Grigliate, ecco che pesci pigliare

Dici grigliata ed è subito festa, estate, famiglia e amici. In riva al lago o nel relax di una giornata in montagna, sotto l’ombra di un albero e la sensazione del prato fresco sotto i piedi, la grigliata è la ricetta ideale per “colorare” le vacanze o il tempo libero.

I pregi di questo piatto sono tanti. È il metodo forse più tradizionale di cottura e – a patto di seguire le regole basilari – mantiene intatti il sapore e le proprietà nutritive del cibo. E poi è un modo semplice e veloce di preparare le pietanze. Si cucina e si mangia in compagnia e si mettono d’accordo gusti diversi perché si possono usare più varietà per un’unica preparazione.

In genere si tende a usare la carne. Cuocere una costina è più semplice che cucinare alla griglia una sardina e il rischio bruciatura meno probabile. Ma la cottura alla griglia, in realtà, non è molto difficile ed è perfetta per molti tipi di pesce. L’effetto chic, poi, è assicurato. Secondo gli esperti, per realizzare una grigliata di pesce a prova di cuoco ed evitare di ritrovarsi con pesci secchi, bruciacchiati e inermi sotto una fetta di limone, basta seguire alcuni accorgimenti: scegliere bene il pesce, cuocerlo poco, e cercare abbinamenti nuovi.

QUALI PESCI SCEGLIERE

Non c’è una regola precisa. La scelta varia a seconda dei gusti. In linea di massima vanno preferiti pesci dalla carne compatta e grassa, come salmone, sarde, trota, sgombro e simili, ma vanno benissimo anche rombo, triglie, seppioline, orate e molti crostacei, come gamberoni o scampi. Tutto il pesce azzurro dà ottimi risultati: sarde, acciughe, aringhe, sgombri e tonnetti. Anche i crostacei non possono mancare: gamberi, gamberoni, scampi, astici, aragoste, granseole, granchi, cicale.

Non hanno bisogno di niente, cottura rapida e via. Per i tranci, vanno benissimo il pesce spada, il tonno (scegliere bistecche spesse), salmone e ricciola. Anche i molluschi sono adatti ma solo se si è un po’ esperti perché tendono a diventare gommosi. Meglio inoltre sceglierli di piccole dimensioni, così pure se si tratta di seppie, polpi e totani. Basta spennellarli con poco olio e fare cuocere per tempi brevissimi.

Pescheria Il Corallo
La pescheria Il Corallo di Seriate

«Per le grigliate il rombo è buonissimo, si mette direttamente sulla brace con la pelle – dice Stefania Lodetti della pescheria “Il Corallo”, aperta un paio di mesi fa in via Nazionale a Seriate -. Le orate sono un must, ma anche i calamari sono molto buoni sulla brace. Lo sgombro ha un sapore particolare e deciso, dipende dai gusti, ma è buonissimo. Sono molto indicati anche il gambero rosso e le seppie, che vanno pulite bene. Io consiglio spesso il salmone. Molti pensano sia buono solo affumicato invece fresco e cotto alla griglia è ottimo. Meglio evitare, invece, i filetti fini, astici, aragoste, merluzzi, baccalà, cefali, gallinelle e in genere tutti i pesci molto delicati perché la carne tende a diventare troppo friabile e a rompersi se sottoposta a questo tipo di cottura».

Tiziana Casali, responsabile qualità di Orobica Pesca consiglia i pagri e i dentici con un distinguo; il pagro è buono anche d’allevamento, il dentice invece solo pescato. Inoltre suggerisce le capesante: «Sono molto costose, ma anziché usare il mezzoguscio si prende solo la polpa e la si scotta sulla griglia sui due lati con olio e pepe: è buonissima».

Se si è un neofita del barbecue, meglio optare per pesci di grosse dimensioni e grassi come tonno, salmone, sgombri o sarde e rinunciare a quelli molto piccoli, senza avere rimpianti. Il grasso garantirà infatti che la polpa del pesce non si secchi in fase di cottura e che il risultato finale sia quindi una polpa morbida e succosa.

Sarde e sardine alla griglia sono deliziose, ma bisogna stare attenti a non farle bruciare e una grande orata può dare soddisfazioni in tavola senza creare troppi problemi. La regola è: più è grande il pesce, più la cottura è facile.

Per chi proprio non vuole rinunciare a gustarsi i pesciolini più delicati, Adriano Rossi, di Meditpesca a Sarnico suggerisce una soluzione salva-cena. «L’unico pesce non indicato sulla piastra è il granchio. Tutti gli altri vanno bene per il barbecue basta avere qualche accorgimento in più in fase di cottura». Per tutti il consiglio nella scelta del pesce da grigliare è lo stesso: «Per prima cosa fare attenzione che il pesce sia freschissimo e poi farsi consigliare al banco, perché a seconda della disponibilità del momento si possono trovare buone occasioni e così risparmiare sul conto».

LA PREPARAZIONE

Anche mani poco esperte possono eseguire benissimo una grigliata, perché non c’è bisogno di sfilettare il pesce e spezzettarlo e non serve neanche privarlo di lische e pelle. Basta rimuovere le interiora e lavarlo bene sotto l’acqua corrente, asciugarlo e ungerlo con dell’olio extravergine d’oliva. «Nel pulire il pesce – consiglia Adriano Rossi – va tolto delicatamente con un dito il filettino nero nella pancia (che è il sangue del pesce) perché sennò rende il pesce amaro». Un’altra accortezza raccomandata è di scolare bene l’olio in eccesso prima di mettere il pesce sulla griglia per non creare fiammate troppo alte e rischiare di bruciarlo». Se il pesce è surgelato, la cosa importante è di non metterlo sotto l’acqua tiepida ma di lasciarlo scongelare naturalmente.

LA MARINATURA

Con la marinatura corretta il pesce alla griglia può diventare molto più buono. Le erbe aromatiche qui la giocano da padrone e sono molto utili per dare al pesce un sapore deciso e aromatico dopo la cottura. La marinatura classica con olio extra vergine d’oliva, limone, aglio, pepe, sale, prezzemolo o timo funziona sempre. Per chi desidera qualcosa di più ricercato e di ispirazione orientale si può preparare con salsa di soia, saké, succo di zenzero, olio di sesamo, olio di semi di arachidi, cipolla, pepe. Adriano Rossi, per il branzino in particolare, consiglia una marinatura a base di olio extravergine d’oliva, pepe grosso e una foglia di alloro o di basilico (si mette nel frigorifero per un giorno quindi si toglie e si mette sulla piastra), oppure una preparazione più saporita fatta con un cucchiaio di succo di limone, tre cucchiai d’olio extravergine di oliva, sale marino, pepe nero macinato fresco e un trito finissimo di prezzemolo, rosmarino, salvia e aglio essiccato. Si spennella il pesce con la marinata più volte un’ora prima di grigliarlo e anche dopo la cottura. Al posto del succo di limone si può utilizzare anche il lime che dà un sapore più intenso.

La regola è che la marinatura deve essere composta sempre da un grasso, un acido, un elemento sapido e uno aromatico. Per eseguire una buona marinatura meglio utilizzare piccoli pezzi e riporre sempre in frigorifero gli alimenti mentre agisce, mai in contenitori metallici e prima di cuocere riportare l’alimento sempre a temperatura ambiente.

