“Formati e Occupati”: tornano i corsi gratuiti per aspiranti cuochi, barman, addetti sala e reception

Al via a marzo tre percorsi formativi per stimolare nuove opportunità professionali nella ristorazione e nel turismo

Creare un ponte tra la scuola e il mondo del lavoro per stimolare nuove opportunità nella ristorazione e nel turismo: è in questa prospettiva che Ascom Confcommercio Bergamo con il sostegno dell’Ente bilaterale del Turismo ha dato vita al progetto «Formati e Occupati», un percorso di formazione gratuito che prevede tre corsi professionalizzanti con un unico obiettivo: rispondere alle richieste di un mercato sempre più bisognoso di competenza e professionalità. Formazione però non fine a se stessa: come per la prima edizione del 2019 – 22 corsisti e 21 contratti di tirocinio retribuito – il progetto coinvolte una ventina di imprese del territorio con l’obiettivo di agevolare il matching tra domanda e offerta.

Formazione specialistica

Entrando nel dettaglio, l’«abc» delle competenze è comune a tutti i profili: consapevolezza del ruolo, rispetto delle regole, approccio al cliente e tecniche di accoglienza. I tre percorsi sono anche connotati da una componente pratica che porterà i corsisti ad arrivare preparati all’inserimento lavorativo. Le attività prevedono una formazione specialistica tecnica di 120 ore per ciascun percorso, in programma dal 7 al 30 marzo, e successivamente l’inserimento in azienda con un contratto di tirocinio retribuito di sei mesi nel periodo compreso tra aprile e ottobre. Ciascun corso è rivolto ad un massimo di 10 persone che dovranno superare una selezione. Il criterio fondamentale di giudizio sarà la motivazione e sarà stipulato con ciascun partecipante al progetto un patto formativo-didattico nel segno della crescita personale e professionale.
«In questo periodo di persistente crisi occupazionale e di difficoltà del mondo scolastico a portare a termine il ciclo di studi pesantemente condizionato dalla didattica a distanza – sottolinea Giovanni Zambonelli, presidente di Ascom Confcommercio Bergamo -. l’Ente bilaterale del Turismo ha deciso di investire concretamente nel futuro di questo settore, offrendo l’opportunità di un’ulteriore formazione o di un aggiornamento di competenze per tutti coloro che hanno il desiderio di operare in questo comparto così ricco di fascino e prospettive future».

I corsisti della prima edizione del progetto

Un’opportunità anche per i meno giovani

Contenitore di formazione specialistica accelerata, «Formati e Occupati» vuole offrire una possibilità concreta di rimettersi in gioco anche per i meno giovani e l’Ente Bilaterale del Turismo di Bergamo ha accolto lo sviluppo del progetto stanziando i fondi per rendere gratuito l’accesso al progetto: «La Bilateralità ha come scopo quello di fornire servizi ai lavoratori-lavoratrici e alle imprese – afferma Alessandro Locatelli, presidente Ente Bilaterale -. Per questo pensiamo sia importante investire sulla formazione finalizzata ad innalzare la professionalità degli operatori e delle aziende. Inoltre, l’incremento dell’occupazione può accrescere il benessere della nostra provincia».
«La formazione del personale è uno dei passaggi chiave per un’azienda e lo sviluppo delle competenze dei collaboratori va di pari passo con la competitività – aggiunge Enrico Betti, vicepresidente Ente Bilaterale -. Dal punto di vista del lavoratore, acquisire conoscenze specialistiche può servire a colmare lacune derivate da esperienze pregresse o alimentare il desiderio di conoscere nuovi percorsi professionali».


Apre “La Cambusa di Chicco” in onore dello chef Coria

Inaugurato il giorno in cui avrebbe compiuto 55 anni. L’amico di infanzia Deleidi: “Abbiamo realizzato il suo sogno”

