I nuovi comportamenti di acquisto dei consumatori in tempi di Covid

Un bergamasco su due nel 2020 ha acquistato anche online: è questo uno dei tanti dati che emergono della ricerca “I nuovi comportamenti di acquisto dei consumatori bergamaschi e i nuovi fabbisogni formativi delle imprese” realizzata da Format Research per conto dell’Ente Bilaterale Territoriale del Terziario di Bergamo e dell’Ente Bilaterale Alberghiero e dei Pubblici Esercizi di Bergamo. L’obiettivo dell’indagine è quello di rilevare il cambiamento degli stili di acquisto e di consumo dei consumatori residenti nella provincia di Bergamo, anche in funzione delle profonde modificazioni in atto nello scenario economico dominato dall’emergenza sanitaria che ha dato una spinta agli acquisti online e alla digital innovation. Tale studio ha permesso di analizzare a partire dal cambiamento degli stili di consumo le nuove esigenze formative (e nuove competenze) delle quali le imprese attualmente debbono dotarsi per restare competitive sul mercato.

L’indagine è stata rivolta ad un campione statisticamente rappresentativo di cittadini di Bergamo, di età superiore ai 18 anni, nell’ambito del quale sono stati profilati quattro cluster di rispondenti che (nel corso di tutto il 2020) hanno effettuato acquisti online almeno una volta alla settimana, almeno una volta al mese, almeno una o due volte nel corso dell’ultimo anno o non hanno effettuato acquisti online nel corso dell’ultimo anno (ma negli anni precedenti li avevano effettuati) o non hanno mai effettuato acquisti online.

Un nuovo approccio al mondo del commercio

«Grazie a questa ricerca abbiamo lo stato dell’arte del mondo del commercio nell’anno della pandemia – aggiunge Giovanni Zambonelli, presidente di Ascom Confcommercio Bergamo -. L’indagine mostra come si sono organizzati i nostri associati, i servizi che hanno fornito e quelli che dovranno ancora dare affinché nessuno resti indietro in questa sfida. Alcuni dati che emergono sono positivi altri preoccupanti. Di fatto, un nuovo approccio al mondo del commercio è fondamentale e determinerà la sopravvivenza di tutto il mondo del terziario”.

Per Enrico Betti, presidente dell’Ente Bilaterale Territoriale del Terziario di Bergamo “l’indagine fotografa una situazione territoriale molto in evoluzione dalla quale si evidenzia l’esigenza di sviluppare nuove competenze e migliorare quelle già possedute al fine di consentire alle aziende di restare competitive e ai lavoratori di maturare nuove skills da integrare alle capacità già consolidate. Gli enti promuoveranno nel corso del 2021 corsi e aggiornamenti specifici per il settore in modo da aiutare questa evoluzione”.

“In un periodo di grandi trasformazioni, la ricerca commissionata dai nostri Enti centra un obiettivo fondamentale: partire dalle nuove abitudini di consumo sul fronte della clientela e dell’utenza e le relative ricadute percepite dalle imprese per analizzare come queste si possano attrezzare – afferma Alberto Citerio, presidente Ente bilaterale turismo -. Per quanto riguarda il turismo, Pubblici Esercizi e Alberghi, la situazione è particolarmente grave; gli aspetti congiunturali legati alla pandemia distorcono qualunque ragionamento di prospettiva legato anche ai nuovi stili di consumo. I dati ricavabili dalla ricerca dicono, per il turismo, che solamente il 3.5% delle imprese (contro il 9.5% del terziario) si è dotata di nuove figure professionali che possano gestire il cambiamento e che il 12.5% (contro il 28.5% del terziario) ha intenzione di mettere in campo formazione sulle innovazioni. Questi dati meritano di essere approfonditi e compresi al netto della congiuntura attuale. Qualificazione del personale attraverso la formazione, rimane elemento centrale dell’azione che l’Ente del turismo bergamasco intende intraprendere per dare risposte a Imprese e Lavoratori in questo difficile momento”.

“Questa indagine è una delle prime in Italia a proporre una doppia prospettiva (consumatori e imprese) di lettura – spiega Pierluigi Ascani, presidente di Format Research -. È stata infatti utile non solo per esplorare le tendenze di consumo e quindi le esigenze del commercio e dei pubblici esercizi per rispondere all’impatto della crisi ma anche per capire come le imprese si siano strutturate per fronteggiare un anno orribile come quello appena concluso. Esigenze legate al modo di fare impresa, alle prospettive di business e di occupazione: il mondo del terziario è infatti sempre più complesso e da questa ricerca emerge che la provincia di Bergamo è stata molto attenta a cogliere le dinamiche legate alla vendita di servizi e prodotti, dimostrando quindi un’ottima resilienza e una propensione a trovare nuove soluzioni in una logica di cambio di prospettiva nella relazione coi consumatori”.

