Dl Sostegni, dubbi sulla bozza. Meno tetti sui fatturati e platea di destinatari più ampia

Confcommercio auspica misure di ristoro adeguate alle esigenze di diversi settori, professioni comprese, mentre per la Fipe serve un calcolo delle perdite su base annua

“La priorità del decreto Sostegni deve essere quella di aiutare per prime le imprese che sono state costrette a chiudere per lungo tempo a causa delle misure di contenimento del Covid. Poi quelle che hanno potuto lavorare a ranghi ridotti e infine chi ha dovuto fare i conti con i cali dei fatturati. Se non si utilizza questo approccio progressivo, il rischio è quello di lasciar morire chi è in maggior difficoltà”. Così Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, commenta le prime bozze in circolazione del dl Sostegni che dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri giovedì.
Confcommercio ribadisce l’esigenza di misure di ristoro adeguate e tempestive perché il provvedimento è articolato e sono ancora molte le tessere del puzzle da ordinare. A pochi giorni dal via libera resta infatti il nodo del limite dei cinque milioni di euro di fatturato per ricevere il contributo da parte delle aziende in difficoltà. Anche qui la richiesta di cambiare passo innalzando il tetto è trasversale. La Lega fa sapere di star lavorando per alzare l’asticella: il rischio è infatti che molte imprese rimangano tagliate fuori, soprattutto nel settore del turismo.

Quanto ai criteri, “resta confermata la necessità di un meccanismo che superi il sistema dei codici Ateco, non introduca tetti rigidi di ricavi e faccia riferimento tanto alle perdite di fatturato annuo, valutandone con attenzione la misura percentuale da individuarsi come condizione di accesso, quanto ai costi fissi. Tutto ciò per rispondere in maniera equilibrata alle esigenze dei diversi settori e delle diverse dimensioni d’impresa, nonché del mondo delle professioni”.

Per la Fipe serve un calcolo su base annua

“Con il giusto superamento del sistema dei codici Ateco, – sottolinea la Fipe – la coperta è diventata corta e sono necessari correttivi puntuali, senza l’introduzione di limiti rigidi sui ricavi. Il calcolo sulle perdite va spalmato su un intero anno, altrimenti si creano iniquità e disparità che rischiano di aggiungere danno ai danni, in particolare alle attività caratterizzate da una forte componente di stagionalità del lavoro”.
“L’altro problema è quello dei tempi – conclude Fipe –. Mentre i nostri imprenditori continuano ad indebitarsi, i ristori attesi con i 32 miliardi di scostamento decisi a gennaio sono ancora in un cassetto. Aspettare ancora potrebbe significare la morte di altre migliaia di imprese”.

Più difficile trovare una sintesi sul capitolo fiscale: l’intenzione di abbonare le cartelle affidate fra il 2000 e il 2015 non convince gran parte del Pd e LeU. Tutti concordano sulla necessità di liberare il cosiddetto “magazzino” dai crediti considerati inesigibili e che impiegano inutilmente risorse dell’Agenzie della riscossione. Da una parte, sul tavolo della discussione ci sono le soglie da applicare: l’ipotesi più probabile è di fissare a 5mila euro il tetto e che costerebbe secondo i calcoli del Tesoro circa 2 miliardi.
Appare certo invece il rinnovato “congelamento” dei versamenti fiscali e delle rate della rottamazione fino a fine aprile, con contestuale ripresa delle notifiche delle nuove cartelle. Dieci degli oltre 30 miliardi del nuovo pacchetto andranno poi a sostenere più direttamente il mondo del lavoro.

Il blocco dei licenziamenti sarà prorogato a fine giugno mentre la cig Covid dovrebbe essere prolungata per tutto l’anno. Allo studio anche il finanziamento con 500 milioni del fondo occupazione e una risposta alle crisi aziendali, tema quest’ultimo su cui è in agenda un incontro tra i Ministeri dello Sviluppo economico e dell’Economia. Sempre legata alle ricadute dell’emergenza covid, in arrivo il rinnovo dei congedi parentali per chi ha figli in Dad (200 milioni), la possibilità di scegliere lo smart working sempre laddove vi siano necessità di cura, e i voucher baby sitter. Misure che puntano a garantire una maggiore equità nella suddivisione dei compiti familiari e quindi a sostenere la parità di genere.