Un consiglio: le qualità di pesce più pregiate vanno grigliate preferibilmente nature, cioè con l’aggiunta di solo sale.

Spada alla griglia

COME GRIGLIARE IL PESCE

Il pesce va salato prima della cottura e sistemato su una griglia ben calda. Il tempo di cottura è un elemento molto importante e dipende dalla dimensione del pesce. Di solito, non si va oltre i dieci minuti per lato. Il rischio di cuocerlo a temperatura sbagliata, quando si è alle prese con un pesce non grasso, è altissimo. In generale, le regole di cottura sono: braci non troppo roventi, griglia alta e se possibile cottura indiretta (ad almeno 30 cm dalla brace). Inoltre, quando si cuoce il pesce sul barbecue girarlo al momento e nel modo più opportuno può fare la differenza tra una cena gustosa e un mucchietto di costosa carbonella animale: il pesce sarà cotto dal lato inferiore quando questo si staccherà facilmente dalla griglia. Se avrete oliato a dovere sia il pesce sia la griglia stessa questo metodo “empirico” di misurazione del tempo dovrebbe essere affidabile. «Solitamente, per un pesce intero bastano 6/7 minuti, 3 minuti da un lato e 3 dall’altro. Per i filetti, invece, sono sufficienti 4 minuti – dice Adriano Rossi -. Per i molluschi – capesante, cozze e simili – le cotture devono essere basse e brevi sennò diventano gommosi. Le seppie e i calamari si spellano bene e si cuociono poco, così rimangono teneri». I pesci senza squame e quelli particolarmente delicati come il filetto di merluzzo si possono cucinare mettendo un foglio di alluminio con sale grosso sulla piastra, che al termine della operazione si sfila. Il foglio garantirà la giusta cottura al pesce e manterrà compatta la polpa. Da considerare il barbecue con il coperchio, se si vuole limitare gli effluvi. In questo caso, però, meglio scegliere solo grandi pezzature, crostacei, cartocci.

GLI STRUMENTI ESSENZIALI

Oltre alla griglia occorrono una pinza per alimenti, due pinze molto grandi, per girare il pesce, e un pennello per aromatizzare il pesce in fase di cottura. Tutti questi attrezzi devono essere in metallo, lunghi almeno 30 centimetri e con il manico in legno. Possono essere utili anche dei fogli d’alluminio, delle foglie di vite o dei rametti di rosmarino.

Tiziana Casali, responsabile Qualità di Orobica Pesca
Tiziana Casali, responsabile Qualità di Orobica Pesca

GIGLIATE PER TUTTE LE TASCHE

A differenza di quanto molti pensano, per fare una buona e apprezzata grigliata di pesce non serve prosciugare il portafoglio. Anche puntando alla qualità, si possono spendere cifre contenute. «Si tende ad andare sui classici pesce spada, scampi, gamberoni, tonno, ma questi pesci hanno prezzi elevati – dice Tiziana Casali di Orobica Pesca -. Invece è bello potersi concedere più volte una grigliata di pesce variando i prodotti». In pescheria si possono trovare pesci di tutti i prezzi: dai prodotti pescati che sono più cari, a quelli allevati e surgelati, più economici. Basta scegliere cosa comprare. Se si è disposti a destinare alla grigliata un budget importante ci si può orientare su crostacei come gamberi di prima qualità, mazzancolle o gamberi di Sicilia che sono il top di gamma tra il fresco. Diversamente, sono di ottima qualità ed economiche le orate allevate in Toscana e quelle allevate in Grecia e, tra i crostacei, gli scampi congelati, il gambero argentino congelato a bordo e gli scampi danesi. Un altro pesce low cost consigliato per il barbecue, spesso ignorato, è lo sgombro, un prodotto ottimo anche dal punto di vista nutrizionale perché contiene tantissimo Omega 3 e grassi buoni. Per una grigliata economica, Rossi di Meditpesca consiglia sgombro, sugarello, sarde di mare e tonno già abbattuto, che costa meno di quello fresco.

LE RICETTE

Per una preparazione veloce salva-cena, Tiziana Casali consiglia: spiedini con code di gambero argentino già sgusciato negli aromi con un po’ di pan grattato e un filo di olio e servito con purea di ceci o di porri fredda. In dieci minuti, garantisce, sono in tavola. Un’altra ricetta veloce sono gli spiedini di calamari: si puliscono tutti, si salta la parte di scarto (i ciuffi) con aromi in padella, si mixa con parmigiano e uovo quindi si fa il ripieno lo si mette nel calamaro crudo, si chiude con stuzzicadenti e si cuoce alla griglia con un filo d’olio, quindi si condisce con un finocchio crudo tagliato fine e decorato con fette di arancia fredda e qualche mandorla tostata e olive taggiasche (attenzione: i calamari non devono essere grandi).

La ricetta - Spiedino di gamberi calamari ripieni grigliati

Per una grigliata di alta qualità una soluzione molto raffinata è quella di abbinare un pesce pescato, tartare e crudità, ad esempio gambero rosso e gambero viola, tartare di spada e tonno, capesante grigliate. Per i bambini, infine, la ricetta più apprezzata sono gli hamburger di trota o di tonno con le patatine fritte. Sono facili da cuocere e piacciono sempre. L’importante è che siano cotti poco, soprattutto se di tonno.

IL SERVIZIO

Il pesce grigliato deve essere servito immediatamente, appena tolto dalla griglia insieme a olio, sale e qualche erba aromatica. Per chi lo gradisce, si possono mettere in tavola anche delle fettine di limone (ma i cultori inorridirebbero) e delle salse: si può scegliere tra un semplice intingolo a base di olio, timo e aglio oppure servire delle vere e proprie salse per la grigliata di pesce.


Bergamo vista da Gualtiero Marchesi. Peccato che i formaggi siano camuni

Ci sono anche Bergamo e le Valli tra i sette itinerari firmati da Gualtiero Marchesi per mostrare il “Bello e il Buono della Lombardia” nell’ambito del progetto #SaporeinLombardia promosso da Explora e presentato nei giorni scorsi.

L’obiettivo è promuovere l’attrattività turistica ed enogastronomica con percorsi tra tradizione, cultura e storia locali. I racconti vengono sintetizzati in video, racconti, ricette, un libro e un sito web e oltre a quello su Bergamo ci sono i capitoli “Milano”, “Cremona e Mantova”, “Valtellina”, “Franciacorta e Lago di Garda”, “Brianza e Pavia”, “Lago di Como e Varese”.

I confini territoriali però non sono proprio così rigidi. La sezione dedicata alla nostra provincia ha infatti come sottotitolo “Dove nasce la Rosa Camuna” e nel video, mentre si fa rifermento ai nove formaggi Dop del Bergamasco, si citano invece le specialità della Valle Camonica come il Silter e la Rosa Camuna, appunto, oltre al Grassina Val d’Angolo e al Casolet, che ha origini trentine ma è preposto anche in terra bresciana.

Non mancano comunque i riferimenti più schiettamente nostrani, come il pastore Danilo Agostini che richiama le sue pecore, in apertura del video, la sosta del maestro Marchesi da Alessia Mazzola, chef di Al Gigianca che prepara i casoncelli ed un suo piatto di carne di pecora gigante bergamasca con crema di patate e chutney di barbabietola, passando per il monastero di Astino, luogo del cuore di Gino Veronelli, per la Fondazione Donizetti, Lovere e l’Accademia Tadini, la cucina della famiglia Cerea.