La ricerca in sintesi

Il cambiamento degli stili d’acquisto
Il 53% dei consumatori di Bergamo ha dichiarato che sulla totalità dei costi sostenuti nel corso del 2020, oltre il 50% è stato destinato a spese obbligatorie (affitto, manutenzione e riparazione casa, bollette, sanità, spese mezzi di trasporto esclusi i combustibili, assicurazioni, servizi finanziari).
Oltre il 45% dei consumatori hanno sostenuto «spese obbligatorie» in misura maggiore rispetto all’anno precedente. Le restrizioni subite e la necessità di risparmiare hanno sicuramente influito sulle spese non necessarie e, infatti, solo il 23% dei consumatori, una percentuale esigua, ha sostenuto in misura maggiore «spese non obbligatorie».

L’acquisto online dei beni di prima necessità
Elevato il ricorso al canale online da parte dei consumatori bergamaschi per l’acquisto di beni di prima necessità nel corso dell’ultimo anno: oltre il 56% ha acquistato online generi alimentari e più del 78% prodotti per l’igiene personale e per la pulizia della casa.
Oltre il 75% dei consumatori di Bergamo ha speso di più rispetto all’anno precedente allo scoppio dell’emergenza sanitaria per acquistare beni di prima necessità online.

I canali per l’acquisto online dei beni di prima necessità
Le catene della Gdo (52,2%) e Amazon Prime (48,4%) sono risultati i canali online più utilizzati per l’acquisto dei generi alimentari. Il 31,1% dei consumatori si è rivolto anche ai negozi che si erano organizzati con le consegne a domicilio.

I beni acquistati nel corso dell’ultimo anno
Prodotti farmaceutici, abbigliamento e articoli per la casa ma anche prodotti elettronici, elettrodomestici e articoli sportivi sono risultati i prodotti maggiormente acquistati dai cittadini bergamaschi nel corso del 2020. 

I canali per l’acquisto dei beni non alimentari
Le piattaforme marketplace e i siti web dei rivenditori sono stati i canali maggiormente utilizzati (85,6%) per effettuare acquisti di prodotti non alimentari. Il 35,5% ha acquistato direttamente dal sito web di un negozio fisico.
Tra coloro che hanno acquistato anche presso i negozi fisici, il 75,2% ha utilizzato i punti vendita presso i centri commerciali. Il 52,2% ha acquistato nei punti vendita tradizionali.

I motivi per i quali si acquista online o in negozio
Il processo di acquisto è diventato «circolare» e la ricerca mette in luce come oggi il consumatore vuole essere parte «attiva» del processo, comparando i prezzi, informandosi. Comodità del servizio online, possibilità di comparare i prezzi e risparmio di tempo sono infatti le motivazioni più comuni. Al contrario, il negozio tradizionale viene preferito perché permette di trovare subito i prodotti, di capire se sono i prodotti giusti e perché svolge una funzione sociale di evasione e aggregazione per i consumatori.

I driver alla base dell’acquisto
Il 54,1% dei consumatori si è informato sull’acquisto più importante (in valore) con il desiderio di acquistarlo online, come poi ha fatto. Il 22,6%, invece, lo ha desiderato ma poi non lo ha fatto.

L’attività dei negozi tradizionali sul web 
Oltre il 66% dei consumatori che hanno effettuato acquisti anche presso i negozi tradizionali, hanno ricevuto assistenza sul web e/o sui social. Questo mette in luce come a Bergamo il consumatore abbiamo trovato assistenza online da parte dei negozi tradizionali.

La resilienza delle imprese di Bergamo
Le imprese di Bergamo hanno vissuto grandi difficoltà durante la pandemia e oltre il 61% ha visto un peggioramento dei propri ricavi. Il 32% ha dichiarato di avere cercato di fronteggiare il calo dei ricavi adottando un qualche genere di soluzione e oltre il 90% delle imprese sono certamente consapevoli del fatto che gli stili di consumo sono cambiati nel corso degli anni (il 65% attribuisce tale cambiamento alla pandemia).  Tra le imprese che hanno ravvisato un cambiamento il 55% ritiene che il proprio personale non abbia le competenze giuste ma è disposto a erogare formazione sul tema.

