In tazza o nel piatto, in concorso le idee al caffè

espressoUn chicco, mille possibilità. Il caffè non è, infatti, solo il “cuore” della bevanda più amata dagli italiani ma può essere ingrediente e “tocco” di molte altre preparazioni.

Per valorizzarne appieno la versatilità Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, in collaborazione con Host e Ica (Italian Coffee Association) promuove un concorso dedicato non solo ai baristi, ma anche ai pasticceri e, soprattutto, ai ristoratori più estrosi del Bel Paese che potranno cimentarsi in originali creazioni per essere premiati in occasione di Host 2017, la fiera internazionale dedicata al settore dell’ospitalità in programma a Milano dal 20 al 24 ottobre.

La presenza della Fipe alla manifestazione è ispirata proprio la volontà di promuovere, attraverso il caffè, la qualità del servizio e delle proposte lungo tutta la filiera. «Con il concorso “Fantasie al caffè” la nostra Federazione – ricorda il presidente Lino Enrico Stoppani – rafforza la propria collaborazione con Ica e lavora per promuovere l’attività di quei gestori e operatori che puntano alla cura del dettaglio ed alla valorizzazione del rapporto con la clientela, con proposte sempre nuove che abbiano come fil rouge l’attenzione alla qualità, dalla selezione degli ingredienti alla preparazione fino ad arrivare alle modalità di servizio. La nostra presenza a Host intende valorizzare i pubblici esercizi come parte fondamentale di una filiera complessa per la quale è stringente un ripensamento dei rapporti a favore di una sempre maggiore attenzione alla clientela e alle sue esigenze di qualità nel prodotto e nel servizio».

Il concorso “Fantasie al caffè”, aperto a tutti gli operatori dei pubblici esercizi e agli studenti degli istituti per l’enogastronomia, vuole premiare le idee di coloro che ogni giorno esprimono la loro creatività per sorprendere il cliente con proposte capaci di suscitare curiosità, con nuovi aromi ottenuti dalla combinazione delle spezie con il caffè, utilizzato non solo come bevanda ma anche come ingrediente per creare nuove ricette, dolci o salate, al bar come in cucina.

Il contest si svolgerà on line fino al prossimo 8 ottobre. Le foto delle proposte inviate saranno valutate da una giuria di esperti che esprimeranno il loro giudizio sulla base di tre criteri: originalità della proposta, replicabilità della ricetta, efficacia della didascalia di accompagnamento.

La premiazione avverrà martedì 24 ottobre nello stand di Fipe in Host e al primo classificato sarà riservata la partecipazione gratuita ad un corso di alta formazione.

Qui il regolamento completo e il modulo per l’iscrizione.


Ristorazione collettiva, «oggi chiunque può aprire. Servono regole»

Il dibattito si è acceso il caso delle “schiscette a scuola” ma il tema della ristorazione collettiva è anche al centro di un disegno di legge, il 2037, che vuol mettere ordine in materia. A tal proposito la Fipe – Federazione italiana pubblici esercizi ha le idee chiare, fornite nel corso di una recente audizione in Senato: «Si tratta di un fenomeno sociale che deve essere regolamentato al più presto a tutela della salute pubblica e della sicurezza dei 5 milioni di persone che ogni giorno in Italia consumano pasti nelle mense».

«Troppi episodi, manifestatisi in particolare nel Sud Italia – dichiara Marcello Fiore, direttore generale di Fipe -, hanno denunciato, grazie all’impegno dei Nas e del Ministero della Salute, l’inadeguatezza di molte strutture di ristorazione scolastica. Fatti che rendono prioritaria la regolamentazione di un settore in cui spesso si opera senza essere in possesso di specifiche competenze». «Sembrerà incredibile – prosegue Fiore – ma di fatto al giorno d’oggi chiunque può aprire un’azienda di ristorazione collettiva, essendo decaduto anche l’obbligo di possedere i requisiti professionali previsti per aprire un semplice bar. Al momento è possibile preparare e distribuire, magari da un centro cottura, decine di migliaia di pasti al giorno senza dover dimostrare di avere competenze specifiche, esperienza nel settore, adeguati titoli di studio o la disponibilità di specifiche professionalità».