Federalberghi chiede di cambiare il provvedimento

“La scorsa settimana, l’Istat ha certificato che nel 2020 il fatturato dei servizi ricettivi ha subito un crollo del 54,9%. Ci saremmo aspettati che il decreto sostegni tenesse conto di questa tragedia, che mette a rischio la sopravvivenza di più di 30mila imprese e 350mila lavoratori, ma purtroppo non troviamo conferma nelle bozze che stanno circolando e che ci auguriamo vengano al più presto corrette”. Così Federalberghi, secondo la quale “per realizzare l’intento perequativo che più volte era stato annunciato nei mesi scorsi” è necessario che “il calcolo dei ristori venga effettuato considerando il danno subito nell’intero periodo pandemico (marzo 2020 – febbraio 2021)”.

“Inoltre – conclude la Federazione degli albergatori – chiediamo che venga eliminato il tetto di 5 milioni di euro, che taglia fuori molte imprese alberghiere di dimensioni medie e grandi, e che il limite di 150.000 euro venga applicato per ogni singola struttura ricettiva (e non per impresa”.

Federmoda: “Il retail della moda al collasso”

Nonostante i saldi, l’andamento delle vendite di quest’inizio d’anno ha registrato un calo del 41,1% a gennaio e del 23,3% a febbraio, senza lasciare spazi a segnali di recupero rispetto alle enormi perdite del 2020. “Ancora non si comprende il motivo per cui un negozio di abbigliamento o calzature o pelletteria – afferma Renato Borghi, Presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio – debba essere ricompreso tra quelle poche attività commerciali costrette alla chiusura per decreto in fascia rossa, nonostante gli investimenti fatti in sicurezza e per il rispetto dei protocolli”.

“Al nostro settore – prosegue Borghi – serve un sostegno immediato, reale, congruo e proporzionato alle effettive perdite, soprattutto slegato dalla soglia minima del 33% del fatturato perché i prodotti di moda seguono, come noto, le tendenze delle stagioni stilistiche e quindi sono soggetti a rapidissima svalutazione. Abbiamo avuto a disposizione solo mezze stagioni per la vendita e fatto subito notevole ricorso a forti promozioni e a saldi, con l’unico obiettivo di contenere le perdite di fatturato. Una soluzione che ha certamente aiutato i negozi ad avere liquidità per pagare personale, fornitori, affitti, tasse e spese vive, ma ha contestualmente generato una drastica riduzione dei margini, mettendo così a rischio il modello di business e la stessa sopravvivenza dei fashion store. Per questa peculiarità, la soglia di perdita di fatturato coerente per il dettaglio moda risulta, pertanto, del 20%”.
“Resta indispensabile – conclude Borghi – un contributo sulle eccedenze di magazzino, sotto forma di credito d’imposta del 30% delle rimanenze come pure è indifferibile anche un intervento sull’abbattimento del costo dei canoni di locazione”.

Il commercio alle prese con la lotteria degli scontrini

In attesa di ricevere i nuovi sostegni, i commercianti si stanno intanto adeguando alla novità della lotteria degli scontrini: circa in 300mila, sul milione e mezzo che ha installato il registratore telematico, hanno inviato i dati per partecipare alla prima estrazione mensile, cui concorrono quasi  17 milioni di transazioni valide e circa 4 milioni di cittadini che hanno attivato il codice. E numeri sempre in crescita registra anche il Cashback su cui Pago Pa, ha spiegato il sottosegretario al Mef Cecilia Guerra, sta portando avanti un monitoraggio per arrivare alla correzione delle anomalie (come i micro-pagamenti a raffica segnalati ai distributori di carburanti per ‘scalare’ le classifiche e accaparrarsi i 1.500 euro di supercashback). Ma sarà possibile anche “valutare eventuali modifiche al programma stesso”. Nessuno però, ha assicurato il viceministro Laura Castelli dice “di farlo saltare”.


Emergenza Covid-19: le nuove regole in vigore fino al 15 gennaio

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo del decreto legge 5 gennaio 2021 n. 1 che dispone le nuove restrizioni in vigore dal 7 al 15 gennaio. Fino al 10 gennaio le misure saranno uguali per tutto il territorio nazionale, poi dall’11 gennaio si tornerà alla divisione per colori, ma con nuovi parametri e che riportano in area arancione Calabria, Emilia Romagna, Lombardia, Sicilia e Veneto. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, sulla base dei dati e delle indicazioni della Cabina di Regia dell’Istituto superiore di sanità, ha firmato in serata una nuova ordinanza che andrà in vigore a partire da domenica 10 gennaio fino a venerdì 15 gennaio, data in cui scadrà il Dpcm. 