Nuove figure professionali e formazione ad hoc
Anche se solo l’8% delle imprese di Bergamo si è dotato di nuove figure professionali, pronte a cogliere il cambiamento in atto, il 10% ha intenzione di dotarsene nei prossimi due anni. Si tratta in particolare di imprese dei servizi e del commercio. Tra le «nuove figure professionali» le imprese hanno introdotto (o stanno introducendo) in prevalenza assistenti alle vendite, consulenti di marketing e figure legate all’innovazione digitale. Tra le imprese che nei prossimi due anni vogliono introdurre nuove figure professionali, il 24% attiverà anche dei corsi di formazione.

Nuovi modelli di business
Le imprese di Bergamo non si sono fermate durante la pandemia e il 35% delle imprese ha iniziato ad utilizzare l’e-commerce dall’avvento del Covid. Una variazione percentuale del +134% rispetto al periodo pre-pandemia. Solo il 14% delle imprese che svolgono attività di e-commerce hanno figure preposte alla gestione di tale attività. Inoltre, a seguito dell’esigenza di aggiornare le competenze dei collaboratori e avere del personale dedicato al commercio elettronico, il 42% delle imprese ha fornito formazione apposita ai propri dipendenti. In prevalenza in promozione e comunicazione.

 

La ricerca completa:

I nuovi comportamenti di acquisto dei consumatori bergamaschi e i nuovi fabbisogni formativi delle imprese


Buoni pasto, le nuove norme non risolvono i problemi. Anzi…

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di Oscar Fusini*

Quando si dice che la montagna ha partorito il topolino.

Il nuovo decreto del ministero dello Sviluppo Economico sui buoni pasto, in vigore dal 9 settembre, introduce la cumulabilità dei buoni ed allarga la platea di coloro che possono accettarli, ma non interviene sulla sostenibilità di questi strumenti da parte della filiera coinvolta.

Ci aspettava, dopo anni di ritardo e di difficoltà, una legge che risolvesse i problemi del settore ed invece il provvedimento rischia di aumentare ancora di più le criticità.

Certo, in alcuni ambiti come quello della trasparenza dei rapporti tra emettitori ed esercenti, la legge è un passo in avanti, ma il provvedimento non sana la grave lacuna della non sostenibilità economica del buono e, con questo, l’indebolimento qualitativo della rete degli esercizi e dei servizi erogati.

In primo luogo la tanto decantata cumulabilità non sembra una novità. Il nuovo decreto estende la cumulabilità fino a otto buoni senza chiarire se è per prestazione o giornaliera. Del resto, comunque, questa era una prassi già in uso e consolidata.

Il vero problema dei buoni pasto è a monte. Giusto per non usare giri di parole, occorre ricordare che lo Stato per i buoni pasto dei suoi 900.000 dipendenti vuole risparmiare qualche miliardo di euro e cerca di scaricare il suo onere innanzitutto sui dipendenti che li ricevono, consegnando loro buoni con valore facciale uguale ma con valore reale sempre più basso, e poi sugli esercenti, che devono o dovrebbero offrire un servizio adeguato a prezzi inferiori.

Questo spiega perché il Ministero abbia deciso di allargare la platea di chi li può accettare. Non era un privilegio che fin qui li potessero accettare solo bar, ristoranti ed esercizi limitatamente a piatti pronti per il consumo, dato che il buono rappresentava un servizio sostitutivo della mensa e per questo ha sempre goduto della detassazione che tanto piace a datori di lavoro e beneficiari.

Ora con i buoni si potrà comprare qualsiasi prodotto alimentare, anche materie prime, semilavorati ecc. non pronti per essere consumati.

Chiaro che da una funzione di servizio si è passati a considerare il buono pasto uno strumento di pagamento e qualche rischio sulla detassazione potrebbe esserci.

In realtà la manovra è più strategica. Dato che la rete dei bar e dei ristoranti fatica a sostenere il costo delle commissioni, si apre l’accettabilità anche alle altre categorie sperando di trovare nuovi accettatori.

Ben venga, allora, che anche gli artigiani, gli agriturismi, gli ittiturismi e tutti coloro che vorranno d’ora li possano accettare, sappiano però che si siedono ad una tavola molto imbandita dove uno solo mangia e tutti gli altri pagano.

In questo modo si rafforzerà il fronte di coloro che chiedono una reale riforma del settore a beneficio di tutti.

Il fatto è che il decreto ministeriale segue il decreto legislativo 50 del 2016 e il suo fatidico art. 144 comma 6 sulle gare d’appalto dei servizi di ristorazione che stabilisce che il ribasso sul valore nominale del buono non possa essere superiore allo sconto incondizionato verso gli esercenti.

