«Pmi ancora distanti dal digitale»: i dieci punti dei Giovani Confcommercio per non subire l’innovazione

forum giovani imprenditori confcommercio 2017

Impatti, opportunità e percezione da parte dei giovani imprenditori italiani dell’innovazione quale leva di crescita: questo il tema della ricerca annuale presentata in occasione del decimo Forum Nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio in programma il 7 e 8 novembre a Roma nello Spazio Novecento.

La ricerca, realizzata grazie alla collaborazione del Gruppo Giovani di Confcommercio e dei componenti del Digital Transformation Institute, mette in evidenza il ruolo della Digital Transformation come strumento attivatore dei processi di crescita delle imprese italiane e indaga la percezione dei giovani imprenditori rispetto alle opportunità offerte dal digitale e le sfide necessarie a cogliere le opportunità del cambiamento.

Secondo gli imprenditori e gli esperti intervistati, gli ambiti di maggiore impatto rispetto ai processi di trasformazione digitale sono: concorrenza e mercato, infrastrutture, internalizzazione, modelli di business, organizzazione e processi, accesso al credito e sistemi di pagamento, normativa, politiche del lavoro e welfare, sostenibilità.

Percezione del grado di digitalizzazione aziendale

Per identificare la predisposizione all’innovazione in relazione all’effettivo livello di maturità digitale si è chiesta al campione di pmi intervistate una autovalutazione del livello di digitalizzazione: il 59,4% delle aziende si ritiene abbastanza tecnologica, ma solo il 17,9% crede di aver raggiunto un livello molto alto di innovazione digitale.

Una buona percezione del proprio livello di digitalizzazione si rileva nelle imprese del nord-ovest e del sud e isole, ma è il nord-est a ritenersi molto tecnologico (20,9%).

Guardando ai diversi settori di appartenenza, sono le realtà operanti nel settore turistico a esprimere una percezione più bassa del proprio livello di implementazione delle tecnologie digitali, con un 44,4% di intervistati che si dichiara poco o per niente tecnologico.

Tuttavia quasi la metà delle imprese intervistate (47%) non ha mai sentito parlare di criptovalute (come i BitCoin) o modelli FaaS (Factory as a Service: uno degli elementi portanti del fenomeno Industry 4.0). Ben il 41% non conosce il termine Big Data e quasi un terzo non sa cosa sia il Cloud Computing.

Dati, questi, che evidenziano una forte distanza culturale delle pmi dal digitale. «Guardando questi dati è evidente – afferma Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute – come uscendo dal circolo autoreferenziale di aziende, esperti e consulenti che parlano di innovazione ed entrando nel Paese reale ci sia un problema che non è solo di competenze, ma addirittura di conoscenza dei temi e di consapevolezza rispetto ad un intero contesto tecnologico. In molte delle nostre aziende non mancano le competenze rispetto a temi che hanno individuato, ma manca del tutto la consapevolezza che esistano degli scenari di trasformazione ignorando i quali non solo si perdono opportunità, ma si corrono rischi».

Pochi investimenti in digitale da parte delle pmi

Non meraviglia se, con queste premesse, siano pochi gli investimenti in digitale, a prescindere dalla posizione geografica: il 39,4% delle imprese dichiara di aver effettuato investimenti in tecnologie digitali per meno di 5.000 euro e il 28% ammette di non averne fatti per nulla.

A dimostrarsi più propense agli investimenti in innovazione sono le realtà con un numero di addetti compreso tre 50 e 250 (il 45,5% ha investito tra i 5.000 e i 50.000 euro e l’8,1% una cifra superiore ai 50.000 euro). Le imprese che hanno investito in tecnologia negli ultimi 5 anni lo hanno fatto prevalentemente (87,7%) al fine di adeguare le infrastrutture materiali/immateriali; poco più della metà ha tentato di utilizzare tali investimenti per migliorare le politiche del lavoro e il welfare aziendale, attraverso, ad esempio, soluzioni di smart working (52%) e per sviluppare nuovi modelli di business (51,7%).