Fino al 15 gennaio, quindi, bar e ristoranti saranno chiusi (consentita la consegna a domicilio e l’asporto fino alle ore 22.00), le scuole superiori proseguiranno con la didattica a distanza e sarà vietato uscire dal proprio Comune, ad eccezione degli spostamenti da quelli con popolazione fino a 5mila abitanti per un raggio di 30 chilometri dai confini. A far scattare la zona arancione per le 5 regioni sono state le modifiche introdotte con il decreto del 5 gennaio, che hanno abbassato la soglia dell’Rt che determina il posizionamento nelle fasce: con Rt superiore a 1,25 anche nel valore minimo e rischio moderato si passa in zona rossa, con Rt ad 1 si va in arancione.

 

Nuovo Dpcm in arrivo

Nel nuovo Dpcm con le misure antipandemiche è prevista, secondo quanto apprende l’Ansa, la conferma delle attuali misure mentre si stanno valutando nuove restrizioni, anche se al momento non sembrerebbero essere già state definite le nuove misure. Tradotto: prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 luglio, mondiali di sci a Cortina a porte chiuse, niente riapertura degli impianti sciistici. Gli esperti del Comitato tecnico scientifico ribadiscono la loro contrarietà all’allentamento delle misure restrittive e, anzi, invitano il governo in vista del nuovo Dpcm che entrerà in vigore dopo il 15 gennaio a mantenere i provvedimenti emergenziali per altri sei mesi.

L’impianto del nuovo provvedimento è comunque definito: verranno confermati il divieto di spostamento tra le regioni, anche quelle gialle, il coprifuoco dalle 22 alle 5, l’apertura dei ristoranti fino alle 18 nelle zone gialle, la regola che consente una volta al giorno a massimo due persone di andare a trovare parenti e amici. Con il Dpcm sarà poi introdotto il divieto di vendita d’asporto per i bar a partire dalle 18 (anche se nelle ultime ore si sa strada l’ipotesi di vietare solo la vendita di bevande) per evitare gli assembramenti e, soprattutto, l’intervento sugli indici di rischio, per facilitare l’ingresso in zona arancione delle regioni a rischio alto. Una misura che si accompagna all’abbassamento della soglia dell’Rt: con 1 si va automaticamente in zona arancione, con 1,25 in zona rossa. Modifiche che porteranno mezza Italia in arancione e una parte in rosso: ad oggi sono 12 tra regioni e province autonome in questa situazione, con Lombardia e Emilia Romagna nelle prime posizioni.

Fino al 15 gennaio

Fino al 15 gennaio 2021, nelle regioni in cui si applicano le misure di cui all’articolo 3 del Dpcm 3 dicembre (cd zona rossa), è altresì consentito lo spostamento, in ambito comunale, una sola volta al giorno, tra le ore 5:00 e le ore 22:00, verso una sola abitazione privata, nel limite di due persone, ulteriori rispetto a quelle già conviventi in tale abitazione, e ad esclusione dei minori di anni 14 sui quali tali persone esercitino la potestà genitoriale, e alle persone disabili o non autosufficienti che con queste convivono. Per i comuni con popolazione non superiore a 5000 abitanti lo spostamento è consentito anche per una distanza non superiore a 30 chilometri dai relativi confini, con esclusione in ogni caso degli spostamenti verso i capoluoghi di provincia.

Vediamo nel dettaglio cosa cambia per il mondo della ristorazione e del commercio al dettaglio.

 

BAR E RISTORANTI

MISURE ZONA GIALLA “RAFFORZATA” (7-8 GENNAIO)

  • Le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) sono consentite dalle ore 5.00 fino alle 18.00.
  • Dopo le ore 18,00 è vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico.
  • Nessuna restrizione per la ristorazione con consegna a domicilio.
  • Ristorazione con asporto consentita fino alle ore 22.00 con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze.

MISURE ZONE ARANCIONI (9-15 GENNAIO)

  • Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie).
  • Nessuna restrizione per la ristorazione con consegna a domicilio.
  • Ristorazione con asporto consentita fino alle ore 22.00.