Potrebbe avvenire che questa norma faccia da calmieratore delle commissioni – ipotesi molto difficile –, più facile che le commissioni per gli esercenti raggiungano e superino il 20% senza più possibilità di ritorno.

Ma chi potrà sostenere questi nuovi buoni pasto?

Verrebbe da dire nessuno ma qualche disperato lo si trova sempre. Temiamo sempre di più che precipiterà la qualità del servizio e aumenteranno i prezzi. A danno di tutti: consumatori, lavoratori esercenti con lo Stato l’unico che continuerà a risparmiare.

*direttore Ascom Bergamo Confcommercio


BiGi, occhio ai fanali! In due biciclette su tre non funzionano

bigi - seraImpegnato a far rispettare il codice della strada, il Comune di Bergamo ne sta anche infrangendo le norme.

A mettere in luce (è il caso di dirlo) il paradosso è Federconsumatori che tra il 15 di agosto e il 7 settembre ha effettuato una verifica a campione sull’efficienza delle BiGi, le biciclette del servizi di bike sharing cittadino. Ebbene, delle 148 biciclette controllate, distribuite su 28 stazioni, soltanto 48 avevano l’impianto di illuminazione regolarmente funzionante. Due su tre, quindi, non erano in regola, con guasti al faro anteriore, a quello posteriore o a entrambi.

L’associazione ha segnalato all’Atb, che gestisce il servizio, i numeri identificativi delle biciclette inutilizzabili e invita i cittadini, quando prelevano le biciclette, fare attenzione che tutto funzioni regolarmente e, in caso contrario, a segnalarlo.

Pedalare a fari spenti infatti non è solo pericoloso per sé e per gli altri utenti della strada ma anche passibile di una sanzione compresa tra i 24 e i 97 euro, secondo quanto previsto dal codice della strada per chi circola senza luci o con luci non conformi (art. 68).


“Prenota direttamente”, campagna europea per sensibilizzare al contatto diretto con l’hotel

book_directly_windowsticker_600x600L’abolizione delle clausole di parity rate – che permette agli alberghi di offrire prezzi più bassi rispetto ai portali di prenotazione – favorisce il contatto diretto del cliente con l’hotel. Per far crescere la consapevolezza tra gli ospiti e gli albergatori dei vantaggi che questo comporta, Federalberghi, insieme ad Hotrec – la confederazione europea delle imprese alberghiere e della ristorazione – ed alle associazioni albergatori di tutti i paesi europei, promuove la campagna “Prenota direttamente / Bookdirect”.

Il messaggio viene lanciato su scala continentale e può dunque contare su un’enorme cassa di risonanza costituita da quasi 600.000 strutture, che hanno una capacità ricettiva di oltre 30 milioni di posti letto ed ogni anno accolgono 880 milioni di turisti, con un miliardo e quattrocento milioni di pernottamenti.

Tutti coloro che desiderano partecipare alla campagna possono ottenere gratuitamente il logo, richiedendolo alle associazioni albergatori aderenti a Federalberghi o scaricandolo dal sito internet www.hotrec.eu/bookdirect, sul quale è disponibile anche un’ampia gamma di materiali promozionali (adesivi, vetrofanie, depliant, bandiere, roll-up, blocchi per appunti, appendiporta, sottobicchieri, etc.) realizzati in 17 lingue (ceco, croato, finlandese, francese, greco, inglese, italiano, lettone, lituano, norvegese, olandese, polacco, slovacco, svedese, tedesco, turco e ungherese).


Il gelo e i prezzi dell’ortofrutta / «Ma quale speculazione? I consumatori sanno scegliere»

Il freddo delle ultime settimane ha fatto impennare i prezzi dei prodotti ortofrutticoli ma ha anche alimentato l’allarme speculazione. La denuncia di rincari ingiustificati è arrivata dalle associazioni degli agricoltori, dei consumatori e anche da una parte dei dettaglianti.

Di diverso avviso è Livio Bresciani, presidente del gruppo Fruttivendoli dell’Ascom di Bergamo che guida anche la categoria a livello nazionale in Fida Confcommercio. «Operiamo in un contesto di libero mercato dalle dinamiche chiare e note – ha dichiarato a Italian Fruit News, in un faccia a faccia con il presidente di Assofrutterie Fiesa Confesercenti Daniele Mariani -. In situazioni come queste si cerca di vendere al meglio, ma riteniamo non ci siano operazioni speculative di significativa entità. Anche perché il consumatore è maturo e consapevole, boccia eventuali situazioni estreme limitando o allontanandosi dall’acquisto fino a quando non tornano condizioni normali: si può vivere tranquillamente senza comprare un determinato ortaggio per qualche giorno». Per Bresciani, infine, «questa ondata di gelo sta destando scalpore, ma non va dimenticato che siamo in pieno inverno, un inverno rigido e non mite come quello cui forse ci si era abituati. E le conseguenze sono anche aumenti di quotazioni legate all’offerta esigua».