Investire in digitale conviene

Laddove si è investito, tuttavia, le imprese intervistate hanno notato un miglioramento significativo nei ricavi (62,2%). Miglioramento che nel 12% dei casi è compreso tra il 25% ed il 40% dei ricavi e nel 20% dei casi compreso tra il 10% ed il 25% dei ricavi. Oltre il 15% delle aziende intervistate si è detta non in grado di valutare se l’It abbia portato miglioramenti sul fronte dei ricavi ed il 21% sostiene che non vi siano stati incrementi nei ricavi.

Interventi pubblici auspicabili

Le aziende intervistate hanno individuato tra gli interventi auspicabili da parte delle Istituzioni la semplificazione della normativa esistente e miglioramento della burocrazia (64,1%); il maggior investimento nell’infrastruttura di rete a banda larga (52,2%); la promozione della cultura dell’impresa e della legalità, finanziamenti o sgravi fiscali per gli investimenti in infrastrutture digitali e per i progetti orientati all’innovazione (poco meno della metà); maggiori incentivi per le attività di formazione (42,4%).

Infrastrutture digitali più significative

Gli investimenti in infrastrutture digitali considerati più significativi dalle imprese per avviare un processo di digital transformation sono per più della metà delle imprese intervistate (55,6%) quelli in sicurezza e privacy, per il 45,4% in comunicazione e promozione e per il 37,1% nei processi di vendita.

Un manifesto per l’innovazione dei giovani imprenditori italiani

Il presidente dei Giovani Confcommercio, Alessandro Micheli
Il presidente dei Giovani Confcommercio, Alessandro Micheli

La presentazione della ricerca è stata anche l’occasione per varare il Manifesto per l’Innovazione, un documento in dieci punti che parte dai dati della ricerca e sulla base di essi sviluppa una serie di raccomandazioni che sono state stilate in forma partecipata dagli imprenditori coinvolti. Il manifesto riassume i dieci punti chiave ai quali le imprese dovranno guardare per affrontare e non subire la Digital Transformation.

«Quello del manifesto è un passaggio fondamentale nell’ambito di questa attività di ricerca. Abbiamo voluto infatti fornire la nostra chiave di lettura di un fenomeno che sta mutando profondamente il contesto economico e sociale nel quale operiamo. Abbiamo la necessità di comprenderne le dinamiche e prendere posizione su temi centrali come il lavoro, la gestione del credito, il welfare, gli assetti regolamentari. Le scelte che si fanno in questo momento sono decisive per la competitività del Paese e, come giovani, ma soprattutto come imprenditori, abbiamo il dovere di essere protagonisti di questo cambiamento», ha commentato Alessandro Micheli, presidente dei Giovani Imprenditori di Confcommercio.

 


Elettrodomestici, al timone resta Zucchinali. «Regole su sottocosto e online per non far scomparire i negozi»

È nel segno della continuità il rinnovo delle cariche del Gruppo rivenditori di elettrodomestici e materiale elettrico dell’Ascom di Bergamo, che per il quinquennio 2017-21 ha confermato il presidente Armando Zucchinali e l’intero direttivo uscente, composto dal vicepresidente Mario Campana (Bergamo) e dai consiglieri Giancarlo Busi (Brembilla) e Antonio Campana (Bergamo).

Zucchinali vanta una lunga esperienza imprenditoriale e sindacale. Titolare dal 1971 della Korel di Bergamo, fondatore e presidente della General Service di Agrate, piattaforma di rivenditori che fa parte del gruppo Expert, è alla guida del Gruppo provinciale da vent’anni. È stato inoltre presidente nazionale di categoria in Ancra Confcommercio ed ha fatto parte del Consiglio direttivo dell’Ascom.

Conosce nel dettaglio la geografia del settore ed i numeri in costante diminuzione non lo stupiscono. Nell’ultimo anno (dati al 31 dicembre) le attività sono calate in tutta la provincia di Bergamo del 5,3%, passando da 320 a 303. La città ha perso il 4,8% (da 82 a 78). Nell’arco di cinque anni, invece, i negozi sono scesi dell’11,4% (nel 2012 erano in totale 342) e del 13,3% a Bergamo (erano 90). «Le chiusure sono all’ordine del giorno – commenta Zucchinali – e non si tratta solo di piccole realtà, ma anche di medie e grandi strutture con insegne conosciute. In un anno o poco più la Bergamasca ha detto addio a circa 10mila metri quadrati di superfici destinate alla vendita di elettrodomestici».