Uno scenario che, a fronte delle garanzie presenti nelle procedure di gara per gli appalti nel settore pubblico, riguarda soprattutto il settore privato: «Un ambito – precisa Fiore – che interessa anche scuole e strutture di ricovero, ove non vi è al momento alcuna regola per la scelta dell’operatore al quale affidare la salute di studenti e pazienti».

Da qui la richiesta di Fipe di prevedere un titolo abilitativo per l’esercizio dell’attività (Scia) che può essere rilasciato solo al sussistere di determinate condizioni, quali la presenza di un dipendente o consulente, preposto alla gestione tecnica, con uno specifico diploma di laurea in Scienza e Tecnologia della Ristorazione, Medicina Veterinaria o Medicina e Chirurgia specializzato in Igiene e medicina preventiva, con almeno tre anni di esperienza nel settore.

Fipe propone inoltre l’adozione di disposizioni quali: l’obbligo per i committenti, pena la nullità del contratto, di valutare il costo del lavoro secondo le tabelle delle retribuzioni del settore elaborate dal Ministero del Lavoro; l’obbligo di rispettare il Ccnl di settore sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e datoriali; obbligo di assicurare l’idoneità dei locali nei quali viene effettuata l’attività di ristorazione ai fini igienico-sanitari e della sicurezza sul lavoro; la soppressione del ticket licenziamenti in caso di cambio di appalto.

Sul tema della refezione scolastica, Fipe chiede poi di intervenire in via legislativa sul problema dei cibi portati da casa a scuola. «L’attenzione alle problematiche igienico-sanitarie, alle difficoltà di conservare i cibi per alcune ore a temperatura controllata, le questioni connesse al cosiddetto “taglio alimenti” inducono a vietare tale costume – dichiara Fiore -. Al contrario bisognerebbe incidere sul costo dei pasti che alimenti Bio, Dop, Igp e a chilometro zero fanno inevitabilmente lievitare».

L’ultima nota di Fipe riguarda la questione dei pagamenti: «A fronte dei sistematici ritardi nei pagamenti da parte dei committenti pubblici, non si ritiene sufficiente la deroga per il termine di pagamento prevista nell’art. 7, ma serve la totale applicazione della disciplina generale sui termini di pagamento».

Lo scenario della ristorazione collettiva in Italia

La ristorazione collettiva è un comparto importante dal punto di vista economico e occupazionale, un mercato da 6,6 miliardi di euro (2,8 miliardi per gestione diretta e 3,8 miliardi di appaltato). 1.400 le imprese operanti nel settore per 73mila lavoratori dipendenti. Nelle aziende la percentuale di appalto supera il 90%. Si tratta di un fenomeno sociale di grande rilevanza: ogni giorno 5 milioni di persone si nutrono grazie alla ristorazione collettiva. Per maggiori approfondimenti si rimanda alla scheda allegata al comunicato.


L’home restaurant si fa largo anche a Bergamo. «Ma servono regole»

immagini fornite da WelcHome Restaurant

 

Ormai da anni la sharing economy sta entrando nella quotidianità di sempre più persone. È una tendenza che coinvolge molti settori e in grado di offrire diverse tipologie di servizi. A volte è il prezzo del servizio stesso, altre volte invece è proprio l’originalità della proposta ad attirare chi si approccia a questo mondo da fruitore. La sharing economy si sta sempre più affermando come un “nuovo modo” di usare, di consumare, di operare. Un modo molto vicino ai recenti stili di vita, che utilizza gli strumenti delle nuove generazioni, diretto e facilmente comprensibile, immediatamente fruibile, per l’appunto… social!