È vero che quando si parla di turismo e attrattività le frontiere è meglio abbatterle, ma forse un po’ più di precisione non sarebbe guastata.


Funghi dai fondi di caffè, un kit per produrli in casa

FungoBox_kit-fai-da-te-02Altro che basilico, timo e salvia. La cucina si può arricchire anche di funghi fai da te grazie al progetto dell’impresa sociale Upcycle Italia, che ha realizzato un kit che permette di coltivare in casa funghi buoni e sostenibili partendo dai fondi di caffè esausti.

Si chiama Fungo Box ed è un emblema di quell’economia circolare secondo la quale ogni innovazione e produzione deve essere pensata sempre all’interno di un ecosistema in cui gli scarti diventano risorse.

Tutto è iniziato da un cestino che per sei mesi ha raccolto i fondi esausti di migliaia di caffè preparati nel bar Lavazza del Padiglione Italia di Expo: 1.500 kg di fondi di caffè esausti sono stati recuperati da Amsa, portati in Cascina Flora, nel comune milanese di Locate Triulzi, e trasformati dai ragazzi di Upcycle Italia in fertile terriccio, producendo 150 kg di funghi.

Il progetto è stato raccontato all’interno del Sustainability Hub di Lavazza e Novamont presso Cascina Cuccagna, a Milano, riscuotendo un grande interesse di pubblico e stampa e nuovamente alla fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili “Fa’ la cosa giusta”.

Ma come funziona il kit? Una volta aperta la busta sottovuoto contenente il composto di caffè, cellulosa e micelio, basta riporla nuovamente nella confezione in cartone riciclato e inciderla lungo le linee tratteggiate. Si fa riposare Fungo Box una notte in frigorifero, poi lo si annaffia e si aspetta. Dopo circa 2 settimane i primi funghi fatti in casa saranno pronti per essere colti e mangiati.

«Il nostro scopo è quello di aiutare le città e gli individui a coltivare, vivere, pensare in modo più sostenibile e… circolare – spiegano gli ideatori -. Per questo, abbiamo individuato nella polvere di caffè usato un rifiuto molto interessante in quanto particolarmente ricco (contiene ancora il 99,8% dei componenti nutritivi del caffè) e perché l’altissima temperatura dell’acqua delle macchinette lo ha sterilizzato e reso “pulito”. Ogni giorno recuperiamo il caffè usato e lo trasformiamo in terreno di coltura. Abbiamo poi selezionato diverse tipologie di funghi commestibili in grado di crescere su una base di caffè esausto, tra questi i famosi funghi Ostrica, o Pleurotus, che noi commercializziamo sotto forma di kit: Fungo Box. Dopo la produzione e il raccolto dei funghi, il terriccio ciò che resta diventa un eccellente ammendante per il terreno e quindi una nuova risorsa per rigenerare il suolo dell’agricoltura peri-urbana».

I funghi in box sarebbero anche di una qualità migliore rispetto a quelli coltivati secondo metodologie standard ed hanno già strizzato l’occhio a chef e foodblogger.


Aromatiche, quel tocco in più per ogni piatto

Una foglia di melissa esalta l’asprezza di una limonata, quella di menta dà vigore a un tè freddo, mentre i fiori di monarda impreziosiscono un anonimo aperitivo. Il rosmarino è adatto a patate e arrosti oppure tritato si può unire all’impasto di soffici focacce e filoncini profumati. L’origano si abbina alla pizza, ma sta bene anche con carne di agnello e di maiale. Il basilico, invece, è da sempre l’ingrediente principe del pesto o della classica pasta al pomodoro. E poi c’è la salvia, inseparabile compagna di burro e pancetta nel condimento dei tradizionali casoncelli alla bergamasca. Insomma, le erbe aromatiche, anche quelle più comuni, conferiscono ai piatti di ogni giorno una nota di gusto.

Ma per condire le loro prelibatezze i veri amanti della cucina casalinga non possono certo rassegnarsi al sapore artificiale di spezie liofilizzate. Così negli ultimi tempi sta crescendo il numero di bergamaschi che preferiscono coltivare sul balcone di casa piantine aromatiche pronte all’uso. Grazie ai loro molteplici principi nutritivi, sono adatte a una dieta sana e rappresentano un valido sostituto del sale. «A Bergamo abbiamo una situazione favorevole e ottimale per la coltura delle erbe aromatiche – spiega Gabriele Rinaldi, direttore dell’Orto Botanico Lorenzo Rota di Bergamo Alta –. Aprile e maggio sono mesi ideali per trovare vivai ben forniti di piante di sicuro interesse per insaporire i nostri piatti. Sul nostro territorio sono attive alcune realtà che producono ortaggi biologici e piante aromatiche, ma questo non vieta al singolo di dotarsi di prodotti a chilometro zero direttamente a casa propria».

orto botanico 3Per trovare la giusta ispirazione per la creazione di un terrazzo profumato potrebbe rivelarsi di indubbia utilità una visita alla Valle della Biodiversità ad Astino. La sezione distaccata dell’Orto Botanico è infatti un piccolo angolo di paradiso dove vengono ospitate circa 300 specie differenti di piante e le loro 1.500 varietà in un terreno che si estende per 9.000 metri quadri di superficie. Unica realtà italiana dedicata interamente alle piante alimentari, la Valle della Biodiversità è stata protagonista lo scorso marzo a Milano dell’area dedicata agli orti botanici della Lombardia nell’ambito di “Fa’ la cosa giusta”, fiera del consumo critico e del vivere sostenibile. Un’occasione unica che ha dato ai visitatori la possibilità di scoprire il mondo dal punto di vista delle piante, attraverso storie, immagini, esperienze sensoriali e semplici esperimenti scientifici. «Ad Astino – racconta Rinaldi – abbiamo parecchie erbe aromatiche, soprattutto della famiglia della lamiaceae. Abbiamo specie declinate in più varietà con sapori particolari come la monarda, le cui foglie hanno un aroma simile al bergamotto e, essiccate, vengono usate nelle bibite, nel tè e nei sacchetti profumati. Ogni anno coltiviamo circa 150 piante con proprietà aromatiche. Le perenni sono visibili già ad aprile, le annuali crescono più avanti».

Per avere sapori sempre a portata di mano anche sul terrazzo di casa, non serve una particolare propensione. Bastano buona volontà, contenitori adeguati e un piccolo spazio: «Coltivazioni in vaso, fioriera, cassone o in un piccolo giardino danno grandi soddisfazioni – conferma Rinaldi –. Ci sono però alcuni elementi imprescindibili: tutte le piantine hanno bisogno di sole, un po’ di acqua e di terriccio di ottima qualità, possibilmente biologico senza residui chimici dannosi. I produttori di piante aromatiche in Bergamasca non sono moltissimi, le colture biologiche, poi, si contano sulle dita di una mano. I consumatori e i ristoratori, invece, dovrebbero essere più esigenti nel preferire le piante biologiche perché garantiscono più sicurezza alimentare e rispetto dell’ambiente».