“Buon compleanno Chicco, abbiamo realizzato il tuo ristorante e so che, da lassù, stai apprezzando. Che abbiano inizio le danze”. Con queste poche parole e tanta commozione Marco Deleidi ha innalzato i calici al cielo e inaugurato “La Cambusa di Chicco” ad Azzano San Paolo, in onore dello chef Chicco Coria, mancato lo scorso dicembre per setticemia. Quella di ieri è stata un’inaugurazione in un giorno particolare: giovedì 27 gennaio, infatti, Coria avrebbe compiuto 55 anni.
Entrambi originari di Martinengo, Coria e Deleidi sono stati amici d’infanzia, poi si sono persi nel loro percorso di vita. Deleidi è, infatti, un imprenditore nel settore dei trasporti e della logistica con base della sua attività a Malta. A ottobre del 2020, aveva deciso di rilevare Puerto John Martin insieme a un altro socio, aggiungendosi al vecchio proprietario. Per rilanciare il locale, l’imprenditore si era affidato all’esperienza e ai piatti d’autore di Coria che però non ha fatto in tempo a vedere: è mancato lo scorso dicembre per setticemia alla vigilia dell’inaugurazione.

Un ristorante all’interno di un galeone

Il ristorante a lui dedicato è dentro il ristorante, all’interno di un galeone. Si accede salendo sulla scalinata. E già questo fa capire l’esclusività del locale. Sono una quarantina i posti a sedere dentro il galeone; l’ambiente è intimo e raffinato; cucina, guardaroba e servizi sono a sé stanti. Il locale è aperto solo tre sere a settimana, il giovedì, venerdì e sabato, su prenotazione (allo 035 530137). Lo chef è Andrea Moratti, che aveva collaborato con Coria.

“Chicco ci ha lasciato in eredità una miriade di ricette – dice orgoglioso Deleidi -. Proporremo i suoi piatti gourmet, tutto parlerà del suo estro. L’idea della cambusa è nata con lui, noi l’abbiamo arredata, scelto pentole, piatti, posate e tovaglie e disposto i tavoli esattamente come lui voleva”.

Di altissimo livello il menù dell’inaugurazione: frittella di baccalà con aperitivo, capesante avvolte nella pancetta con crema di trevisano e Porto, risotto con gamberi, carciofi e salsa al basilico, filetto di orata con verdure condite allo zenzero e salsa di agrumi, semifreddo al cioccolato bianco e frutto della passione. Il tutto accompagnato da vini di pregio.

 

Chef dal talento impossibile da imbrigliare, Coria era soprattutto un lavoratore infaticabile. Alla vigilia dell’inaugurazione della Cambusa era stato ricoverato all’ospedale di Romano. Prima che la situazione precipitasse e venisse trasferito al Niguarda, dove è rimasto due giorni in terapia intensiva, aveva deciso il suo ultimo menù, al telefono con il collega Ezio Gritti: insalata di calamari e capasanta con porro al pepe rosa e panna acida, risotto all’estratto di barbabietola con burrata, filetto di vitello con carciofi e riduzione al vin rosso.

“Lo faccio per il mio amico Chicco, voglio che sia ricordato, è stato uno chef coraggioso e generoso, un grande innovatore e professionista, con un talento alla pari di Cracco e Cannavacciuolo, che alla fama preferiva le sfide, come quella di trasformare il galeone di un risto-pub in un ristorante d’eccellenza”, conclude l’amico.

 


Alessandro Borghese, lo chef rock & social

“Umiltà, fatica, educazione e rispetto sono funzionali in ogni campo. Io li ho portati in cucina”

Nessuno può negare che sia il più simpatico e vulcanico dei cuochi. Alessandro Borghese entra nelle case con diversi format, da “4 ristoranti”, oggi un vero cult, a “Kitchen Sound” su Sky Italia passando per “Cuochi d’Italia” e la novità “Piatto ricco” su Tv8. Nato a San Francisco nel 1976, ma cresciuto a Roma e trasferitosi a Milano dove ha messo radici per amore,  Borghese, definito lo chef rock & social, è stato premiato più volte per la sua cucina, legata alla qualità. Nel 2010 ha fondato a Milano AB Normal srl – Eatertainment Company. L’azienda si occupa di food consulting e advertising, punta sull’eccellenza creativa, comunicazione e allo sviluppo di format tv. Nel mondo della ristorazione, la società è presente con il brand “AB – Il lusso della semplicità”, nome del ristorante milanese dello chef. 

Borghese, è consapevole di essere il cuoco più simpatico della tv…

Me ne rallegro. La cucina non può essere severa, la cucina è gioia. E questo è il mio dogma. 

