaggio è spesso protagonista e la fantasia non manca. Tanto che Alida ha vinto il premio “Ecomuseo & Strachitunt, due risorse per la Valtaleggio” con le sue “madeline allo speck e salvia con salsa di Strachitunt e miele di acacia”. Tra gi altri piatti, gli “gnocchi di castagne e patate con fonduta di Taleggio e bresaola del salumificio Corticelli”, i casoncelli di magro secondo la ricetta del posto, i risotti, le tagliatelle alle ortiche, speck e funghi porcini, le “crespelle Valtaleggio” (con Taleggio, patate, rosmarino e pere) e per secondo le carni di cinghiale, cervo, la lepre in salmì. I dolci sono fatti in proprio, così come la giardiniera con le verdure dell’orto. Da esperta affinatrice, Alida seleziona inoltre le forme e ne cura l’ultimo tocco nella “moscarola” di casa. «Il ristorante non ha mai avuto la carta – precisa -, solo il menù del giorno. Le nostre proposte del resto sono conosciute e il massimo per me è quando mi dicono “fai tu”». Ad aiutarla c’è la figlia Gloria, ostetrica in cerca di lavoro, contagiata nel frattempo dalla passione per la ristorazione. «Ammetto che la decisione di portare avanti l’attività era un salto nel vuoto – dice Alida -, ma il posto è nostro e con bar, tabacchi e qualche stanza ce la facciamo».

Ai Piani di Artavaggio la famiglia bergamasca salita in quota

E perché, a questo punto del viaggio, non permettersi uno sguardo “oltreconfine”? Basta proseguire lungo la strada provinciale per raggiungere la Valsassina, che con quattro comuni partecipa al Dat Vallinf@miglia. Una sosta panoramica alla Culmine di San Pietro (1.258 metri) e poi giù fino a Moggio. Non perdete l’occasione di chiedere in paese dell’epica impresa della biblioteca parrocchiale prima di prendere la funivia per i piani di Artavaggio (tra 1.600 e 1.900 metri di quota) e scoprire con una facile passeggiata un’altra storia bergamasca e altre scelte coraggiose. Quelle dei fratelli Galizzi – Giacomo, Achille e Ruggero – che con papà Rocco e l’aiuto di Evelyn, moglie di Giacomo, hanno riportato in vita il rifugio Angelo Casari, intitolato al nonno, Alpino del Polo con la spedizione del dirigibile Italia, che lo ha costruito nel 1960 ed ha tirato su altri due rifugi da quelle parti. I nipoti, impegnati nell’azienda di famiglia di demolizioni e scavi a San Giovanni Bianco, di fronte alle difficoltà dell’edilizia hanno scelto di salire in quota e rispolverare quell’eredità. «Era il 2009 – ricorda Giacomo -, il rifugio era stato chiuso per 25 anni ed abbiamo cominciato a ristrutturarlo. Prima il tetto, poi il bar, il ristorante e infine le camere». Ora il “Casari” è aperto tutto l’anno ed è un punto di riferimento per gli escursionisti di ogni stagione, forma fisica ed età. Basti pensare che il mercoledì è diventato la “giornata del pensionato”, con menù a prezzo fisso (10 euro per primo o secondo, 15 per entrambi) che invita gli “over” a godersi la montagna in compagnia. Ai fornelli c’è papà Rocco, che in gioventù ha avuto esperienze in cucina, mentre le torte sono di Evelyn, che usa anche farine integrali e di farro. Pizzoccheri e cervo sono i piatti più richiesti, non mancano i formaggi (anche brembani, vista la provenienza dei gestori) e, in generale, la scelta è di utilizzare materie prime selezionate e di produzione artigianale. Si usano anche le erbe spontanee, come il paruch e l’aglio orsino. «La vita quassù? È cambiata del tutto – ammette Giacomo -. Bisogna fare i conti con l’acqua che gela, la motoslitta che si rompe, il telefono che non prende e internet che va sì e no. È un altro mondo, ma penso che siano ancor più i vantaggi degli svantaggi».


Impianti di risalita, aperto il bando che finanzia l’ammodernamento

seggiovia -CaronaPossono essere presentate da oggi – lunedì 11 gennaio – al 31 gennaio 2017 le domande per accedere al bando della Regione Lombardia a favore degli impianti di risalita e delle piste da sci. A disposizione ci sono 5,2 milioni di euro, destinati a soggetti pubblici o privati, proprietari e gestori di impianti presenti sul territorio regionale, in forma singola o aggregata mediante contratti di rete.