La causa principale è da rintracciare nel sottocosto, modalità promozionale ormai diventata una prassi per catturare clienti. «In questo modo la marginalità si annulla – rileva Zucchinali – ed è impossibile competere sui prezzi. Per contro crescono i costi di gestione, su tutti quello per il personale, e così i negozi tradizionali fanno sempre più fatica a resistere: non c’è più continuità aziendale ed i giovani non aprono più».

Se in passato i maxi sconti riguardavano prevalentemente tv, informatica e fotografia, il cosiddetto “bruno”, «ora anche il “bianco”, ossia lavatrici, frigoriferi, congelatori etc. – evidenzia il presidente – sta subendo un attacco fortissimo, riducendo ulteriormente il nostro campo d’azione. Quanto ai piccoli elettrodomestici, sono ormai prodotti banalizzati, che si comprano al supermercato o al mercato e quando si rompono si buttano».

Ulteriore “follia” del mercato, secondo Zucchinali, sono le offerte che abbinano al primo acquisto un secondo articolo in regalo, «così si annullano le vendite per dieci anni non di uno ma di due prodotti». E poi c’è la crescita dell’on line «che rappresenta ormai più del 20% delle vendite». «È un mondo in cui ognuno fa quello che vuole – dice dell’e-commerce – con prezzi che non trovano giustificazione se non nell’eventuale premio finale da parte dell’industria».

Le carte da giocare per i rivenditori tradizionali non sono molte. «I giovani ormai fanno tutto da sé, su Internet o cercando tra le offerte dei volantini. I negozi riescono ancora a far pesare, anche se relativamente – afferma Zucchinali -, servizi come la consegna, l’installazione e il ritiro dell’usato, mentre ha più possibilità chi effettua riparazioni e piccoli impianti, sconfinando verso l’attività artigianale». «Un cambio di rotta non si intravede a meno che venga introdotta una legislazione ferrea sulle vendite sottocosto e un controllo delle vendite on line. Diversamente la desertificazione proseguirà», conclude.


Auto, moto, elettrodomestici: a Bergamo consumi ancora con segno “più”

Cresce la spesa per i beni durevoli in Lombardia e a Bergamo lo fa con un ritmo ancora di più marcato. Nel 2016 – secondo la 23esima edizione dell’Osservatorio di Findomestic Banca, presentato oggi a Milano – le vendite di auto, moto, mobili ed elettrodomestici in Lombardia hanno raggiunto i 12,176 miliardi di euro, riportando un incremento del +6,9% sull’anno precedente, superiore alla media nazionale, che si è attestata a +6,4%.

In provincia di Bergamo i consumi complessivi hanno raggiunto quota 1,213 miliardi, per un aumento del 7,8%, secondo in regione solo al +8,5% di Brescia. L’aumento fa seguito a quello del 7,7% registrato lo scorso anno. Le spesa media delle famiglie Bergamasche sale da 2.438 euro a 2.615 (+7,3%)

auto-concessionari-autosalonisti-contrattiPer quanto riguarda i settori, la nostra provincia è la prima per incremento delle immatricolazioni di auto, passate in un anno da 26.905 a 32.340 (+20,2% – la media regionale è del 16,2%) che portano il parco circolante a poco più di 587mila vetture (+0,4%). Del totale immatricolato, 24.375 auto sono quelle acquistate dalle famiglie e 7.965 dalle aziende. La spesa per le auto nuove è cresciuta del 18,9%, contro il +20,6% di Brescia. Sopra la media nazionale (+14,1%) anche Lecco (+16,1%), Sondrio (+15,7%) e Milano (+15,1%).

Sul fronte delle auto usate sono invece Lecco e Mantova a far segnare l’incremento di spesa maggiore: +6% per un totale di 88 milioni di euro a Lecco e +5,5% a Mantova (119 milioni di euro). Bergamo è terza (301 milioni di euro per 46.406 passaggi di proprietà pari ad un +5,4%,). Seguono Como (+4,5%, 154 milioni di euro), Brescia (4,2%, 367 milioni di euro) e Milano (4%, 1.727 milioni di euro). Chiude la classifica Lodi con +2,7% e 54 milioni di euro di spesa.