Lei è figlio dell’attrice di origine tedesca Barbara Bouchet e dell’imprenditore napoletano Gigi Borghese. Come ha scelto di intraprendere una strada diversa rispetto a quella dei suoi genitori?

Beh, alla fine ho avuto una ricaduta nel mondo dello spettacolo (sorride). La strada, in realtà, l’ho scelta da me. Da papà ho preso il lato gastronomico, da napoletano sanguigno era un amatore casalingo della cucina partenopea e romana. Fin da bambino mi divertivo a cucinare con lui. Ricordo il ragù messo sui fornelli al mattino presto che “pappugliava” per ore per poi farsi pacchero o spaghettone. E il giorno dopo, con quello che avanzava, ci faceva la frittata di maccheroni. E ancora la pasta e patate o fagioli o lenticchie.  Mamma, al contrario, non saprebbe neppure accendere la carbonella. Mangia perché il corpo necessita di cibo. Da lei ho preso la confidenza con lo showbiz. 

Come hanno reagito quando ha iniziato la sua gavetta da cuoco sulle navi da crociera?

Mi hanno sempre detto: “fai ciò che ti rende felice, se vuoi partire, viaggiare, conoscere il mondo, sei libero di farlo”. Anche loro sono autodidatti. Entrambi mi hanno insegnato valori come l’umiltà, la fatica, l’educazione, il rispetto, che sono funzionali in ogni campo. Io li ho portati in cucina. 

Lei è stato anche il promotore della cucina in tv.

Era ora che avvenisse. All’estero avevano iniziato a comunicarla molto tempo prima. E io ho lavorato a New York, Londra, Copenaghen, San Francisco. Altri colleghi hanno scelto di fare linee di abbigliamento o catene di bistrot. Io sono stato il primo a far uscire i cuochi dalle cucine e, dopo di me, è partito un mondo di programmi. Prima non esistevano, eravamo confinati nelle retrovie con il nostro mestiere. 

Veniamo alle novità in tv. In “Piatto ricco”, il suo nuovo programma in onda su Tv8 (dal lunedì al venerdì alle 19.30), contano la psicologia, la strategia e la capacità di resilienza. Vale anche nelle cucine reali? 

Mi ero stancato, volevo qualcosa di nuovo, che spaccasse un po’ le regole: un cooking game show. Le doti richieste sono quelle che ci appartengono, noi cuochi siamo quelli dell’ultimo secondo, capaciti di adattarsi alle richieste, alle stagioni, agli imprevisti, come quando qualcuno della brigata manca: siamo problem solvers. Nello show occorrono strategia, il saper bleffare e ritirarsi (in cambio di denaro) oppure aspettare il jackpot rischiando di perdere tutto se si resta in gara fino alla fine ma poi non si vince. Tutto dipende da quanta fiducia si ha in se stessi. 

Su Sky, da fine settembre, all’ora di pranzo, si sono riaccesi i fornelli e si è alzato il volume della musica con la settima stagione di “Alessandro Borghese – Kitchen sound”, la videoenciclopedia enogastronomica che negli anni è diventata un cult televisivo con oltre mille puntate trasmesse. Quali saranno le sorprese? 

Gli spettatori vedranno 70 puntate inedite: per la prima volta tra i dieci ospiti ci sarà anche un flair bartender, Giorgio Facchinetti, che assieme ad acclamati chef, come Giancarlo Morelli e Cristiano Tomei, Claudio Sadler, Gennaro Esposito (con me a “Piatto ricco”) e a maestri pasticceri, come Sal De Riso e Luigi Biasetto, porteranno la loro inventiva. Le tappe, che corrispondono ad altrettanti filoni tematici, cominciano dalle puntate “Kids” dedicate ai più piccoli con menù fantasiosi, ma salutari; proseguono con le stelle della cucina italiana e le loro portate racchiuse nella serie “Amici miei”. Non manca il tributo alla tradizione con i “Grandi classici”, ma quest’anno si vola anche oltreoceano nel cuore dello street food con “On the road”. Spazio alla pasticceria e al bakery con un’odissea nel dessert d’autore e nell’arte bianca della panificazione e della lievitazione. Infine, vi porto nella cucina del mio ristorante milanese “Il lusso della semplicità”. 

C’è competizione tra voi cuochi?