Anche nel mondo del cibo qualcosa è cambiato. Il cibo e tutto quello che ruota attorno al mondo dei fornelli è sempre più social, sempre più ricercato e condiviso. È cambiato l’approccio nei confronti dello stesso, è cambiato il modo in cui si consuma. Il buon cibo è diventato interesse di molti e, probabilmente, prima di questi ultimi anni, tra le cose più fotografate e celebrate. Il bisogno di condividere, l’essere tornati a dare questo valore simbolico al cibo, probabilmente ha stimolato la diffusione e la ricerca di questo tipo di fruizione. Ecco che case private diventano Home Restaurant, luoghi in cui consumare informalmente del cibo preparato dai proprietari, in compagnia di persone sconosciute, oppure con gli stessi “homer”. La logica è quella di condividere le spese, consumando cibo preparato ad hoc, in compagnia e in totale condivisione e conoscenza reciproca. Il metodo è molto simile a quello di un’informale cena con amici, compresa la caratteristica di occasionalità dell’attività. Ma dal momento che l’home restaurant si rivolge a persone spesso non conosciute, non sono ben chiari e compresi quali possano essere i limiti di questa attività, per evitare di concorrere in maniera sleale a quelle attività di somministrazione, in primis i ristoranti, spesso schiacciati tra burocrazia, normative da rispettare e fisco. L’home restaurant manca completamente di regolamento anche per quel che riguarda la sicurezza alimentare, dal momento che non sono semplici cene tra amici, ma vi è la chiara possibilità di creare dei veri e propri micro business.

A Chiuduno l’iniziativa di tre amici: «Per noi è divertimento e condivisione»

WelcHome Restaurant - Chiuduno (4)Anche in Bergamasca si possono trovare diverse occasioni per una cena in casa. A Chiuduno, da un piccolo gruppo di amici è nato WelcHome Restaurant (welchomerestaurant.wordpress.com), che non manca di considerare i problemi che questo buco legislativo crea a tutti coloro che volessero intraprendere questa attività, ma anche a chi svolge la tradizionale attività ristorativa. «Io – dice Giancarlo, uno dei tre fondatori – ho tentato più volte di capire come praticare questa attività, ho cercato di informarmi, ma ovviamente le istituzioni non mi sanno dare delle risposte perché in effetti delle risposte non ci sono». L’home restaurant è una pratica che per la legislazione italiana non esiste, nonostante ormai da tempo si sia diffusa e stia diventando sempre più popolare. «Sono molti quelli che mi contattano chiedendo come si fa – racconta ancora Giancarlo – questo vuol dire che c’è interesse a riguardo».

Per i tre ragazzi di Chiuduno questa è una grande passione che non fa pensare ad alcuna intenzione di fare business eludendo la normativa. Infatti organizzano, quando riescono, al massimo una cena al mese e tutto è pubblicizzato sul loro sito web e sulla loro pagina Facebook. Giancarlo, Barbara e Daniele hanno altre occupazioni: commerciante il primo, educatrice all’asilo nido la seconda e operaio il terzo. «Ci conosciamo da alcuni anni – racconta Barbara – e abbiamo sempre fatto delle cene con gli amici, siamo un numeroso gruppo. Come in tutti i gruppi, noi tre eravamo quelli appassionati di cibo e cucina e…è andata a finire che cucinavamo sempre noi». Ma anche la location non è banale, «io abito qui e questo spazio l’ho sempre messo a disposizione dei miei amici – spiega ancora Giancarlo -. I cuochi c’erano, lo spazio anche, ecco che amici, amici di amici, hanno iniziato a chiederci di organizzare delle cene, proponendocele anche loro stessi: dal compleanno da festeggiare tra amici a quello con i parenti, alle cene a tema per passare una serata in compagnia, etc. e il gioco è fatto. Barbara aveva sentito parlare di questa nuova cosa, gli home restaurant e quindi perché non provarci? Noi organizziamo anche una festa in paese e ci piace, appunto, darci da fare: goliardicamente abbiamo iniziato a pensare ad alcune proposte e siamo entrati a far parte di alcune piattaforme di social eating».

Da qui la ricerca delle materie prime a km zero, quasi tutti gli ingredienti (nei limiti del possibile) utilizzati sono prodotti a Chiuduno e dintorni. «Il tutto è più uno sfizio nostro – racconta ancora Barbara –, gli amici ci facevano i complimenti e, attraverso la condivisione con estranei, ci siamo messi alla prova. Ovviamente i menù e le cene rispecchiano molto i nostri gusti: cuciniamo quello che ci piace, dal filetto di maiale in crosta di pancetta con i profumi, alle pere caramellate al miele, fino alle tagliatelle al cacao fatte in casa». «È una vera esperienza sociale – conclude Giancarlo –, per noi divertimento e condivisione. Non è un ristorante e non deve esserlo. A noi piacerebbe che questa pratica venisse considerata, riconosciuta e di conseguenza normata e tutelata». Dalla sua definizione e regolamentazione probabilmente inizia la tutela stessa anche di questa pratica che, non avendo definizione, potrebbe essere facilmente attaccata nonché snaturata per fini diversi da quelli per cui è nata.