Carne, cala il consumo ma non per tutti allo stesso modo

Raw Meat

Il calo del consumo di carne c’è, ma non per tutti allo stesso modo. Lo ha evidenziato la ricerca “Gli italiani a tavola: cosa sta cambiando” realizzata dal Censis nel settembre-ottobre 2016, utilizzando i dati sulla dieta come chiave per raccontare i cambiamenti in atto nella società.

Il periodo preso in considerazione è quello degli anni della crisi (2007-2015), nel quale si evidenzia una riduzione da parte delle famiglie della spesa per i consumi alimentari del 12,2% e, in particolare, del 16,1% quella per la carne «l’alimento che nei decenni passati segnava simbolicamente l’ingresso delle famiglie nel benessere», sottolinea lo studio. Il fenomeno viene però analizzato più nel dettaglio e allora si scopre che, nella crisi, le famiglie meno abbienti, quelle operaie e quelle in cui il capofamiglia è in cerca di occupazione, che mediamente consumano meno carne rispetto a quelle degli imprenditori, hanno subito una più intensa riduzione della spesa, accentuando il divario. Si è perciò instaurata, secondo la ricerca, «la logica socialmente regressiva del “meno mangi carne, più devi ridurla”».

Carne, consumi a confronto

  • nel 2015 la spesa per acquistare la carne per i membri di famiglie operaie è stata dell’11,8% inferiore rispetto a quella delle famiglie di imprenditori, mentre la differenza si fermava al 6,9% nel 2007. Sempre nel 2015, le famiglie con a capo un disoccupato hanno sostenuto una spesa per la carne del 29,1% inferiore rispetto alle famiglie degli imprenditori, mentre era inferiore del 18,2% nel 2007;
  • in termini di variazione percentuale, nel periodo di crisi le famiglie operaie (-20,0%) e quelle con a capo un disoccupato (-26,7%) hanno ridotto la spesa per la carne in misura maggiore rispetto alle famiglie degli imprenditori (per le quali si registra un -15,5% di spesa in meno).

Sul consumo di carne bovina, in particolare, dai dati emergono tagli ancora più significativi nel periodo della crisi proprio da parte delle famiglie che già in precedenza consumavano quantità inferiori di questo alimento:

  • le famiglie operaie sostengono nel 2015 una spesa per la carne bovina del 16,7% inferiore a quella delle famiglie di imprenditori, mentre il divario era dell’11% nel 2007. Le famiglie con a capo un disoccupato registrano una spesa per consumo di carne bovina del 30,8% in meno rispetto a quelle degli imprenditori, divario raddoppiato rispetto al 2007, quando era del 15,7%;
  • in termini di variazione percentuale della spesa per la carne bovina, le famiglie operaie tagliano del 38,5%, quelle con capofamiglia in cerca di lavoro del 46,1%, mentre quelle degli imprenditori del 34,3%.


Macellerie / «Gdo e aumento dei “veg” ci mettono in difficoltà»

Crisi, cambiamenti nei consumi e nuovi regimi alimentari pesano sui bilanci delle macellerie tradizionali. «Nel 2016 si sono fatte sentire più degli anni precedenti la concorrenza della grande distribuzione organizzata e la crescita di vegetariani e vegani. La carne è stata a tal punto demonizzata da limitare di molto i consumi, fino ad eliminarla del tutto nei regimi più restrittivi, adottati da sempre più bergamaschi – spiega Ettore Coffetti, presidente del Gruppo Macellerie Ascom -. Con la gdo la concorrenza si gioca soprattutto sugli orari di apertura e sulla possibilità di parcheggio, perché in molti casi i prezzi sono superiori a quelli praticati nei nostri negozi. Il problema della viabilità e dei parcheggi, sempre più cari, penalizza pesantemente i commercianti del centro città».