C’è cameratismo, pensiamo a Giancarlo Morelli che ha aiutato Filippo La Mantia, ospitando nel suo ristorante “Bulk” l’amico, rimasto orfano del suo locale in centro, “Oste e cuoco”, chiuso causa Covid.  Siamo cresciuti insieme, sono amico e ho stima di tutti. Oggi abbiamo carriere parallele. C’è chi insegue la seconda o terza Stella Michelin, chi ha diversificato aprendo catene di bistrot, oppure chi è rimasto fedele al mestiere. Mi capita spesso di fare tardi in cucina per creare piatti nuovi, non dobbiamo scordarci il nostro lavoro.

A proposito dell’esperienza Covid (che, tra l’altro, ha descritto nel podcast “Viaggio all’inferno”), come vede il futuro della ristorazione così pesantemente colpito dalle chiusure?

Speriamo che sia finito il periodo nero. Ora è arrivato il tempo della ristrutturazione e della ricostruzione con basi più solide, nel bene e nel male è stata fatta pulizia. Noi tutti abbiamo perso elementi di brigata, cuochi che hanno deciso di fare tutt’altro, dopo aver passato 15 anni della loro vita in cucina. Giancarlo (Morelli, ndr) in un post ha ribadito la necessità di avere personale giovane umile, educato, volenteroso. Poi a insegnare a cucinare ci pensiamo noi. Non credo ai super fenomeni, a chi cerca subito la popolarità grazie alla televisione, che in realtà arriva dopo la gavetta. I fornelli implicano sacrificio, il sapersi rimboccare le maniche, il fare di tutto per raggiungere un obiettivo a testa bassa. Non è un mestiere che si fa tanto per diventare famosi. Il tutto subito non funziona, si arriva per gradi. Le lunghe cotture non avvengono in 5 minuti.

Quindi il suo consiglio ai giovani qual è?

Imparare le basi, avere umiltà, pazienza e dedizione e nessuna smania se non c’e l’aumento di stipendio. Dico sempre: calma, calma, calma.

Coco Chanel diceva, spesso togliere è meglio che aggiungere. Lei ritiene che anche la cucina sia un gioco a levare e non ad aggiungere?

Certo, con la maturità gastronomica viene meno la foga, pensi alla tecnica giusta a un particolare abbinamento con determinate materie prima, ovviamente lavorate in un certo modo.

Chi considera il suo maestro? 

Papà, mia moglie, Gennaro Esposito, Ernesto Iaccarino e i tanti maestri che ho avuto sulle navi da crociera.

A proposito di sua moglie Wilma, come l’ha conquistato (a tavola)?

Con una cassetta di vino anonima che le ho mandato.  I fornelli poi hanno fatto la loro parte. Lei è una buongustaia, dalle mille risorse, prova gioia nel sedersi a tavola, dice che il cibo è fantasia, divertirsi e giocare. 

Qual è il piatto che le riesce meglio, il suo cavallo di battaglia?

La mia cacio e pepe è patrimonio mondiale dell’Unesco. Amo anche la cacciagione e sono un pastasciuttaro. 

Per chi la vorrebbe cucinare?

Valentino Rossi. Gli ho scritto: “ora che sei in pensione, passa al ristorante”. Ma anche i Led Zeppelin. 

La scorsa primavera è stato alle Maldive dove ha tenuto cene di gala pied dans l’eau e live cooking per il Gruppo Constance hotels & resorts. Prima ancora era a Mauritius. Che esperienza è stata? 

Meravigliosa. E poi vuoi mettere il piacere di cucinare con le ciabatte e in pantaloncini corti e, dopo che hai sudato ai fornelli, buttarti nel mare che è a dieci metri… Cosa vuoi di più dalla vita?.