La Fipe: «Attività fuori da ogni controllo, un’escalation da contrastare»

Chi non vede di buon occhio gli home restaurant sono i ristoratori e le associazioni di categoria che, per tutelare le attività, chiedono a gran voce che si legiferi in merito. La Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, lo scorso 19 gennaio ha presentato in Parlamento un’audizione chiedendo così la regolamentazione degli home restaurant. L’associazione denuncia «l’enorme diffusione, anche attraverso canali on line e social network» di queste attività e il rischio di costruire un canale alternativo a quello della ristorazione, ma completamente fuori controllo. L’allarme è per la possibilità che l’abusivismo finisca col prevalere sull’attività occasionale e saltuaria, generando così dei meccanismi di concorrenza sleale. «Infatti, si è notato – riferisce l’associazione – che mentre nel passato esistevano pochi operatori che effettuavano tale attività nell’ambito della cerchia delle proprie conoscenze, ora l’abusivismo si è “ingegnerizzato” con la nascita di associazioni o enti similari che raggruppano tali operatori».

Non solo, l’attività di somministrazione delle bevande è soggetta a numerosi e complessi adempimenti, a tutela della salute pubblica, ma anche ad esempio per il controllo rispetto alla somministrazione di bevande alcoliche. Per questo motivo, ad ora, la Fipe chiede che le autorità contrastino gli home restaurant, dal momento che in molti casi sono diventate delle vere e proprie attività, completamente fuori controllo. In realtà, il Ministero dello Sviluppo Economico ha fornito una parziale risposta all’assenza di regolamenti, con la risoluzione n. 50481 del 2015, affermando che la disciplina commerciale applicabile agli home restaurant è quelle relativa alle attività di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico sia per quanto riguarda il possesso dei requisiti necessari (morali e professionali) sia per l’obbligo di presentazione di una Scia per l’inizio dell’attività, ma nulla di più.

Senza dimenticare la tutela dei consumatori…

Per concludere, entrambe le parti ritengono fondamentale un regolamento. È necessario al fine di tutelare innanzitutto il consumatore per quanto riguarda la sicurezza alimentare, dal momento che le tossinfezioni alimentari sono di natura prevalentemente domestica. Inoltre risulta necessario al fine di tutelare le attività ristorative, sottoposte a rigidi controlli e norme severe, onere che ha un peso economico e non solo. Infine, una precisa regolamentazione risulta necessaria al fine di tutelare anche chi si dedica con passione e dedizione a questa attività occasionale, avendo come fine ultimo il creare una vera esperienza sociale e conviviale, in cerchie più o meno ristrette, con una vera condivisione di esperienze, tempo e spese, senza che diventi un business, rimanendo così un’attività profondamente diversa da quella ristorativa. Probabilmente qualsiasi divieto potrebbe stimolare la diffusione segreta degli home restaurant, completamente fuori controllo, con la minaccia di seri rischi in materia di sicurezza alimentare pubblica, nonché di concorrenza sleale a chi, giorno dopo giorno, si adopera per il rispetto delle normative in materia fiscale e di sicurezza alimentare.

 

 


Bambini al ristorante, «il divieto è legittimo»

cibo-bambini-coloriL’ultimo in ordine di tempo a salire alla ribalta della cronaca è stato un ristoratore romano – titolare de “La Fraschetta del Pesce” in zona Casalbertone – che con un eloquente cartello all’entrata dichiara: «A causa di episodi spiacevoli dovuti alla mancanza di educazione, in questo locale non è gradita la presenza di bambini minori di 5 anni, nonché l’ingresso di passeggini e/o seggioloni per motivi di spazio».