Tra le piante più gettonate per gli orti casalinghi, spicca la salvia che è presente in natura con una decina di varietà differenti: «Il nome salvia significa salute e, non a caso, ha molte proprietà officinali. Aiuta la digestione dei grassi e ha parecchie qualità dal punto di vista culinario – prosegue il direttore –. Le varietà più eccentriche si possono trovare nelle mostre mercato. Alcuni tipi di salvia hanno sapore di ananas. Altra pianta facile da coltivare è la menta, perfetta nelle tisane o in un’insalata, con le sue varietà: la piperita con foglie appuntite, la menta comune, più opaca e rugosa, la tondifoglie, la marocchina… C’è poi il rosmarino che, lasciato in terra piena, diventa anche di due o tre metri di altezza con un bell’arbusto; il timo che cresce in vasi piccoli; la melissa che è infestante e quindi semplice da far sviluppare sul balcone di casa. E non dimentichiamo l’origano. Il finocchio si coltiva in un vaso da 18 ai 24 centimetri: i semi si usano per la tisana, per il pesce, per il riso, per il pane oppure consiglio di masticarli a fine pasto per una buona digestione».

Seppur ben curato, un orto casalingo non può durare per sempre: «Non illudetevi che le erbe aromatiche siano eterne – conclude Rinaldi –. Pur essendo perenni, dopo qualche anno tendono ad assumere un aspetto dimesso. Eventualmente, per mantenere vivo il nostro orto, si possono fare delle talee. Basta tagliare un rametto da una nostra piantina e farla radicare in un vaso con terreno umido oppure potrebbe essere divertente scambiarsi rametti tra amici per ottenere più varietà».

L’ESPERTO

Calliari: «Ecco come coltivarle in casa»

La moda di creare orti casalinghi sul balcone ha origini molto lontane. Già ai tempi degli assiri e babilonesi il sovrano Nabucodonosor aveva nel suo giardino pensile un angolo dedicato alle erbe aromatiche. Con la crescente disponibilità del sale, nel corso dei secoli le erbe sono state piano piano confinate a un utilizzo sporadico. Complici le loro proprietà salutari oggi sono però tornate a rivestire un ruolo di primo piano nella nostra cucina. E così, con l’arrivo della primavera, sono parecchi i bergamaschi che con vasi, semi e paletta alla mano si dilettano a far crescere pianticelle aromatiche- sul terrazzo di casa. Gino Calliari ex vivaista esperto in floricoltura e giardinaggio, ci spiega quali accorgimenti seguire e gli errori da evitare per avere erbe saporite e rigogliose.

Quali sono le erbe aromatiche più diffuse?

«La varietà di piante aromatiche è molto vasta. Le essenze più in uso sono salvia, rosmarino, basilico, timo, maggiorana, origano, prezzemolo, erba cipollina, alloro, erba di San Pietro».

Quali sono le condizioni più favorevoli per la coltivazione?

«Quasi tutte amano il pieno sole, più sono esposte, più sono aromatiche».

Come si sceglie il vaso giusto?

«Si coltivano sia in terrazzo, in cassettine oppure in fioriere a ciotola o a cassette, sia in pieno campo, lungo il perimetro dell’orto. Queste erbe aromatiche, quando sono in fioritura, vengono visitate da insetti pronubi che sono utilissimi per l’impollinazione degli ortaggi da frutto come esempio i pomodori, le melanzane, i peperoni, ecc».

Come possiamo proteggere le nostre piantine da insetti e parassiti dannosi?

«Per infestazioni da insetti meglio ricorrere a prodotti a base di piretro oppure di Neemazal, insetticida estratto dalla corteccia della pianta di Neem. Qualora si formassero delle infezioni da funghi tipo oidio, detto anche mal bianco, o maculature sulle foglie, consiglio di utilizzare prodotti bio a base di rame e zolfo».

Con quale frequenza vanno innaffiate le erbe aromatiche?

«L’innaffiatura per le piante in contenitore deve essere abbondante. Poi bisogna lasciare che il terriccio si asciughi quasi totalmente e poi bagnarle di nuovo».

Come si sceglie il terriccio?

«Il terriccio da usare per le fioriere deve essere di buona qualità, invece per le piante dimorate a cielo aperto è sufficiente un terreno di medio impasto con l’aggiunta di concime biologico».

Con che frequenza vanno concimate?

«Durante la stagione vegetativa le piante da contenitore vanno concimate ogni due mesi con concime biologico. Per le piante in piena terra la concimazione va effettuata alla fine dell’inverno e nel mese di maggio».

E quando arriva l’inverno?

«In inverno bisogna tagliare le aromatiche quasi a filo del terreno. Buona norma sarebbe quella di proteggerle al piede con foglie secche, torba, trucioli di legno, corteccia di pino o coprirle con un tessuto non tessuto, preferibilmente bianco. Prima della fioritura è bene togliere il fiore dalla erbe aromatiche in quanto la pianta migliora il suo aroma».

 

Per chi non ha il pollice verde

Produzioni biologiche made in Bergamo

Esiste anche una produzione locale e biologica di erbe aromatiche. A Esamate, frazione di Solto Collina, l’Azienda agricola “L’Asino del Lago”, coltiva una sessantina di varietà di erbe, tra aromatiche e officinali. Sono raccolte a mano esclusivamente nel periodo balsamico specifico per ogni specie e vengono essiccate con un metodo delicato che preserva i principi attivi. Diventano tisane e miscele aromatiche, che vengono confezionate in sacchetti, bustine e barattoli. Si possono trovare i classici salvia, rosmarino, origano, prezzemolo e timo, ma anche piante meno note, come il levistico montano, una sorta di sedano, o i mix di erbe e fiori per grigliate, arrosti, formaggi e minestre.

Anche sui Colli di Bergamo, nell’azienda agricola “Le Sorgenti”, è partita una coltivazione biologica di erbe e piante aromatiche con annesso laboratorio autorizzato per essiccarle, estrarre tinture madri e oli essenziali. L’iniziativa è di Fabrizio Gelmini e Cristian Testa, rispettivamente tossicologo e medico naturopata, con un approccio rivolto ad esaltare le virtù salutistiche delle aromatiche (e sono davvero tante), ma anche a dare la possibilità di utilizzare in cucina aromi biologici e a chilometro zero, come alloro, salvia, timo, menta e melissa. Da non sottovalutare nemmeno il loro l’utilizzo sotto forma di olio essenziale, come aromatizzante e pure per conservare meglio cibi e bevande, grazie al potere antimicrobico e antiossidante.