«I nostri obiettivi – ha spiegato l’assessore allo Sport e alle Politiche per i giovani Antonio Rossi a Lecco, nel corso dell’incontro di presentazione agli operatori, ai comuni e alle Comunità montane – sono il miglioramento, l’adeguamento e la messa in sicurezza degli impianti di risalita e delle piste con lo scopo finale di migliorare l’attrattività turistica dei comprensori sciistici, permettendone l’uso anche in periodi non invernali».

Il contributo regionale sarà concesso da un minimo di 40.000 euro fino a un massimo di 400.000 euro (500.000 euro per la forma aggregata) in base alla tipologia e al numero di impianti del comprensorio. «Queste risorse – ha proseguito – potranno servire ad ampliare l’offerta e i servizi che i comprensori sciistici mettono a disposizione dei turisti, aumentando l’utilizzo degli impianti. Stagioni particolari come questa, in cui la neve naturale è stata molto scarsa e le temperature sono state alte anche per la produzione di innevamento programmato, possono segnare in modo significativo il trend turistico invernale».

«Sono molto soddisfatto dell’incontro che si è tenuto questa mattina tra Regione e i gestori degli impianti di risalita, Anci, Comunità Montane, Anef, Federfuni, Finlombarda e numerosi sindaci – ha sottolineato ancora Rossi -. Tutti i protagonisti della montagna sono pronti a fare il massimo per rendere ancora più attrattivo il turismo in Lombardia e cercare di destagionalizzare il ruolo degli impianti di risalita». «L’iniziativa rientra in un percorso che la Regione sta portando avanti a favore della montagna. È al vaglio un progetto per uno skipass a tariffa agevolata per i ragazzi e nei mesi scorsi abbiamo stanziato 2.200.000 euro per i sentieri e 450.000 per le falesie. Mi rendo conto che possano sembrare risorse finanziarie irrisorie, ma, in questo particolare momento politico e sociale, sono il massimo che Regione può mettere a disposizione in relazione agli importanti tagli governativi».


Montagna, gli albergatori sorridono anche se manca la neve

La mancanza di neve non ha tenuto lontani gli amanti della montagna dalle Valli Bergamasche. Il Capodanno vedrà il pienone di turisti e le località sono all’insegna del tutto esaurito fino ai primi giorni dell’anno, salvo disdette dell’ultimo minuto. Merito anche dell’emergenza polveri sottili che spinge molte persone a lasciare la città per respirare aria buona. Gli albergatori parlano addirittura di prenotazioni in aumento, rispetto all’anno scorso, anche se la tradizionale settimana bianca quest’anno ha lasciato il posto a soggiorni più brevi.

«Le prenotazioni sono di 3-4 giorni e sono per lo più di famiglie, che è il target di riferimento invernale in Valle Seriana – dice Massimo Ferrari dell’Albergo Aurora a Castione della Presolana -. Al Monte Pora hanno fatto un miracolo. Certo non c’è il fuori pista, ma le piste sono battute e i turisti sono contenti. Avevamo fatto i conti con il fatto che la neve poteva non esserci. I commercianti hanno allestito i gonfiabili per fare giocare i bambini e il tempo buono permette di andare in giro». «Noi siamo pieni – aggiunge -. Credo che abbiano pagato la cura che dedichiamo alla cucina, le buone recensioni sui motori di ricerca e i servizi che diamo per i bambini. Abbiamo accolto le richieste che ci venivano fatte dalle famiglie e ci siamo caratterizzati come albergo dei bambini. A Capodanno una sala intera sarà dedicata a loro. Bisognerebbe caratterizzarsi ancora di più in questo senso, il discorso baby sitting è da riportare in auge».

Anche il bilancio dell’Hotel Milano di Castione della Presolana è positivo: «Le belle giornate di sole hanno compensato l’assenza di neve – afferma Fabio Iannotta -. Sono previste nevicate per il prossimo weekend ed è una manna dal cielo, ma la le prenotazioni stanno andando comunque molto bene. Noi siamo al completo fino al 4 gennaio. L’offerta termale è un punto di forza ma abbiamo ospiti che si stanno divertendo a fare passeggiate che di norma si fanno solo d’estate. La natura da un lato ci ha penalizzato ma dall’altro, offrendo queste bellissime giornate, ci ha fatto un regalo».