Nei motoveicoli, Bergamo è seconda dopo Milano (17.412) per numero di vendite nel 2016 (4.471) e per parco circolante (151.146 mezzi). In quantità, la variazione rispetto all’anno precedente è +3,4%, mentre in valore l’incremento è del 7,1% (nel 2105 era +10,4%). A crescere di più nella spesa sono state Pavia (+17,9%), Varese (+12,9%), Brescia (+12,5%) e Mantova (+11,3%).

mobili - elettrodomesticiNegli elettrodomestici (grandi e piccoli), i consumi complessivi a Bergamo salgono dai 98 milioni del 2015 ai 104 del 2016 (+5,3%). Il maggiore incremento si è registrato a Cremona, con il 6,2%, mentre la media regionale è +5,7%.

Stabili le vendite nell’elettronica di consumo: 44 milioni sono stati spesi a Bergamo nel 2015, altrettanti nell’anno da poco concluso. Il dato è però migliore di quello dell’anno scorso, che aveva visto la nostra provincia perdere il 4,4%, per altro in un contesto regionale tutto negativo. Nel 2016 è Como ad aver messo a segno la migliore performance (+1,3%), il dato lombardo è +0,8%.

Si affievolisce la spinta per i mobili, con un +0,3% rispetto al +2,7% dello scorso anno. Che significa anche ultimo posto nella classifica regionale, dove l’incremento medio è stato del 2,1% (in linea con il dato nazionale, +2%). Per volumi venduti siamo comunque terzi (281 milioni di euro), dopo Milano e Brescia.

La voce più negativa del rapporto è quella dell’information technology (riferita ai consumi delle famiglie). La Lombardia ha perso il 2,7% e Bergamo, passando da 40 a 38 milioni di spesa, è scesa del 4,3% (dato peggiore rispetto al -2,3% del 2015).

Intanto la differenza di reddito pro capite nelle diverse province lombarde resta ancora molto alta. Milano è in testa (anche a livello nazionale) con 29.929 euro, seguita da Sondrio, seconda provincia con 19.881 euro. Bergamo è a centro classifica con 17.006 euro, inferiori sia alla media regionale (22.259 euro, sia a quella nazionale 18.658). Nell’ultimo anno, comunque la disponibilità dei bergamaschi è aumentata del 2,2%, come la media Lombarda (mentre in Italia l’incremento del reddito è stato del 2,4%). Il minor reddito pro capite è quello di Lodi, 14.386 euro (+2%).

consumi beni durevoli - tabella Osservatorio Findomestic su 2016

 


Professionisti Ict, in Confcommercio nasce l’associazione

Se è vero che i professionisti del digitale stanno aumentando rapidamente e che costituiscono l’ossatura della Trasformazione Digitale, è altrettanto vero che in Italia non hanno vita facile. Il mercato è una prateria in cui la concorrenza è sfrenata, complice soprattutto la corsa al ribasso delle tariffe che mina la qualità del lavoro. Inoltre le competenze non vengono spesso garantite e tanto meno certificate, così fare business diventa un’impresa.

Per tutelare la professionalità e incidere come categoria a livello di mercato e politico è nata Pro4Ict, Associazione nazionale dei professionisti Ict. «Ciò che serve è creare un contesto in cui ci si possa mettere in gioco a livello identitario e avere la forza per far sentire la propria voce – spiega la neo presidente Deborah Ghisolfi -. Pro4Ict nasce in seno a Confcommercio Imprese per l’Italia, del cui peso istituzionale potremo beneficiare fin da subito per partire con le attività rivolte ai nostri associati, e raccoglie il knowhow di Assintel, che rappresenta l’altra faccia della medaglia della rappresentanza dell’Ict a livello aziende».

logo pro4ict - confcommercio professioni digitali«Una nuova associazione nasce all’interno di Confcommercio – aggiunge Anna Rita Fioroni, responsabile professioni Confcommercio – e aderisce al nostro Coordinamento delle professioni per la rappresentanza e la tutela di professionisti nel settore Ict, la cui opera è strategica per la competitività delle imprese e del Sistema Paese. Insieme faremo un cammino di valorizzazione delle qualità e delle competenze per distinguersi nel mercato dell’innovazione».

Per seguire le attività, chiedere informazioni e partecipare alle discussioni è attiva la pagina Facebook Pro4Ict.