 

 

ATTIVITÀ COMMERCIALI AL DETTAGLIO

MISURE ZONA GIALLA “RAFFORZATA “ (7-8 GENNAIO)

  • Negozi aperti

MISURE ZONE ARANCIONI (9-15 GENNAIO)

  • Nei giorni festivi e prefestivi sono chiusi gli esercizi commerciali presenti all’interno dei mercati e dei centri commerciali, a eccezione delle farmacie, parafarmacie, presidi sanitari, punti vendita di generi alimentari, di prodotti agricoli e florovivaistici, tabacchi, edicole.

 

 

 


Doccia gelata per bar e ristoranti. Il nuovo decreto è inaccettabile

Il decreto legge entrato in vigore il 7 gennaio è inaccettabile. Non solo perché rappresenta l’ennesima doccia gelata per bar e ristoranti che saranno costretti a chiudere il prossimo fine settimana quando invece avrebbero una forte necessità di poter lavorare. Questo provvedimento toglie speranza e rafforza quel senso di mancanza di prospettiva che il governo, più della pandemia, ha contribuito a diffondere. Ricordiamo la pomposa conferenza stampa nella quale era stato richiesto un grande sacrificio agli italiani e soprattutto ai gestori di bar e ristoranti, oltre che dei commercianti di generi non alimentari, costretti a chiudere nel periodo delle feste con l’auspicio di ripartire dopo l’Epifania.

Il colore arancione assegnato a tutta Italia obbligherà bar e ristoranti alla chiusura e a gestire le disdette delle prenotazioni già ricevute. Non è pensabile che si possano aprire e chiudere attività di impresa come se fossero interruttori. Come si può pensare di muovere e fermare lavoratori, comprare e gestire derrate alimentari senza programmazione? Come gestire imprese senza prospettive? Emerge scarsa competenza e molta approssimazione su questioni delicate. Il risultato è che in questa giungla di decreti e provvedimenti i cittadini e le imprese non ci capiscono più nulla, mentre con questo ennesimo decreto la maggior parte dei ristoranti sceglierà comunque di restare chiusa e lo farà in attesa di conoscere quali prospettive il Governo voglia riconoscere loro.

Il DPCM del 3 dicembre si era dato una proiezione di circa un mese e mezzo, fino al 15 gennaio, per capire come si sarebbe evoluta la pandemia chiedendo agli operatori di pazientare in attesa che i dati epidemiologici avessero riportato le diverse aree geografiche in area gialla. Così è stato per la Lombardia e anche per Bergamo i cui indici, suffragati anche da una ricerca dell’Università degli Studi di Bergamo, avevano evidenziato come nella seconda ondata i numeri della pandemia avrebbero giustificato misure meno restrittive.

Eppure Bergamo ha pazientato prima, con la stragrande maggioranza dei commercianti, l’arrivo della zona “arancione” avvenuta il 27 novembre, poi, con i bar e ristoranti, la tanto agognata zona “gialla” il 13 dicembre. Quel sistema che garantiva quel poco di linfa vitale alle imprese commerciali è durato poco, fino all’antivigilia di Natale. Eppure da quel 3 dicembre, data dell’ultimo DPCM, la situazione sanitaria è nettamente migliorata almeno per quanto riguarda il nostro territorio.

Il Governo italiano ha lanciato prima come novità e difeso pubblicamente poi questa sua impostazione “a colori” che, diciamocelo, ha fatto sorridere l’Europa e mosso l’ironia delle comunità dei social. Peccato che se proprio il Governo ne ha sancito il successo oggi lo sta già sconfessando. Se il Decreto legge del 18 dicembre, quello per il Natale, è stato giustificato dall’Esecutivo dall’esigenza di evitare spostamenti e assembramenti nel periodo natalizio, posizione criticabile perché i pranzi e cene sono state fatte comunque nelle case con rischi anche maggiori rispetto ai ristoranti, l’ultimo decreto legge, quello del 5 gennaio, definito come “ponte” verso il nuovo DPCM, non ha nemmeno una giustificazione plausibile. Noi riteniamo che sia il frutto di quel retaggio mentale di parte del Governo che ritiene siano i bar e ristoranti i luoghi del contagio mentre per molti imprenditori e cittadini rappresenti ormai un pericoloso “accanimento terapeutico” verso la categoria.