 


La rivincita della barbabietola: da prodotto povero a protagonista di piatti stellati

C’è quella da zucchero e quella da foraggio, quella da orto e la «cruenta»; gli antichi più che in cucina, la utilizzavano per le sue proprietà medicinali, tanto che ancora oggi è considerata un toccasana per le ossa grazie alle sue intrinseche quantità di calcio e magnesio, oltre che un’arma efficace – chi l’avrebbe mai detto? – contro la depressione. Insomma, si fa presto a dire barbabietola. La sua fama, inutile nascondersi, non è tra le migliori: sarà per il suo colore rosso scuro non troppo accattivante o per il sapore dolciastro che è in grado di sprigionare e che difficilmente sposa i gusti dei palati più sopraffini e delicati. Tubero fin troppo bistrattato rispetto alla più democratica patata o al «trendissimo» topinambur, la barbabietola sta tuttavia concedendosi un meritato riscatto in cucina, grazie soprattutto all’intuizione e all’azzardo di qualche chef. Perché di azzardo, in fondo, si tratta, quando si decide di proporre ai clienti dei propri ristoranti, anche stellati, una ricetta a base di questo ingrediente povero dell’orto e ancora poco apprezzato, perché forse troppo poco conosciuto.

Vincente per Enrico Bartolini

Ma quando a cedere alla tentazione di rielaborare la barbabietola, rendendola addirittura protagonista di un piatto «stellato», è nientemeno che l’enfant prodige della cucina italiana Enrico Bartolini, 42 anni e 8 stelle Michelin nel suo palmarès, allora forse è il caso di soffermarsi un attimo per capire quali risorse può offrire alla carta di un ristorante (e, perché no, anche alla cucina di casa), un ingrediente come la rapa rossa. L’azzardo che ormai 16 anni fa ha portato Enrico Bartolini a proporre un risotto con barbabietola e gorgonzola ha premiato il pluristellato cuoco toscano – presente a Bergamo con il suo «Casual» di Città alta – al punto che quella ricetta oggi rappresenta il suo piatto più iconico, cucinato su richiesta in ogni parte del mondo, dall’America all’Estremo Oriente, agli Emirati, fino agli appuntamenti mondani più prestigiosi, come la «prima» della Scala. 

Prima di lui lo aveva fatto anche il maestro della cucina italiana e del risotto, Gualtiero Marchesi; ma è grazie ad Enrico Bartolini e alla sua intuizione durante un soggiorno in Oltrepò Pavese, che la barbabietola ha iniziato ad entrare nelle carte dei ristoranti. «In Oltrepò le rape rosse si coltivano, così come il riso – dice lo chef –. E siccome da quelle parti si ha l’abitudine di mangiare gorgonzola, mi sembrava che un risotto con questi ingredienti potesse raccontare il bene territorio». Così nel 2005 nacque la ricetta che Bartolini proposte da subito nel suo ristorante «Le Robinie Bistrot» di Montescano (Pv). «È stato apprezzato così tanto – ammette – che non abbiamo più smesso di farlo. La combinazione di questi ingredienti è risultata piacevole al gusto e alla vista e per anni è rimasto in carta. A un certo punto, sembrava che questo piatto avesse un aspetto tecnico più debole rispetto ad altri, perciò abbiamo pensato di complicarlo un po’, aggiungendo un’essenza di noci e una salsa di ciliegie o di more, in base alla stagione: le note della frutta esaltano l’acidità della rapa, mentre il gusto della noce è tannico, profumato, quasi amaro e dà un grado di complessità al piatto».

Inutile chiedere allo chef se pensa di rimettersi di nuovo in gioco con un’altra ricetta a base di barbabietola: «È un ingrediente ricco di personalità – dice – e non avendo carte molto lunghe nei miei locali, sarebbe una ripetizione. È un ortaggio cui sono molto affezionato, ma arriva inevitabilmente il momento in cui c’è voglia di cambiare. Quando iniziammo a utilizzarla, la barbabietola si usava molto poco. Ricordo che da piccolo, negli hotel, vedevo queste rape tagliate, messe nei barattoli che sapevano di terra. Forse per questo ne abbiamo un ricordo sbagliato. Oggi la barbabietola è molto popolare, soprattutto nelle cucine del Nord Europa, dove un tempo veniva data da mangiare alle mucche o spedita per le mense ospedaliere in altri Paesi».

In Italia c’è anche chi ha provato a centrifugarla e a servirla al ristorante come aperitivo, «ma è una tecnica che rilascia le proprietà lassative della barbabietola – avverte Bartolini –, per cui non mi sembra una buona idea. Detto questo, vedo che c’è senz’altro della creatività attorno a questo ingrediente, che probabilmente sta prendendo sempre più piede in questi anni. Se coltivato bene è buono e può dare spunti interessanti a chi lo cucina».