Acquisti sfusi per assaggiarne di più

Chi non ha una particolare propensione per gli orti fai-da-te potrà trovare una lunga serie di spezie, erbe e aromi pronti da mettere in tavola nel Negozio Leggero di via Don Luigi Palazzolo 11 a Bergamo. In questa bottega dedicata all’ambiente, al risparmio e alla buona alimentazione Sara Crema e Claudia Carissoni vendono oltre 1.500 prodotti sfusi dalla pasta alle tisane, dal detersivo al deodorante naturale e una buona selezione di erbe aromatiche. Qui è possibile fare la spesa comprando solo il contenuto e questo permette al cliente di acquistare le quantità necessarie, di provare articoli nuovi e di sperimentare in cucina con spezie, cereali, legumi della tradizione o prodotti etnici e vegan. «La definizione di pianta aromatica viene spesso interpretata in modi diversi – spiegano le responsabili della bottega Sara e Claudia – c’è infatti chi considera anche le spezie delle piante aromatiche. Quelle che noi intendiamo per erbe aromatiche e che si possono trovare nei nostri scaffali sono: origano siciliano da agricoltura biologica, timo, rosmarino italiano, erbe di Provenza (un mix di erbette molto profumato), alloro, maggiorana, melissa, erba cipollina, prezzemolo, dragoncello, menta italiana e da agricoltura biologica. Sono tutti prodotti selezionati Ecologos, un ente di ricerca ambientale applicata che ha fatto della riduzione dei rifiuti alla fonte il suo obiettivo e che svolge attività di ricerca scientifica dal basso coinvolgendo cittadini, amministrazioni pubbliche e realtà private con proposte concrete per un futuro sostenibile. Inoltre vendiamo tutto sfuso. L’assenza di imballaggi permette la riduzione dei rifiuti oltre che la possibilità di acquistare a prezzi accessibili una quantità minima di prodotto se lo si vuole solo provare, così da ridurre anche gli scarti alimentari». Negozio Leggero fa parte di una rete di negozi nata a Torino nel 2009 e oggi è presente in Italia con 12 punti vendita e uno in Svizzera, nel Canton Ticino.


Il rifugio più “goloso”? Lo gestisce una bergamasca

In Val di Fassa, sulla Sella del Ciampaz, a quota 2.283 metri, nel mezzo del gruppo del Catinaccio, Roberta Silva, 43 anni, di Bergamo, ha creato un rifugio da sogno. Si chiama “Roda di Vaèl” (come il nome della montagna) ed è considerato uno dei rifugi più amati d’Italia. L’anno scorso i lettori della rivista Dove l’hanno eletto al quinto posto della classifica dei rifugi italiani più belli, ma sono i numeri, più di tutto, a dirlo: 3mila ospiti a stagione.

Anche la stampa l’ha più volte premiato: lo scorso anno ha campeggiato in prima pagina su una guida ai rifugi del Nord Italia ed è stato protagonista di un video promozionale dei rifugi del Trentino che ha realizzato più di 200mila visualizzazioni, tra l’Italia e l’Estero. Quest’anno è stato uno dei pochissimi rifugi segnalati dal magazine tedesco ADC Reisemagazine in uno speciale sulle Dolomiti.

L’ambiente è accogliente e familiare, la cucina offre piatti locali accompagnati da simpatia e cordialità e ci sono 60 posti letto, un’ampia terrazza e un solarium. Roberta gestisce il rifugio con l’aiuto della sua “famiglia Vael”, uno staff di 12 ragazzi, molti dei quali sono con lei da tanti anni. La natura intorno è un incanto, si possono intraprendere escursioni, vie ferrate della Roda di Vaèl o del Majarè o scalate.

Roberta, com’è iniziata questa avventura?

«Mi sono trasferita in Val di Fassa nel 2002 con mio marito, come istruttrice di snowboard. Qualche anno dopo, nell’estate del 2005, abbiamo avuto la possibilità di prendere il rifugio e così l’abbiamo fatto».

Era un suo desiderio?

«In realtà, è stata una decisione legata a mio marito, che già da anni gestiva un rifugio, il Re Alberto I alle Torri del Vajolet. Ma la montagna mi è sempre piaciuta. Non avevo mai pensato di farlo, ma oggi non farei un lavoro diverso».

Com’è la vita da rifugista?

«La stagione da noi comincia a fine maggio e finisce a fine ottobre. Mi trasferisco al rifugio per sei mesi poi torno in paese e gli ultimi due mesi fremo per tornare su. Il rifugio ti dà la possibilità di incontrare tante persone, di confrontarti con culture diverse: è un contatto unico. Una cosa che trovo fantastica nella filosofia della montagna è che camminando sui sentieri, entrando nei rifugi, salendo lungo le ferrate, non ci sono confini, non ci sono differenze, la montagna è uguale per tutti e tutti sono uguali quassù e questo lo si vede tantissimo proprio all’interno dei rifugi dove alla sera tutti sono semplicemente degli amici e persone che stanno vivendo esperienze simili. Questo è il quinto anno che gestisco il rifugio da sola. Nel 2011 è venuto a mancare mio marito in un incidente. Quello che è successo mi ha avvicinato tante persone».

Che turismo avete?

«Vengono tantissimi turisti. Per il 70% sono stranieri, austriaci, svizzeri, ma ospitiamo anche bergamaschi, qualcuno torna apposta per venire a trovarci. Da qualche tempo abbiamo anche ospiti giapponesi».

Qual è il segreto di tanto successo?

«La cordialità. È una qualità che ci riconoscono. Gestisco il rifugio come una grande famiglia. Molti dei miei ragazzi sono con me da 9-10 anni. Accolgo io ogni ospite, gli stringo la mano. È come se entrassero in casa mia. Inoltre apprezzano la cucina».

Che piatti proponete?

«Facciamo una buona cucina, senza fare alta gastronomia, piatti semplici, tipici trentini, come i canederli che abbiniamo al goulash, taglieri di speck e formaggi, poi minestroni, tagliatelle ai funghi porcini, secondi a base di polenta e salsiccia, formaggio fuso, funghi, capriolo. Tra gli stranieri il piatto più richiesto è l’uovo con speck e patate. I dolci sono tutti fatti in casa, piace molto la Frittata del re, preparata con l’impasto dell’omelette, spezzettata e saltata con mele e uvette, è quasi un piatto unico. Due anni fa ho inserito i prodotti per celiaci».

Niente piatti bergamaschi?

«Certo che ci sono. Ho portato con me le mie origini: i casoncelli, il Valcalepio Rosso e il Moscato di Scanzo. La polenta c’era già, ma deve essere buona, noi la facciamo fresca tutti i giorni».

Lei ha due bimbi piccoli, come vivono questa esperienza?

«La bimba ha 4 anni e il maschio ne avrà 7 a luglio. Nella bella stagione passano il loro tempo libero all’aperto. Quando il grande gioca a carte con i bimbi stranieri non si capiscono ma ridono da matti. Nei rifugi tra i bambini le distanze sono completamente azzerate e anche se di nazionalità diverse questi corrono e giocano come se fossero amici da sempre. Hanno un’intesa incredibile nonostante praticamente gli scambi verbali siano ridotti al minimo».

Per la nuova stagione ha dei progetti?

«Da qualche anno ospitiamo un gruppo di astrofili che vengono a osservare le stelle. Quest’anno raddoppierò gli appuntamenti. Inoltre all’apertura della stagione organizzeremo una giornata di yoga e cena vegana per iniziare all’insegna del benessere».

Cosa farà il primo giorno in rifugio?

«Quello che faccio tutti i giorni quando sono lì: mi sveglio presto e faccio le foto all’alba. È sempre un’emozione diversa».

Rifugio Roda di Vaèl - Val di Fassa - canederli


Birra e cucina, un matrimonio di gusto

“Se ami il cibo, ma conosci solo il vino, è come se cercassi di comporre una sinfonia con solo metà delle note e metà orchestra”. Oliver Garrett, il celebre birraio americano della Brooklyn Brewery ne è convinto. Ogni prelibatezza gastronomica può sposarsi alla perfezione non soltanto con un bianco fermo o un buon rosso ma anche con una birra di qualità. Basta scegliere quella giusta.