Stesso scenario a Foppolo. Dice Gianfranco Invernizzi dell’Hotel Des Alpes: «Non ci si aspettava quest’anno eccezionale dal punto di vista climatico. Il soggiorno lungo ha registrato molte disdette. Chi doveva fare una settimana fa solo due giorni, chi tre solo due. I turisti che non sciano si consolano facendo passeggiate».

San Pellegrino Terme punta sull’offerta del soggiorno termale e non fa rimpiangere le vette «Noi abbiamo le Terme. Abbiamo sempre contato poco sulla neve – spiega Giorgio Zilli dell’Albergo Ristorante Papa -. Non facciamo miracoli ma un certo movimento c’è. Per Capodanno siamo al completo già da tempo. A Sant’Ambrogio abbiamo lavorato bene grazie ai ponti. Rispetto al poco che si faceva gli altri anni, quest’anno sta andando bene». «Ci stiamo salvando con le terme – gli fa eco Paolo Scanzi dell’Albergo Centrale -. Siamo al completo fino al 3. Molto molto meglio dell’anno scorso».

Dopo il primo gennaio, se non sopraggiunge la neve, si viaggerà a vista. Ma i turisti che in questi giorni affollano le località montane pare non la rimpiangano più di tanto, grazie alla natura incontaminata delle valli.


Comuni della Presolana, la fusione ora si presenta al territorio

I comuni di Rovetta, Cerete, Fino del Monte, Songavazzo e Onore muovono nuovi passi verso la fusione. Il progetto, iniziato circa due anni e mezzo fa, si avvicina ad entrare nel concreto. Da mesi il gruppo di lavoro e la commissione formata dagli amministratori dei cinque comuni s’incontrano per definirne le modalità e il prossimo anno i cittadini dovrebbero essere chiamati a esprimersi con un referendum.

Il percorso non è stato facile e si è dilungato più del previsto. L’adesione di Cerete in un primo momento era in dubbio e solo dopo un referendum cittadino e l’elezione del nuovo sindaco è diventata convinta e propositiva, mentre Castione della Presolana è uscita dall’Unione dei Comuni e si è chiamata fuori dalla fusione.

Ora i cinque comuni sono pronti a presentare il progetto, 280 pagine complete di analisi del territorio e dei bilanci. Dice Giuliano Covelli, presidente dell’Unione della Presolana: «Nelle prime settimane dell’anno nuovo verranno fatti degli incontri con le associazioni, gli operatori e le parti sociali per spiegare il progetto. Poi in ogni comune saranno promosse assemblee pubbliche per illustrarlo ai cittadini e raccogliere i loro suggerimenti. A marzo del 2016 il progetto sarà depositato in Regione e la giunta determinerà la data del referendum».

Perché la fusione diventi realtà il referendum dovrà avere la maggioranza in tutti e cinque i comuni, altrimenti si torna punto a capo e si dovrà rimettere mano al progetto. La fusione porterà a un comune unico di circa 8.500 abitanti, con sei-sette località e l’altopiano si dividerà così in tre principali poli amministrativi: il nuovo comune, Clusone e Castione della Presolana, con notevoli vantaggi nel funzionamento degli uffici e un’ottimizzazione delle risorse economiche e sociali, da non sottovalutare.

«I comuni sono vicinissimi e hanno una realtà molto simile, se non uguale – spiega Covelli -. Oggi che i trasferimenti agli enti locali sono ridottissimi, l’Unione dei Comuni non ha più senso. La fusione permetterà di unire i bilanci in uno solo e di realizzare, ad esempio, ogni anno, un’opera pubblica importante in ogni comune, quando oggi il bilancio dei singoli paesi non consente di farlo. Inoltre si potranno ottimizzare le risorse economiche e di personale e dare maggiori servizi ai cittadini».


Piani di Bobbio, in attesa della neve spazio al gusto

In attesa della neve, ai Piani di Bobbio & Valtorta domenica 15 novembre arriva Gustinquota, la tradizionale festa di preapertura della stagione dello sci che l’hanno scorso ha coinvolto 7mila persone. Per tutta la giornata, a partire dalle 10, la cabinovia di Barzio sarà attiva gratuitamente per tutti i turisti. Chi arriva da Bergamo potrà salire anche da Valtorta con la seggiovia Ceresola, anch’essa gratuita per tutti, dalle 10 alle 12.30 e poi dalle 14 alle 16.30.