 

Divertente per Filippo Saporito

Decisamente più consono è l’utilizzo che fa della barbabietola Filippo Saporito, chef dello stellato «La Leggenda dei Frati» di Firenze, che pure la propone come antipasto: «Amo molto il mondo vegetale e cerco sempre di esaltarlo al massimo – dice –. La scelta della barbabietola arriva da uno stimolo di alcuni clienti vegani. Noi abbiamo sempre in carta un menù pensato per loro, ma che è in grado di accontentare un po’ tutti. Utilizzare la barbabietola mi diverte, innanzitutto perché inganna l’occhio, sembrando una bresaola, poi perché si possono comporre piatti colorati, freschi e con sapori delicati. E i nostri clienti rimangono piacevolmente stupiti. Fino a 10 anni fa era persino difficile trovarla cruda, oggi con l’avvento della cucina nordica c’è stato senz’altro un ritorno anche nelle nostre cucine».

Versatile per Massimo Amaddeo

A Bergamo, l’estate scorsa, è stato il ristorante «Da Mimmo ai Colli» a proporre la barbabietola in più versioni nei suoi menù: non solo come ingrediente di punta nel risotto, ma anche nell’impasto degli gnocchi o preparata a maionese nei club sandwiches. «È senz’altro un tubero molto interessante, che dà molto colore ai piatti e che quindi può essere una scelta vincente – spiega il titolare del ristorante, Massimo Amaddeo –. Cruda, cotta o rielaborata in tanti modi, la barbabietola può dare grandi soddisfazioni. Si possono fare gli gnocchetti, per esempio, inserendo nell’impasto spezie come la cannella, che dà una spinta forte, in contrasto con la dolcezza della barbabietola. Un ottimo condimento può essere un crumble di Agrì di Valtorta, che è presidio SlowFood, oppure lo Strachitùnt, con il suo naturale contrasto di bianco e blu». Una ricetta “veloce” per un’esperienza culinaria senza dubbio inedita (meglio se arricchita da foglie di salvia fritta come decorazione). «Come tutti i tuberi – dice ancora Amaddeo – la barbabietola è un po’ bistrattata. Peccato, perché la natura ci ha dato una biodiversità incredibile, che spesso non sfruttiamo. In particolare, la barbabietola ha sempre suscitato un po’ di diffidenza, forse a causa del suo particolare aspetto cromatico, ma ora la gente si sta avvicinando. Non è invadente nei piatti, quindi non predomina, anche se bisogna saper dominare quel suo carattere dolciastro per raggiungere un equilibrio apprezzabile. Noi, per esempio, l’abbiamo proposta anche come piatto da finger o da pranzo e, in chiave più moderna, preparando una maionese di barbabietola con pane tostato, verdure e formaggio».

Dopo i suggerimenti degli chef, torniamo a scoprire qualche altra proprietà «nascosta» della barbabietola. Ricca di sali minerali, vitamine e oligoelementi, è anche un ricostituente naturale contro stanchezza, mancanza di appetito e anemia grazie alla presenza di microelementi che rivitalizzano i globuli rossi e riequilibrano i livelli di ferro nel sangue. Pochi ingredienti in cucina hanno un colore così acceso: quello della rapa rossa è dovuto alla betaina, un pigmento solubile in acqua; dalle barbabietole si estrae un colorante naturale che viene normalmente utilizzato nell’industria alimentare, ma anche per la tintura tradizionale di tessuti.

 


Anche l’abito fa il piatto. E non è un vezzo di cucina gourmet

Un corretto impiattamento stimola i sensi, stuzzica l’immaginazione e crea una buona aspettativa. Ecco alcuni suggerimenti per una presentazione ad effetto

Che l’occhio voglia la sua parte ormai lo sappiamo tutti. Basta osservare il mondo attorno a noi per capire quanto l’immagine stia avendo un ruolo cruciale nella quotidianità. E così in cucina. Anche se la sostanza rimane sempre ciò che troviamo nel piatto, la sua presentazione è utile alla corretta percezione della proposta e, perché no, alla comunicazione vera e propria di un qualsiasi locale che si occupa di somministrazione: dall’alta ristorazione al bar, fino alla pizzeria e ai locali che si dedicano all’asporto come le gastronomie.