Ma se in America e nei Paesi nordici questo binomio è ormai un’abitudine consolidata, per una terra più legata al vino come la Bergamasca, e l’Italia intera, si tratta di una tendenza di più recente espansione.

Sono stati i giovani, abituati a viaggiare all’estero e alla costante ricerca di qualcosa di alternativo, i primi ad apprezzare la cultura brassicola, soprattutto durante le sagre e le Oktoberfest. Ed ora questa antica bevanda, le cui origini risalgono alla Mesopotamia, ha letteralmente conquistato un pubblico più maturo, andando ben oltre il banale accostamento con la pizza o i crauti. In molti ristoranti, anche di alta cucina, non è raro trovare accanto alla carta dei vini una ricca gamma di bionde, rosse o stout in grado di esaltare o contrastare ogni sorta di cibo. E c’è chi addirittura mette la birra in tavola durante i pranzi di gala.

Tra i pregi di questa bevanda fermentata a base di acqua, malto, luppolo e lievito spiccano la versatilità, la moderata gradazione alcolica e un prezzo più contenuto rispetto al vino. La tavolozza di profumi e stili offerta dalla birra è ormai tra le più sofisticate. Ecco perché, prima di decidere a quale piatto abbinarla, va assaggiata, a meno che non ci si affidi ai consigli di esperti del settore come il biersommelier. Da quando la birra è stata messa al pari del vino, infatti, in Italia si è andata sempre più affermando questa nuova figura
professionale che in Germania esiste già da tempo.

La regola generale è che la birra deve essere robusta e intensa quanto le pietanze a cui viene accostata: il connubio risulta particolarmente riuscito se c’è qualche sapore o aroma in comune. Birra e formaggio, per esempio, dovrebbero essere entrambi aciduli. Gli ingredienti leggermente amari della birra stimolano l’appetito. E allora perché non iniziare il pasto con una birra leggera per pulire il palato e preparare lo stomaco al cibo? Veniamo poi ai primi. Alle zuppe leggere si accosta una chiara e secca; alle minestre, invece, una maltata come la Scotch Ale. Parlando di secondi, una Ale chiara, caratterizzata dal forte aroma del luppolo, va d’accordo con le insalate verdi, mentre le birre amare sono adatte a quelle condite con aceto. Con bistecca o roastbeef meglio optare per le scure, mentre le birre di luppolo secche contrastano il piccante dei piatti esotici. Via libera, invece, alle chiare per pesce e pizza.
La birra si sposa bene anche con il dolce: una Doppelbock, al delicato gusto di ciliegia, o una Imperial Stout sono perfette con il cioccolato. Per le torte fruttate meglio una Lambic. E per chiudere il pasto si consiglia una birra “pesante” ma dolce che faciliti la digestione.

In Bergamasca oggi ci sono locali specializzati tra i migliori d’Italia e parecchi birrifici riconosciuti su scala nazionale anche da specialisti del settore come la Guida alle Birre d’Italia curata da Slow Food. Tra i più famosi spiccano Endorama di Grassobbio, Hammer di Villa d’Adda, Hopskin di Curno, Sguaraunda di Pagazzano, Maspy di Ponte San Pietro. E poi c’è la Elav di Comun Nuovo che ha lanciato un’originale versione della Vienna Lager preparata con la polenta, sfruttando le croste che restano attaccate al paiolo. Da segnalare anche il birrificio Valcavallina di Endine Gaiano e il Via Priula di San Pellegrino che lo scorso febbraio si sono aggiudicati un secondo e un terzo posto all’11esima edizione del premio Birra dell’anno, promosso dall’associazione Unionbirrai.

A conferma della sempre più marcata attenzione al connubio tra birra artigianale e cibo, è nato il primo concorso internazionale Armonia “Birra nel piatto”, che premia l’utilizzo delle birre in cucina e nella ristorazione.

I locali: «Etichette selezionate danno una marcia in più alla proposta»

Le esperienze di De Gusto, In Croissanteria e Fiore dell’Oste

In un mercato sempre più competitivo, esibire una carta delle birre ricca e dettagliata sta diventando un punto di forza per parecchi locali. Meglio ancora se il ristoratore sa suggerire al cliente il connubio ideale tra cibo e birra. In gioco non c’è la classica pizza abbinata a una bionda ma una vasta gamma di ricette, dall’antipasto al dolce, che ben si sposano con stout e bevande luppolate prodotte artigianalmente. «La sfida è unire la buona birra alla buona cucina, affiancare alla paziente spillatura la preparazione di piatti curati e ricercati, arrivando a creare un locale accogliente e prezioso, laddove il valore è dato dal gusto per ciò che si prepara e si serve», racconta Luca Carrara, 32enne che da agosto 2014 gestisce il De Gusto in via del Lazzaretto all’incrocio con via Baioni, a Bergamo. In meno di due anni questo risto-pub cittadino è balzato in vetta alle preferenze degli internauti su Tripadvisor e non solo. Merito anche dei suoi tre cuochi bergamaschi William Bertocchi, Jonathan Signorelli e Cinzia Mismetti che, dopo gli studi all’alberghiero di Nembro, hanno viaggiato molto per scoprire tutti i segreti della cucina internazionale. Ciò che ne deriva è un menù in costante evoluzione che varia a seconda delle stagioni.

Tra le proposte inserite di recente al De Gusto spiccano il risotto alla valtellinese, il merluzzo con piselli e liquirizia, la selezione di formaggi, il tutto accompagnato da birre alla spina: Canediguerra Bohemian Pilsner, Brown Porter, Rodenbach Grand cru, Hilltop Barry’s bitter, Endorama Buendia, Carrobiolo Triple. «L’obiettivo – afferma Carrara – è riuscire a far apprezzare la birra anche in momenti in cui non è abituale berla, come l’aperitivo e la cena; abbinare la birra a tapas e piatti golosi e stuzzicanti è un modo per valorizzarla al meglio».

in croissanteriaIn linea con la moda del momento Nicolò Vezzoli, titolare della pasticceria In Croissanteria di Carobbio degli Angeli, ha fatto un cambiamento radicale negli ultimi tre mesi. Dopo l’esordio dolce, con vendita di pasticcini e brioche, oggi ha allargato la sua offerta proponendo uno street food di qualità per il pranzo e la cena, il tutto abbinato a una vasta selezione di birre artigianali. E i consensi non tardano ad arrivare: «Pur non essendo una birreria nel vero senso del termine, il nostro giro di clientela sta aumentando – dice Vezzoli –. Abbiamo aperto come pasticceria ma poi abbiamo pensato di aggiungere piatti più strutturati che si avvicinano allo street food, dagli hamburger ai cibi etnici rivisitati, dall’astice canadese alla pizza gourmet, il tutto accompagnato da una delle nostre tre birre artigianali: la bionda, la rossa e la Indian Pale Ale. La prima si adatta bene a cibi leggeri come il nostro hamburger “Italo” con burrata e pesto. La rossa sta bene con piatti più strutturati come l’hamburger con il cheddar, il bacon e l’insalata. La Ipa, invece, è più amarognola, di nicchia, per intenditori, deve piacere. Interessante è anche l’accostamento tra la birra e le quattro pizze gourmet che stiamo inserendo nel menù. Si tratta di pizze alternative che hanno in prezzo dai 15 ai 25 euro perché farcite con ingredienti selezionati: gambero rosso, burrata, pata negra, trancio di tonno scottato, gamberi avvolti nel bacon».