All’arrivo si potranno degustare e acquistare prodotti tipici del territorio e conoscere le novità in tema di articoli sportivi per la neve. Per i bambini ci saranno giochi e animazione. Uno spazio sarà dedicato alla presentazione dei programmi delle scuole di sci e dei servizi proposti per la prossima stagione sugli sci, tra cui il nuovo tapis-roulant, che servirà lo snowpark e farà da collegamento con Valtorta, e il bus della neve dedicato, per il trasporto da Milano ai Piani di Bobbio ogni sabato e domenica prenotabile online. Al punto informazioni delle Imprese Turistiche Barziesi sarà inoltre possibile ritirare la cartolina “Sciatona” che dal 9 al 18 dicembre darà diritto a chi compra un giornaliero di averne uno gratis per il suo accompagnatore.

Nella giornata di Gustinquota i Piani di Bobbio saranno anche il punto di arrivo della seconda edizione di “Bobbio Vertical”, la corsa in montagna Introbio-Piani di Bobbio. Infine alle ore 12 verrà celebrata la messa alla chiesetta dei Piani di Bobbio e nei rifugi sarà possibile pranzare con il “Menù del Rifugio” a prezzo convenzionato. La giornata sarà accompagnata da musica dal vivo, giochi, gadget e animazione per tutti. Saranno disponibili navette gratuite di collegamento dei parcheggi di “Barzio paese” con la partenza della cabinovia.
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Val di Scalve, uno scrigno di sapori

La Val di Scalve non è solo montagna e stupende passeggiate, ma anche una meta per chi non disdegna qualche sosta golosa. Del resto, come non ricordare, a Vilminore di Scalve, la storica latteria dove vi si produce anche la famosa formaggella della Val di Scalve, oppure l’Alpe Campelli, dove è possibile assaggiare ed acquistare sia la squisita formaggella che il formaggio stagionato, entrambe prodotte con il latte estivo? Nel mese di agosto, in questa zona, è anche possibile raccogliere diverse tipologie di erbe spontanee, tra cui il famoso “paruch” con cui preparare gustosi risotti. Ecco, a seguire, una breve carrellata sulle chicche imperdibili della valle.

La spalla di Schilpario e il Formaggio nero de la Nona

Formaggio nero della NonaIn una piccola bottega storica di Schilpario si produce ormai da decenni un prodotto unico e ancora poco conosciuto, la “Spalla di Schilpario”. La materia prima di partenza è la spalla di maiale, spesso considerata un prodotto di seconda scelta. La macelleria Pizio da cinque generazioni (oggi tocca ad Alberto detenere la ricetta segreta di famiglia), nel corso degli anni ha affinato il modo di preparare questo prodotto, in due versioni: quella da cuocere e quella stagionata cruda da affettare. La spalla da cuocere viene preparata dalla macelleria con gli aromi e le spezie e non resta che farla bollire servendola poi con spinaci lessi e purè di patate. Mentre la spalla stagionata è ottima, ad esempio, per farcire i panini.

Spostandosi verso l’abitato di Vilminore di Scalve, alla Latteria Sociale locale, è possibile acquistare un formaggio molto particolare, una scoperta recente, ma con una storia antica: il Formaggio Nero de la Nona.

Tutto parte da Attilio Perego, milanese di origine e maestro d’arte di professione, che per amore s’è spostato 30 anni fa in Val di Scalve. “Nel 1998 – spiega Perego, proprietario della ricetta segreta del 1753 – stavamo ristrutturando una vecchia baita di famiglia in frazione Nona quando abbiamo trovato una scatoletta di latta che mio suocero custodiva tra le sue cose, senza darle troppe attenzioni. Nel 2012 la scatoletta di latta arriva a casa mia e, una volta aperta, tra vari oggetti di comune utilizzo, vi era un’agenda con all’interno il foglio su cui era scritta la ricetta in scalvino antico”. La ricetta era rigorosamente firmata, anche se tale firma non è stata tradotta, al contrario di tutto il resto che invece è stato  trascritto in italiano. “Sicuramente – spiega ancora Perego – è stata scritta da un dotto. Tutto il processo di produzione viene spiegato nei dettagli, comprese le quantità degli ingredienti. L’unica cosa non indicata era la dimensione della forma”. Ecco che Attilio Perego se ne interessa e, casualmente, incontra un allevatore e casaro interessato ad aiutarlo nelle prove di caseificazione. Intraprendono quindi un percorso fatto di prove, assaggi e sperimentazioni, tutt’ora in corso. Il formaggio è attualmente prodotto dalla vicina e locale Latteria con latte crudo intero di Bruna Alpina proveniente da allevamenti in cui non vengono utilizzati insilati. E’ un formaggio a pasta cotta con all’interno grani di pepe. Viene affinato e stagionato almeno per 4 mesi spennellando l’esterno con un mix di spezie. Un formaggio dal sapore equilibrato e dall’aroma intenso di spezie, sottobosco e balsamico. Uno di quei formaggi che si fanno mangiare volentieri! Questo formaggio è utilizzato da diversi ristoranti locali come La Baita al passo della Presolana, il ristorante albergo San Marco e il Rifugio dell’Aquila. Quest’ultimo propone anche un piatto a base di formaggio nero, spalla di Schilpario affettata e polenta.