Non manca un certo pessimismo per il futuro: «Sono pochi i giovani a rinnovare la tradizione del nostro mestiere. In assenza di un ricambio generazionale e con la stretta della crisi, credo che perderemo diverse insegne anche storiche. Le nuove generazioni poi cucinano poco o nulla e prediligono shopping center per gli acquisti settimanali. Per i grandi secondi della tradizione aspettano l’invito a casa di genitori e nonni». Per le occasioni importanti la macelleria resta però il punto di riferimento per le spese: «Lo scorso anno Natale è stato molto positivo rispetto agli ultimi 5 anni, tanto che speravamo fosse il segno di una ripresa che purtroppo non è mai arrivata. Quest’anno invece è mancato entusiasmo per le feste  e gli ordini per il tradizionale pranzo di Natale e per Capodanno sono stati inferiori al 2015».


Ancora in cerca dei regali? I consigli dell’Ascom per non sbagliare

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Mancano pochi giorni al Natale e la ricerca dei regali da mettere sotto l’albero è nelle fasi calde. Che sia un regalo per la moglie, la mamma, il marito, il figlio o il papà, trovare il regalo perfetto, che ognuno vorrebbe ricevere, non è facile. Con l’aiuto dei presidenti di categoria Ascom abbiamo messo insieme alcune delle idee regalo più “giuste” per questo Natale 2016.

Il regalo più desiderato per la donna rimane un gioiello. «Il diamante è anche un investimento ed è perfetto per chi desidera fare un dono molto importante e da ricordare – dice Alessandro Riva presidente del gruppo Gioiellieri e Orefici – ma in generale non si sbaglia se si scelgono anelli, collane, orecchini e bracciali d’oro purché di qualità, senza farsi lusingare dalle firme».

In tema di elettronica, da anni in cima ai desideri di tutti, dai bambini agli over 60, «lo smartphone rimane l’oggetto dei desideri per adulti e ragazzi – dice Armando Zucchinali presidente del gruppo Rivenditori di elettrodomestici e materiale elettrico –. Ma quest’anno risulteranno molto graditi anche frullatori, centrifughe ed estrattori per la donna, e il rasoio, un evergreen in tema di regali maschili».

Anche per questo Natale l’abbigliamento e la pelletteria saranno regali apprezzati. «Per la donna capi d’abbigliamento in nero, anfibi e pantaloni a palazzo, per l’uomo giubbotti in montone o in lana e scarpe con doppia fibbia» consiglia Diego Pedrali, presidente Gruppo Abbigliamento e Calzature.

Chi desidera buttarsi sul food per il regalo al marito, papà, fratello o cognato «farà una scelta originale e senz’altro apprezzata con la scelta di birre artigianali, un rosso importante oppure bollicine italiane, ormai preferite alle francesi» assicura Giampietro Rota (gruppo Grossisti di vino e bevande).

Con una spesa contenuta infine (intorno ai 15-20 euro) ci si può orientare su doni floreali: «Niente stelle di Natale però – avverte Adriano Vacchelli (gruppo Fioristi)  – ma centri tavola e bulbi con decorazioni natalizie».

Oppure sul classicissimo libro. Per non sbagliare titolo, Roberto Cecchinelli (Librai) consiglia: «”L’Angelo” di Sandrone Dazieri Mondadori editore, una lettura mozzafiato che accontenta tutti i gusti; “Vite minuscole”‘ di Pierre Michon edito da Adelphi, una serie di strepitose brevissime biografie di sconosciuti, un capolavoro di scrittura per chi ama leggere per il piacere della lettura e “Il libro dei Baltimore” di Joël Dicker, autore del grande successo “La verità sul caso Harry Quebert”, edito da La nave di Teseo». E per i bambini «”La luna è dei lupi” dello scrittore bergamasco Giuseppe Festa, Salani editore, l’emozionante viaggio di un branco di lupi alla ricerca della libertà; e il nuovo “Diario di una schiappa. Non ce la posso fare” di Jeff Kinney entrambi dai 10 anni».

Per un “regalo di famiglia”, infine – consiglia Lorenzo Cereda (gruppo mobilieri) « il Natale può essere l’occasione per cambiare il divano o il materasso».


Le scivolate dei clienti tra “Tachipirinha” e whisky “Johnnie Wayne”

Guardare programmi di cucina in tv, condividere foto di piatti e giudizi on line ci ha reso fini intenditori? Sembrerebbe di no. Almeno a giudicare dagli strafalcioni, dagli errori e dalle cadute di stile dei clienti nei quali continuano a imbattersi chef, ristoratori e barman nel loro lavoro quotidiano. Peccato che non ci sia un Tripadvisor al contrario, un sito dove è chi sta dall’altro lato del menù a mettere a nudo chi frequenta i locali, altrimenti se ne sentirebbero delle belle. Ci abbiamo provato noi a mettere insieme una scherzosa “rivincita” raccogliendo gaffe, ingenuità e mancanze dei consumatori.