Anche Cristian Borace, titolare del Fiore dell’Oste di Brusaporto, ha deciso di allargare la sua offerta culinaria affiancando al suo consolidato ristorante il “Forno dell’Oste”, uno spazio adibito alla degustazione di birre artigianali e buon cibo. «Il vino la fa sempre da padrone – ammette Cristian – però quando organizziamo le serate di degustazione cibo e birra il riscontro è positivo». E poi c’è un notevole risparmio rispetto al vino: «Si passa dai
20 euro di una buona bottiglia di vino ai 12 euro di una birra da 750 ml – conferma Cristian –. La più leggera è la classica bionda Ale non pastorizzata e non filtrata ad alta fermentazione, con un grado alcolico del 5%. Con il suo aroma maltato leggero, morbido, dal sentore di erbaceo e di miele, si abbina
agli antipasti o alla classica pizza.Le birre doppio malto leggermente dolciastre si sposano coi taglieri di formaggi; quelle più strutturate stanno bene anche con i dolci. Usiamo la birra anche come ingrediente nella preparazione di risotti, stufati, ma anche di pane e torte. Tra i nostri piatti forti spiccano il risotto pancetta e birra rossa, gli gnocchi ceci e birra, le costine di
maiale e lo stinco alla birra. Con la birra ho persino preparato il tiramisù e il caramello».


È l’anno dei legumi, ecco come gustarli al meglio

Ceci, piselli, lenticchie, fagioli, fave, soia ma anche varietà oggi quasi scomparse, come lupini, cicerchie e rovigli. Il 2016 sarà l’anno internazionale dei legumi. Lo ha stabilito la Fao che lancerà nei prossimi mesi una serie di iniziative per far conoscere il loro valore a tavola e rilanciarne il consumo. Nei paesi industrializzati i legumi rappresentano, infatti, solo il 25% della dieta, anche se la produzione mondiale è cresciuta del 20%.

Vediamo allora di scoprire un po’ di più su questi alimenti definiti buoni per la salute e per l’ambiente. Innanzitutto, va detto che il principale produttore al mondo è l’India, seguita da Canada, Myanmar, Cina e Nigeria. Ma anche l’Italia ha una produzione importante. Le varietà sono tante. Ogni regione, ogni territorio, ogni piccolo paese ha le sue. Anche a Bergamo c’è chi li coltiva con passione, come Ernesto Marchesi a Seriate e Giovanni Liborio a Palosco. Quanto alle proprietà, i legumi hanno offrono un alto apporto energetico grazie alla loro componente glucidica, ma sono poveri di grassi e ricchi di proteine vegetali. Sono ricchi di fibra alimentare, vitamina B1 e vitamina B3, calcio e ferro, potassio e selenio, micronutrienti importanti per il corretto funzionamento degli enzimi responsabili di molte reazioni metaboliche dell’organismo, nonché antiossidanti per prevenire l’invecchiamento cellulare. Sono degli ottimi alleati nelle diete ipolipidiche ed ipocaloriche, perché sono poveri di grassi e hanno un elevato potere saziante, dovuto all’alto contenuto di fibre.

La curiosità

Ad Albizzate, in provincia di Varese, dopo anni di sperimentazione, è nata la prima pasta al mondo fatta con legumi. Si chiama Legù, è naturale al 100%, ha pochissimi carboidrati (una porzione di 60 grammi contiene solo 26 grammi di carboidrati, contro i 40 della pasta tradizionale), è senza additivi, ricca di fibre e sali minerali e senza glutine. Inoltre è trafilata al bronzo ed essiccata a bassa temperatura in modo artigianale e si cuoce in soli tre minuti. L’hanno inventata Andrea e Monica, due 30enni. Nel dicembre 2015 hanno lanciato con l’azienda ITineri il nuovo alimento che si colloca nel solco delle nuove tendenze alimentari salutiste e che getta la sfida a uno dei pilastri della cucina italiana. «Siamo partiti dalla considerazione che il cibo può e deve essere migliorato – afferma Monica Neri, ideatrice con il marito Andrea Zavattari della pasta di legumi –. Abbiamo iniziato a sperimentare varie ricette, prima con la farina di semi di quinoa, poi con quella di amaranto. Infine grazie alle farine di legumi abbiamo ottenuto degli ottimi risultati e, anche supportati dalle evidenze scientifiche, abbiamo deciso di andare in questa direzione».

La cuoca /Simonetta Barcella di Bolgare

«Siamo fatti per mangiare legumi»

Simonetta Barcella - cuoca naturale - BolgareSimonetta Barcella, cuoca diplomata alla scuola di cucina La Sana Gola di Milano, ha già raccolto l’invito della Fao. Nel suo negozio Natural Bio, a Bolgare, ha promosso una serata per spiegare i benefici dei legumi e come si possono cucinare, mentre a Brescia ha partecipato a un incontro su questo tema insieme all’oncologo Franco Berrino, uno dei massimi esperti del legame fra alimentazione e salute. «Noi siamo fatti per mangiare legumi. La nostra alimentazione dovrebbe basarsi su alimenti vegetali, cereali, legumi e verdure di stagione», afferma.

Oggi però sono relegati ai margini dell’alimentazione. Perché?

«Un tempo i legumi erano una parte importante nella dieta delle famiglie perché costavano poco e davano un apporto proteico importante. Erano considerati la carne dei poveri. Basta pensare ai piatti popolari come la pasta e fagioli o le lenticchie in umido. Oggi si pensa che solo la carne possa apportare le proteine di cui abbiamo bisogno. È un errore: i legumi abbinati a un cereale integrale ci danno l’apporto di proteine corretto e tutti gli amminoacidi essenziali, in più si evitano i grassi saturi. Senza contare che hanno anche un costo decisamente più basso. Rientrano nella tradizione regionale in cucina, si tratta di riscoprirli. I legumi devono tornare nella tavola tutti i giorni».

Molte persone però faticano a sopportarli…

«Il 70% delle persone che vengono nel mio negozio mi dicono che non riescono a mangiare legumi perché hanno gonfiori e malesseri. Questo accade perché l’intestino è “sporco”, l’alimentazione occidentale moderna ha fatto sì che il nostro intestino funzioni male. Il primo consiglio è cercare di tornare a una alimentazione più naturale, il secondo di cominciare con piccole quantità. Al contrario di quanto si crede, non abbiamo bisogno di avere un apporto proteico importante. Se non siamo un bambino, un adolescente o uno sportivo, possiamo accontentarci di un cucchiaio di fagioli a pasto».

Quanti tipi di legumi esistono?

«La varietà è quasi infinita. L’Italia è un grande produttore. Solo come lenticchie, abbiamo 200 varietà. Poi ci sono il cecio nero, il cecio fiorentino, fagioli di tutti i tipi. Il gusto cambia, quindi possono accontentare tutti i palati».

In cucina come si possono impiegare?