La Latteria Sociale della Val di Scalve

latteria sociale di Scalve ridLa latteria è situata a Vilminore di Scalve ed è affiancata dal frequentatissimo spaccio aziendale. Sono molti i turisti e non solo che la frequentano per aggiudicarsi del buon formaggio da mettere sulla propria tavola. “Fino a quasi 50 anni fa esistevano solo le latterie turnarie – racconta Luciano Bettoni, ex presidente della latteria – poi alcuni allevatori hanno fondato la latteria come società cooperativa”. Insieme hanno quindi iniziato a produrre quei formaggi che sono diventati il simbolo della produzione casearia di questa zona. “Attualmente i soci della cooperativa sono 16 – spiega ancora Bettoni – e conferiscono circa 50mila litri di latte al giorno. Noi lo lavoriamo soprattutto a latte crudo, anche se in caso di necessità lo pastorizziamo”. Il lavoro nel caseificio è condotto dal casaro Lorenzo che, dopo gli studi in veterinaria, dal milanese si è trasferito in valle per intraprendere questa professione. La cooperativa è stata fondata nel 1968 e l’attuale sede è stata costruita nel 1978. Diversi i formaggi e le produzioni casearie proposte: dalla classica formaggella al “Quadrel” ideale per la raclette, lo “Scalvitondo”, un formaggio stagionato, il burro e gli yogurt.  Lo spaccio aziendale è aperto tutti i giorni dalle 8 alle 12 e dalle 15,30 alle 19. La latteria si occupa anche della produzione e stagionatura del Formaggio Nero de la Nona; anch’esso è possibile acquistarlo intero o frazionato nel medesimo spaccio.

Il Ristorante San Marco e i fiori di Mea

Mea Tagliaferri ridPoco distante dal centro abitato di Schilpario, in frazione Pradella, sorge il Ristorante Albergo San Marco, fortemente voluto dal padre di Mea ed Enzo, attuali gestori e proprietari. “Mio padre – spiega Mea, classe 1951 – era in miniera e, dopo 25 anni di lavoro, ha deciso di costruire un albergo. Dopo il turno in miniera lavorava qua. In realtà è partito da un bar a cui ha successivamente aggiunto le camere ed infine il ristorante”. Mea Tagliaferri, diplomata all’istituto alberghiero di San Pellegrino, attualmente si occupa della cucina. Tiene profondamente a questo posto, tanto che sono ormai più di 40 anni che lo gestisce con entusiasmo insieme al fratello Enzo, al marito Antonio e alla cognata Pierangela.

La sua cucina è semplice e genuina, curata nei minimi dettagli estetici e gustativi. Dei sapori e degli aromi netti, che raccontano del territorio e di Mea. Piatti colorati, vivaci, equilibrati. Nulla è fuori posto. “Circa 25 anni fa – racconta ancora Mea – ho partecipato ad un concorso in cui veniva richiesto di creare un menù con le erbe spontanee e quindi ho iniziato a studiarle. Mi aveva affascinato questo mondo”. All’esterno, vicino al ristorante c’è l’orto, in cui Mea coltiva oltre alle classiche specie orticole anche le erbe spontanee e i fiori che utilizza nella sua cucina e per guarnire i suoi piatti. “Al mattino vado nell’orto e raccolgo quello che mi serve”. Di fronte al ristorante parte il “sentiero dei fiori in cui la cuoca accompagna, previa prenotazione e secondo stagione, i suoi ospiti a raccogliere le erbe che poi cucineranno insieme subito dopo.