Più grave ancora è che il Governo abbia già pronto il cambio di criteri o degli indici per far precipitare interi territori in aree a maggiori restrizioni, arancioni e rosse. Come a dire che quando i sacrifici di pochi hanno portato miglioramenti per tutti allora si cambiano nuovamente le regole. Sempre e solo per quelli. Un “gioco dell’oca” nel quale qualcuno torna sempre indietro. Come è pensabile lavorare in questo modo? Si, perché bar e ristoranti non sono solo un servizio per i cittadini ma un lavoro per molti.

Le ordinanze del Ministro della salute che richiamano al primo punto gli articoli della costituzione sembrano cozzare con quanto sta avvenendo a danno di un intera categoria di cittadini e lavoratori. Questi provvedimenti, che si basano su presunzioni di violazione della legge e sull’incapacità dello Stato o di sue parti di far rispettare la legge e quindi le misure stabilite per mantenere il distanziamento, minano il diritto al lavoro di milioni di addetti, titolari e dipendenti delle imprese commerciali e in particolare del settore della ristorazione. Solo nella nostra provincia il settore conta quasi 5.000 imprese e circa 15.000 occupati.

Allora è giusto ricordare quanto recita la nostra Costituzione nei suoi primi quattro articoli “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…..La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità….Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge….La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Ebbene a noi non sembra che in un Paese nel quale tutti i settori produttivi possano continuare a lavorare nel rispetto della legge questo non possa avvenire per alcuni. Ci umilia sentir parlare di misure necessarie per evitare nuovi lockdown perché quello che stiamo subendo è proprio questo. Non lo accettiamo e non ci rassegniamo nella denuncia di quanto sta avvenendo alle spalle di molta brava gente.


Sangalli a Cernobbio: «Per la crescita una partita ancora tutta da giocare»

I segnali di ripresa che dovevano concretizzarsi lo hanno fatto solo in parte: è mancato il cambio di passo. In Europa, e soprattutto in Italia, la partita della crescita è ancora tutta da giocare. Così il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, nella conferenza stampa che aperto i lavori del Forum organizzato come ogni anno dalla Confederazione a Cernobbio. «Parliamoci chiaro – ha sottolineato Sangalli – va bene il cortisone di Draghi, e meno male che c’è, ma abbiamo bisogno di terapie specifiche che dipendono solo da noi».

Confcommercio, tuttavia, vuole conservare una quota di cauto ottimismo, «perché abbiamo tutte le carte per trasformare nei prossimi mesi questa ripresa in una crescita concreta e diffusa» e crede possibile «uno scatto in avanti lungo la strada delle riforme, del taglio alla spesa pubblica improduttiva, della riduzione degli eccessi di burocrazia, della riduzione delle imposte: sono queste le condizioni del nostro moderato ottimismo che ci portano a prevedere un Pil a +1,6% per il 2016».

Ma in questo senso è essenziale, ha detto Sangalli, che «il governo affronti e risolva i problemi strutturali dell’Italia, che si acuiscono a causa dei ritardi e dei divari regionali del nostro Paese. Ci sono aree dell’Italia che non crescono perché scontano da troppi anni due deficit, legalità e infrastrutture, e due eccessi, burocrazia e carico fiscale». Il problema, comunque è dell’intero sistema-Paese che «sconta una mancanza di competitività e una perdita di produttività complessiva. Gli eccessi e i deficit strutturali del nostro Paese – ha detto ancora il presidente di Confcommercio – costano a ciascun cittadino 3.800 euro l’anno».

Il Governo ha certo fatto «passi importanti nella giusta direzione» (Sangalli ha citato la riforma della pubblica amministrazione, l’impegno di ridurre i carichi burocratici sulle imprese, alcune misure contenute nel Jobs Act e nella riforma della scuola e la politica fiscale distensiva), ma non basta. Perché «la spesa pubblica corrente nel 2015 si è ridotta soltanto per effetto del minor costo per interessi» e perché negli ultimi venti anni la pressione fiscale è passata dal 40,3% al 43,3%. «Ridurre il carico fiscale su imprese e famiglie – ha concluso Sangalli – è e resta la priorità. Meno spesa pubblica e meno tasse rimane la ricetta per un Paese più dinamico e più equo». Mentre sul versante della crescita occorre «sfruttare l’enorme potenzialità del turismo», che è «una potentissima leva in grado di generare nuova occupazione e maggiore ricchezza».