Il tema dei bambini al ristorante e delle limitazioni al loro accesso si ripresenta ciclicamente (qualche anno fa, ad esempio, la discussione era partita per il divieto ai pargoli dopo le 21 di una pizzeria nel bresciano) e così la Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi del sistema Confcommercio, ha colto l’occasione per fare il punto sulla possibilità di un titolare di pubblico esercizio di selezionare la clientela.

La fonte normativa è nell’articolo 187 del regolamento di esecuzione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, che risale al 1940 e che recita: «Salvo quanto dispongono gli articoli 689 e 691 del codice penale (divieto di servire alcoolici a minori ed ubriachi), gli esercenti non possono, senza legittimo motivo, rifiutare le prestazioni a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo».

«Per fornire una interpretazione esatta occorre identificare i legittimi motivi che possono consentire ad un esercente di rifiutare la prestazione – spiega la Federazione -. Sicuramente non possono essere addotte motivazioni di carattere sessuale, politico, religioso e razziale, in quanto in contrasto con disposizioni di ordine pubblico. Ciò premesso, si deve ritenere come, in assenza di una specifica giurisprudenza, eventuali limitazioni (ad esempio sul modo di vestire) debbano essere, in ogni caso, oggettive e predeterminate e portate preventivamente a conoscenza della clientela».

Sono pertanto ritenute legittime prescrizioni concernenti l’abbigliamento (richiesta di giacca e cravatta, ad esempio) o l’obbligo di prenotazione del tavolo.

Per quanto riguarda l’accesso di minori (ferme restando le limitazioni connesse ad una eventuale attività in contrasto con la loro presenza ed imposte per legge o per atto della Pubblica Amministrazione, come topless bar, lap dance), la Federazione ritiene «legittimo l’operato di chi nel proprio locale limita l’accesso di bambini che si possono, con tutte le probabilità, rivelare fastidiosi ed indisponenti per il resto della clientela anch’essa meritevole di tutela, sulla base dell’assioma per il quale il proprio diritto finisce dove inizia quello dell’altro». «Obiettivamente esistono, inoltre, motivazioni connesse alla sicurezza degli stessi bambini che consigliano di evitarne la presenza in locali dove vi sono apparecchiature o altre occasioni di pericolo che sfuggono alla sorveglianza dei genitori».


Spuntini e aperitivi, da oggi anche in macelleria e pescheria

Via libera al consumo di carne e pesce all’interno dei piccoli esercizi commerciali. È quanto stabilisce una norma voluta dal consigliere regionale della Lega Nord Pietro Foroni contenuta all’interno del Legge di semplificazione votata ieri in aula dal Consiglio Regionale lombardo. «Il provvedimento consentirà a macellerie e pescherie di vendere i propri prodotti di gastronomia destinati al consumo immediato presso i locali dell’esercizio – spiega Foroni – come già avviene per altre categorie artigianali come pizzerie da asporto, gelaterie e pasticcerie. Una facoltà che sarà concessa solo ai piccoli esercizi a condizione che siano utilizzate stoviglie e posate a perdere su piani temporanei di appoggio, senza alcun tipo di servizio ai tavoli per i clienti. In questo modo si vuole evitare ogni tipo di concorrenza sleale nei confronti di bar e ristoranti. Si tratta di una disposizione pensata per aiutare alcune categorie in difficoltà e al contempo per promuovere e incentivare la cultura del cibo di qualità, che rimane uno dei capisaldi della nostra tradizione gastronomica. Inoltre è stato approvato un Ordine del giorno che impegna la Giunta regionale a prevedere una forte semplificazione in materia di pubblici esercizi al fine di armonizzare i regolamenti in essere e semplificando la normativa».

Precisazioni che non soddisfano Lino Stoppani, presidente della Fipe, la federazione dei pubblici esercizi, che aveva già manifestato il proprio netto dissenso quando il provvedimento era in fase di discussione e che ora ribadisce: «È una legge tecnicamente sbagliata, incoerente e ingiusta. Perché crea un mercato parallelo di concorrenza sleale. La ristorazione non può essere considerata un plus e valorizzata solo nei convegni. Se il modello del turismo italiano deve diventare solo low cost dove tutti possono mangiare senza tener conto della qualità, allora questa legge è perfetta. Così però si dequalifica un mercato».