Ogni giorno la cucina propone piatti a tema ed è possibile assaggiare dal risotto con i fiori mantecato con il Formaggio Nero de la Nona, ai ravioli con la borragine e i suoi fiori. Ma anche delle squisite costolette di agnello panate con nocciole, erbe aromatiche e i suoi fiori, con un contorno di polenta fredda e fiori di zucchina.

 


Non disturbate l’insetto che sta salvando i castagni

castagne - insetto antagonista - Torymus-sinensis-su-una-gallaSe quest’anno i raccoglitori di castagne possono sorridere e le sagre approvvigionarsi di prodotti locali lo si deve al piccolo Torymus Sinensis, insetto antagonista del tanto famoso quanto funesto Cinipide che negli scorsi anni aveva danneggiato i boschi e drasticamente compromesso i bottini.

La lotta biologica innescata dall’introduzione dell’imenottero ha infatti permesso di ridurre fortemente le popolazioni del Cinipide, ma per far sì che l’equilibrio tra le due specie venga mantenuto nel tempo è bene conoscere il ciclo di vita dell’insetto “salvatore”. «Il Torymus Sinensis trascorre l’inverno all’interno delle galle secche presenti sui rami e sulle foglie cadute a terra – spiega una locandina la Comunità Montana dei Laghi Bergamaschi -. Gli adulti nascono infatti a partire dal mese di aprile. Per favorire la sua sopravvivenza è quindi importantissimo non eliminare o distruggere le galle secche ed è quindi opportuno non distruggere o asportare il fogliame o le ramaglie dalla selva castanile prima della fine di maggio di ogni anno».

L’invito è soprattutto quello di abbandonare la consuetudine di bruciare i residui della raccolta delle castagne (rami, foglie e ricci) prima della fine di maggio, tanto più che le recenti normative regionali impediscono la bruciatura di residui vegetali da ottobre ad aprile.

L’avviso


Mele, ora la Val Brembana rilancia una varietà autoctona

È un bel progetto di recupero territoriale che cresce e si consolida di anno in anno. Quello della coltivazione delle mele in Val Brembana, che ha uno dei suoi momenti clou nella Sagra organizzata a Piazza Brembana dall’Associazione Frutticoltori Agricoltori Val Brembana (Afavb) in collaborazione con Altobrembo, Comune e Pro Loco Piazza Brembana.

L’appuntamento è sabato 17 e domenica 18 ottobre con un ricco programma che unisce alla promozione dei frutti e alla vendita del nuovo raccolto la valorizzazione del territorio e dell’enogastronomia, coinvolgendo numerosi ristoranti della Valle con menù a tema a prezzo convenzionato.

Le mele sono coltivate da centinaia di appassionati che nel 2007 hanno costituito l’Afavb. «Chi coltiva un albero da frutto – sottolinea il presidente Davide Calvi – segnala la volontà di restare in Valle, dimostra di crederci. Il nostro impegno ha reso possibile il recupero di molti terreni, altrimenti abbandonati. La consulenza di tecnici esperti ci ha consentito di selezionare una qualità di alto livello, ottimizzando la resa dei frutteti e valorizzando al meglio le proprietà dei terreni. Le analisi hanno confermato che la Valle Brembana ha ottime peculiarità, addirittura superiori a quelle di zone più rinomate».

Mela Val Brembana (3)I soci Afavb partecipano ogni anno a viaggi di studio in zone dove sono operative aziende frutticole. Per segnalare la qualità e la genuinità delle Mele della Val Brembana, è nato uno specifico marchio di tutela, che mette in evidenza i colori della natura e quelli delle varietà coltivate: Golden, Gala, Red Delicious, Renetta e Topaz. «Sono anche i colori – sottolinea il vicepresidente Pinuccio Gianati – della maschera di Arlecchino, biglietto da visita della Val Brembana e del territorio bergamasco. Stiamo anche lavorando alla selezione di una varietà autoctona, rintracciata a San Giovanni Bianco, che mostra particolari doti di qualità e resistenza».

A livello didattico l’Afavb promuove attività specifiche presso il Campo Scuola “Arcobaleno delle Mele”, attivo dal 2012 a Moio de’ Calvi e per la campagna 2016 annuncia la creazione di un campo biologico certificato. Dallo scorso agosto l’associazione ha una nuova sede a Moio de’ Calvi ed il 4 ottobre ha ufficialmente presentato il proprio progetto nell’ambito di Expo Milano 2015, occasione nella quale hanno debuttato anche due nuovi dolci a base di mele e Mais Nostrano Orobico, un’ulteriore riscoperta del territorio.