Come quella signora in un locale bergamasco che di fronte alla proposta di una spigola all’amo ha dichiarato con perentoria fermezza di non gradirla, ma di preferire del branzino (è lo stesso pesce, indicato con due diversi termini regionali). O la “collega” ben più raffinata che ha ordinato delle “cap santé”, inutile pronuncia francese per un antipasto di “capesante”.

cameriere-cliente-ristorante-menu-ritD’accordo, si dirà, il pesce è storia recente per i palati orobici. Ma nemmeno con la carne va meglio e così, come riferisce Diego Pavesi chef del ristorante Della Torre di Trescore Balneario, c’è chi chiede un filetto ben cotto lamentandosi poi perché è asciutto e chi non ha gradito il carpaccio «perché era crudo» (!). C’è anche poca dimestichezza con le regole della ristorazione. «Capita che per la pausa pranzo – evidenzia Pavesi – ci siano persone che ordinano alla carta, magari ognuna un piatto diverso, per poi rendersi conto di non avere abbastanza tempo per la cucina espressa». E che dire di coloro che si ritengono dei gourmet fatti e finiti? Quelli che amano provare i locali e fare classifiche? «Aderiamo al circuito trentacinqueuro.it – racconta lo chef – e talvolta, passando tra i tavoli, capita di sentire paragonare la proposta con quella del locale dove “con 20 euro ne mangi di pesce”, che la dice tutta sulla capacità di valutare la differenza di qualità delle materie prime, della preparazione e del servizio», riflette un po’ amaramente.

Che poi è anche una questione di tatto, o no, cari clienti. «Un classico – annota il patron dell’Arlecchino a Bergamo, Franco Previtali – è la telefonata per sapere se c’è posto in giornate particolari, come Ferragosto. Alla risposta che è tutto completo il commento è “ah, anche voi!”», che svela la scelta di ripiego. E poi ci sono quelli che hanno bisogno di conferme: «Pronto, è la Pizzeria Arlecchino? Fate la pizza?», è l’aneddoto preferito della figlia Francesca.

I non professionisti diventano comunque più attenti e diligenti quando si mettono alla prova in cucina. All’Accademia del Gusto di Osio Sotto ricordano ancora la signora che pulendo i porri gettava la parte bianca, anziché le foglie, e lo chef Pavesi di una persona fortemente allergica all’aglio che probabilmente aveva scelto il corso meno adatto, quello sul pesce. Ma i casi non sono così numerosi. «Anche nei corsi di pasticceria – racconta il docente Diego Mei – grandi svarioni non ce ne sono. Forse perché l’atteggiamento prevalente è quello di chi vuole imparare». Eppure un po’ l’ha spiazzato la signora che ha rifatto a casa la crema mostrata a lezione confessando che però era venuta più morbida. «Ho usato esattamente gli stessi ingredienti», ci ha tenuto a precisare. «Ma li ha pesati?». «No!», la risposta che demolisce la base stessa della pasticceria, che vuole ogni elemento esattamente bilanciato. «L’errore più frequente – evidenzia il pasticciere – è voler fare le dosi a occhio o pensare di poter sostituire un ingrediente con un altro senza compromettere il risultato, come la corsista che voleva fare una frolla con solo burro di cacao». «Un altro “peccato” – aggiunge – è badare più all’estetica che al gusto, come riuscire a fare dei macaron dal guscio liscio e ben sviluppato, ma cadere sul ripieno, che invece è la parte più importante di questo dolce». Poi è vero che ogni corso offre una galleria di tipi umani che meriterebbero un capitolo a parte. «Si va dall’impedito a quello che sa già tutto – sintetizza Mei -, ma ponendosi senza saccenteria e presentando gli argomenti in maniera semplice si riesce, alla fine, a far sentire tutti a proprio agio».

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Il campionario più vasto di stramberie e incidenti da ordinazione ce l’hanno probabilmente i baristi. Vuoi perché si è più di fretta o sovrappensiero o perché non sempre c’è il supporto della lista e si va a orecchio. Come chi chiede il whisky “Johnnie Wayne” (storpiatura con riflessi cinematografici del marchio Johnnie Walker), la birra doppio smalto o un succhiotto (lapsus?) di frutta fresca. Tutti casi raccolti da Gabriele Aresi, titolare del 30 & Lode Cafè di via Dei Caniana a Bergamo che ha anche gestito l’estivo al parco della Trucca.