«Sono alimenti molto versatili. Entrano nelle zuppe, come paté su un crostino di pane integrale diventano un antipasto. Stufati e accompagnati con la polenta sono un ottimo secondo. I colori, poi, sono spettacolari, vanno dal chiaro allo scuro. Bisogna inoltre conoscere le giuste tecniche di cottura. Ad esempio, l’ammollo è indispensabile, soprattutto per i legumi grandi. Occorre gettare l’acqua di ammollo e poi cuocerli a lungo con alloro, timo e rosmarino, per evitare gonfiori, e alga Kombu che permette di cuocere meglio e completa l’apporto nutrizionale del piatto».

La nuova attenzione per il cibo salutare e l’aumento di persone che hanno scelto una dieta vegetariana o vegana non hanno aumentato il consumo dei legumi?

«Per chi fa una scelta vegetariana o vegana, i legumi non possono mancare e soprattutto non può mancare la varietà. Non ci si improvvisa. Questa nuova sensibilità, che sia motivata da considerazioni etiche o di salute, obbliga a conoscere il cibo che si mangia; ad essere consapevoli  di quello che si ha nel piatto».


Identità Milano, grandi chef a confronto sulla libertà creativa

“Il nido dell’ape”. Il piatto di Cristina Bowerman è l’immagine dell’edizione 2016

 

È “La forza della libertà” il tema della dodicesima edizione di Identità Milano, il congresso internazionale di cucina, in programma dal 6 all’8 marzo al MiCo – Milano Congressi, in via Gattamelata – Gate 14, a Milano.

«In questa edizione – spiega Paolo Marchi, ideatore e curatore dell’evento – portiamo al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, e di chi ci amministra e governa, la voglia di conoscenza e curiosità che animava ogni visitatore di Expo 2015, aprendo una riflessione a 360° sul valore della libera creatività e della libera convivialità, messe così a dura prova dalle tensioni che attraversano il mondo. Regolare i consumi, non vuole dire non sedersi più a tavola, ma anzi intensificare gli scambi culturali e tecnici che avvengono nelle cucine e nelle sale ristorante di tutto il mondo».

A raccontare la loro libertà di espressione sono come sempre grandi chef italiani e stranieri, come Davide Scabin, Enrico Crippa, Massimiliano Alajmo, Ricard Camarena, Carlos Garcia, Josean Alija, Matias Perdomo, Massimo Bottura, Carlo Cracco, l’omaggio a Annie Féolde e Giorgio Pinchiorri, Matthew Kenney, Matt Orlando e Niko Romito. La manifestazione farà spazio anche alla prima edizione di Identità di Gelato e di Identità di Formaggio oltre che alle novità di Identità Naturali. Debutto anche per Identità di Champagne con due speciali appuntamenti dedicati all’abbinamento dello champagne con le creazioni dei grandi chef.

www.identitagolose.it


Cucina o pasticceria? Con Ascom il corso che fa per te

cuochi

Ascom Formazione propone un corso professionalizzante per diventare aiuto cuochi ed uno amatoriale per scoprire l’arte della pasticceria.

Lunedì 29 febbraio prende il via “Vorrei fare il cuoco”, percorso formativo intensivo della durata di un mese ed articolato in 19 incontri dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 15, fino al 24 marzo. Il corso, della durata di 116 ore, è tenuto dalla chef Francesca Marsetti e dallo staff dell’Accademia del Gusto ed è rivolto a chi desidera avvicinarsi alla professione di cuoco. Le lezioni permetteranno di acquisire le abilità necessarie per scoprire il mondo della ristorazione, in aula si lavorerà sia singolarmente sia in brigata, con il supporto di uno staff professionale che con entusiasmo trasferirà le proprie conoscenze. Nel corso degli incontri si parlerà di mise en place, materiali e attrezzature, igiene in cucina, salse madre e fondi di cucina, impasti base di panificazione, pasticceria base, dessert nella ristorazione, legumi e cereali, verdure e ortaggi, pesce e carne.

Martedì 1 marzo inizia invece “Corso base di pasticceria”, 5 incontri per un totale di 12 ore e mezza per conoscere le basi professionali della pasticceria e i segreti dell’arte più golosa (il martedì e il giovedì dalle ore 20 alle 22.30 fino al 22 marzo). Il maestro Diego Mei condurrà alla scoperta delle preparazioni di base fino alle elaborazioni più tecniche: bignè, crema pasticcera, pasta frolla classica e alle mandorle, pere sciroppate al profumo di anice stellato, crostata alle mele, frangipane alle pere sciroppate, crostata di frutta fresca, pan di Spagna, cake di base per cup-cake e plum cake, crumble alle mandorle, crema inglese, biscuit sacher, cremoso al cioccolato fondente, crema al mascarpone, tiramisù al bicchiere con pan di Spagna e gelée al caffè. Durante l’ultima lezione si realizzerà un dolce sotto la guida del maestro.

I corsi si tengono all’Accademia del Gusto di Osio Sotto (piazzetta don Gandossi 1).
Per informazioni: Accademia del Gusto – tel. 035 4185706-707 – info@ascomformazione.itwww.ascomformazione.it.


Dal risotto alla polenta, la cucina lombarda che piace all’estero

Non solo spaghetti con le polpette e fettuccine Alfredo. Complice il diffondersi della cultura gastronomica, della curiosità culinaria e dei viaggi, la cucina italiana all’estero oggi riesce anche ad esprimersi in maniera autentica, facendo spazio ai prodotti e ai piatti regionali.

La Camera di commercio di Milano ha scelto di verificare l’impronta della buona tavola lombarda sul portale Italian Quality Experience promosso insieme a Unioncamere e alle altre Camere di commercio (www.italianqualityexperience.it). È emerso che sono 123 i ristoranti italiani (tra singole attività e catene) che all’estero offrono cucina regionale di tradizione o ispirazione lombarda certificati dalle Camere di commercio e che sono presenti prevalentemente in Europa (28%), Asia (27%) e Centro e Sud America (21%).

Si scopre anche che il simbolo del mangiare lombardo nei ristoranti esteri è il risotto, protagonista in un menù su tre, seguito dalla costoletta alla milanese (15%), dalle zuppe e i minestroni (15%) e dal vitello tonnato (11%). Diffusi anche la polenta e l’ossobuco alla milanese (un menù su dieci li offre). Ci sono inoltre gnocco fritto alla polenta con funghi freschi o gorgonzola, ossobuco, risotto alla milanese con midollo, tagliere di formaggi tipici lombardi, casonsei e zuppa bresciani, costoletta alla milanese, cannelloni di zucca alla cremonese, pulaster, chips di polenta fritta.

Proposte rispettose della tradizione e degli ingredienti tipici si traducono in promozione dell’agroalimentare e in un marketing diffuso. I prodotti partono soprattutto da Milano (oltre un miliardo), Bergamo (470 milioni) e Mantova (420). Carne, frutta, formaggi e prodotti farinacei vanno sulle tavole francesi, il pesce in Grecia, gli oli e i vini negli Stati Uniti, le granaglie e gli amidi in Germania. In crescita il Regno Unito, soprattutto per pane e prodotti da forno (+22%) e per vini e bevande (+11%) così come gli Stati Uniti (+14%), il Giappone per gli oli (+29,5%) e la Svizzera per le carni (+9,8%) e i pesci (+7,6%), secondo quanto emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati Istat nei primi nove mesi del 2015 e 2014.