La Sagra darà naturalmente l’opportunità di assaggiare e comprare le mele, ma anche prodotti del territorio, gastronomici e d’artigianato locale. Sabato alle 9 è in programma l’apertura ufficiale dell’area espositiva nel centro di Piazza Brembana, mentre alle 10 si aprirà il laboratorio didattico “La merenda sana: mele e sapori del territorio”, dedicato alle scuole locali. Alle 10.30 verrà inaugurato il “Tour gastronomico” che offre ai visitatori la possibilità di assaggi guidati alle eccellenze in mostra.

Alle 11.30 lo chef Andrea Midali presenterà preparazione e degustazione di risotto con le mele. Nel pomeriggio, alle 15.30, il tecnico Adriano Gadaldi illustrerà per i neofiti la possibilità di avviare un frutteto, mentre alle 16.30 degustazione di dolci di mele direttamente da Expo. Alle 17 il biologo nutrizionista Paolo Paganelli guiderà un incontro sul tema “Le Mele della Val Brembana, frutti della salute”.

Domenica 18 ottobre sarà interamente dedicata alla mostra-mercato delle Mele e dei prodotti tipici, con decine di stand. Alle 10 i tecnici Afavb proporranno una dimostrazione pratica di coltivazione, mentre alle 11 grazie alla collaborazione con Slow Food Valli Orobiche verrà proposto un Laboratorio del Gusto per abbinare mele e formaggi. Alle 14.30 partiranno le attività di animazione per bambini nell’area MeLaGIOCO, mentre alle 15 le torte in gara per lo specifico concorso verranno proposte all’assaggio del pubblico dagli allievi dell’Istituto Alberghiero di San Pellegrino Terme. Alle 16 la premiazione dei migliori frutti e dei dolci più gustosi chiuderà la due giorni di festa.


Averara recupera i castagneti. E la Sagra ha più gusto

È una sagra storica – ben 41 edizioni -, ma quest’anno ha un motivo di richiamo in più. La Sagra della Castagna di Averara, in programma sabato 10 e domenica 11 ottobre, in località Redivo sarà l’occasione per presentare il progetto in corso per il recupero delle selve castanifere secolari presenti sul territorio.

L’iniziativa è portata avanti dall’Associazione Castanicoltori, costituitasi recentemente per salvare il bosco, l’ambiente e le tradizioni, ed ha già dato i primi frutti. È stato sconfitto infatti il cinipide, l’insetto che ha aggredito le piante in questi ultimi anni causando una netta diminuzione della produzione, ed il raccolto è buono, tale da assicurare alla sagra tutte castagne locali.

 

La due giorni proporrà musica, servizio bar e food, degustazioni di prodotti locali e visite guidate. Tra le iniziative, si annuncia suggestiva quella delle caldarroste nel bosco con accompagnamento musicale, sicuramente stuzzicanti la cena e il pranzo con piatti tradizionali e a base di castagna

IL PROGRAMMA

Sabato 10 ottobre

ore 14,30 – Escursione al Castagneto in fase di recupero accompagnati da Stefano D’Adda (agronomo) e Lorenzo Lego (presidente Castanicoltori Orobici)
ore 15 – “Madre Natura e le sue magie”, open day e visita ai laboratori dell’azienda Soluna di Averara
ore 16 – “Caldarroste nel bosco” con intrattenimento musicale del maestro Mauro Po
ore 18 – “Aperitivo d’Autunno” con il bandino di Zogno
ore 19,30 – Cena tradizionale e piatti a base di castagna

Domenica 11 ottobre

ore 9,30 – Escursione guidata al castagneto in fase di recupero
ore 10 – “Madre Natura e le sue magie”, open day e visita ai laboratori dell’azienda Soluna di Averara
ore 12 – Pranzo tradizionale e piatti a base di castagna
ore 14 – “Caldarroste in piazza”

Sabato e domenica “Coloriamo l’autunno”: animazione e racconti per bambini con Patrizia Geneletti del Teatro Prova Degustazione e vendita di prodotti tipici del territorio.

Info: castanicoltoriaverara2015@gmail.com – tel. 366 9598725