Pure la caffetteria, con le sue innumerevoli varianti, è fonte di sorrisi («un caffè con latte macchiato»), richieste al limite dell’assurdo («un caffè liscio, ben caldo, in tazza ghiacciata») e situazioni spiazzanti. «Ad un signore che aveva ordinato un cappuccino – svela Aresi –, la cameriera aveva chiesto “cacao o cannella?”, mandandolo nel panico. “Perché, quello normale è finito?” la preoccupata reazione del cliente». «Come ci si comporta in questi casi? Si fa finta di nulla – dice il barman – per non rischiare di offendere, ma poi si condivide l’episodio con i colleghi e ci si scherza su».

Un’altra categoria è quella dei super esperti che proprio tali non sono. «Chi ordina un gin tonic raccomandandosi di preparalo con l’Havana 3 (che però è un rum ndr.) o chi è convinto di avere la ricetta perfetta per il Negroni. Non credo che i programmi tv abbiano reso più preparati i clienti – riflette Aresi -, anzi, probabilmente li hanno illusi di poter esprimere giudizi in libertà e di criticare».

Anche il barman e formatore Gianfranco Di Niso si è dovuto destreggiare tra nomi improbabili e richieste strampalate. «Molto frequente è sentirsi ordinare una Tachipirinha anziché una Caipirinha – afferma -, in altri casi è persino difficile capire cosa il cliente voglia e gli si fa qualche domanda per essere più sicuri». “Quel cocktail inventato a Mosca”, ad esempio, è una parafrasi diffusa, pur se inesatta, per il Moscow Mule. «L’incidente diplomatico l’ho rischiato di fronte ad una signora napoletana – confessa – che mi ha chiesto una “premuta di arancia”. Lì ho fatto davvero fatica a trattenermi dal ridere, ma è stato difficile convincere anche quell’altra signora che voleva a tutti i costi lo spritz alla spina». Neppure tra gli aspiranti professionisti mancano gli svarioni. «Inevitabilmente, durante i corsi, il pisco, brandy sudamericano, diventa “psico”», dice Di Niso, che, per riportare un po’ di equilibrio nel match tra avventori e baristi ricorda anche la scivolata di un collega. «Alla richiesta di una Pina Colada, ha passato in rassegna con attenzione tutte le bottiglie per poi uscirsene con un “Mi dispice, è finita!”».


Italiani più propensi a viaggiare, ma otto su dieci restano tra i confini nazionali

Secondo l’Osservatorio Confturismo-Istituto Piepoli, il valore dell’indice di propensione al viaggio degli italiani ha registrato nel mese di giugno un valore di 65 punti, in crescita rispetto al mese di maggio (+2 punti), vicino al massimo storico dello scorso luglio (66 punti). Il valore è anche superiore a quello registrato nel giugno del 2015 (+3%).

«Il dato non indica quanto crescerà esattamente il turismo nel prossimo trimestre – precisa l’Osservatorio -, ma è invece un chiaro indicatore che la stagione turistica per gli italiani volge al bello. L’indice è molto positivo, anche tenendo in considerazione il risultato del referendum britannico sulla permanenza nell’Unione Europea, poiché l’incertezza che si è venuta a creare non aiuta l’economia». Tuttavia l’impatto del referendum è inferiore nel momento in cui si analizza la propensione a viaggiare. Meno di un italiano su tre crede infatti che Brexit possa influenzare la propria propensione a viaggiare, che nel breve periodo cresce del 4 per cento a giugno rispetto alla rilevazione di maggio.

Gli italiani sono positivi nei confronti dell’attuale stagione turistica nel nostro paese dato che il saldo tra ottimisti e pessimisti è positivo di 20 punti percentuali. Questo ottimismo è quello che spinge in alto l’indice di fiducia del viaggiatore italiano. La durata media dei viaggi previsti per il prossimo trimestre è cresciuta nel mese di giugno, vista la stagionalità, fino a raggiungere le 7,5 notti per vacanza.

A livello di destinazione, il 79% degli italiani preferisce l’Italia come meta per i prossimi tre mesi, con Puglia, Sicilia e Toscana in cima alle preferenze. A livello europeo, la Spagna continua a confermare la sua posizione di leadership davanti alla Francia, Grecia e Croazia.

Un’ultima curiosità riguarda gli Europei di Calcio: meno di un italiano su cinque crede che un evento sportivo possa influenzare la propria destinazione di viaggio. Secondo il presidente di Confturismo, Luca Patanè, «l’indice mostra che i turisti italiani sono positivi per quanto riguarda le loro prossime vacanze nonostante il clima di incertezza che si respira a livello internazionale».