Basta scorrere la bacheca di Facebook o Instagram per comprendere quanto lavoro ci sia dietro un piatto ben riuscito. Si parte dalla materia prima, fino alla sua corretta trasformazione, la scelta del piatto giusto, le corrette scelte cromatiche, e così via.  Quando ci si trova davanti a un piatto poco attraente, la voglia di metterlo sotto ai denti non sempre è alle stelle, anzi. Anche se può succedere l’esatto opposto, e cioè che una preparazione molto bella da vedere ha creato aspettative talmente grandi da deluderle appena dopo l’assaggio. Però è bene tenere in considerazione che per gli esseri umani, la vista è un senso molto importante e regala tantissime informazioni che inconsciamente guidano le nostre scelte in modo più radicato di ciò che siamo portati a pensare.

L’importante però è anche non sottovalutare gli altri sensi: come è ovvio che sia, il gusto e l’olfatto entrano in gioco nella percezione di sapori e aromi, mentre il tatto ci regala altre sensazioni, tra cui la struttura e la temperatura. L’impiattamento è quindi uno dei tanti aspetti da considerare per la buona riuscita del nostro piatto che ha l’obiettivo di stimolare i nostri sensi, la nostra immaginazione e creare una buona aspettativa. E non è assolutamente vero che è un’arte propria dell’alta ristorazione. Il consiglio è quello di abbandonare questo preconcetto e, a qualsiasi tipologia di locale si faccia riferimento, ricordiamoci sempre che anche il vestito, purtroppo, fa il monaco.

Come nasce un piatto: la creatività

Ognuno ha il proprio processo creativo e tutti coloro che lavorano in cucina o che le dedicano buona parte del proprio tempo libero lo sanno bene. Non esistono, quindi, regole precise se non quelle relative al corretto abbinamento tra aromi e sapori, ma anche tra colori. È sempre bello stimolare i propri ospiti con nuove proposte, ma non sempre è necessario osare. Basta talvolta modificare ingredienti o metodi di cottura, per trasformare e personalizzare piatti della tradizione. Poi, la creatività non ha limiti e la piccola innovazione può trasformarsi in grandi piatti ben riusciti. In linea generale si comincia sempre da un singolo ingrediente, per poi costruire un piatto. In modo identico si lavora nella re-interpretazione delle ricette classiche: non sono necessari grandi stravolgimenti per rendere una ricetta unica nel suo genere. Basta un poco di voglia di osare.

Gli strumenti necessari: forme e tecniche

In realtà non è necessario avere grandi strumenti per impiattare in maniera creativa. Piuttosto, è fondamentale allenare la manualità. Nelle cucine professionali in genere gli strumenti non mancano. La base è sempre il piatto: è il nostro foglio su cui disegnare. DI conseguenza la prima cosa da fare è scegliere il piatto giusto, sia per la sua forma, che per il suo colore e materiale. Ne esistono di tutti i tipi, innanzitutto bisogna considerare le caratteristiche dell’ingrediente principale del piatto. Forma e dimensione dipendono principalmente da questo. E poi, i colori che saranno presenti per capire se è meglio scegliere una base nera, bianca oppure colorata. In presenza di salse o creme, è possibile utilizzarle per “disegnare” sul piatto creando spirali, punti, strisce o virgole (oggi un poco fuori moda). Ecco che saranno necessari flaconi dosatori in plastica oppure sac à poche per dosarle e definire anche la dimensione di punti o righe da creare.
Un altro strumento utile potrebbe essere un pennello per alimenti, il mestolo (per impiattare gli spaghetti,  ad esempio) oppure una spatola per realizzare strisciate o altri segni. Per impiattare una tartare, un risotto, ma anche una pasta, possiamo dotarci di coppapasta di diverse dimensioni. Infine, la pinza: è davvero essenziale per posizionare gli ingredienti nella posizione corretta con precisione e senza toccarli con le mani. Ecco quindi che con pochissimi euro possiamo contare su strumenti molto semplici utili per le nostre creazioni.

Impiattamento dolce

Come impiattare in modo corretto

Ci sono regole che valgono per l’alta ristorazione ma anche e soprattutto per chi si dedica alla cucina tradizionale. Anche un semplice (ma buonissimo) piatto di spaghetti al pomodoro, se ben impiattato, può rendere l’esperienza ancora più soddisfacente.

  1. Innanzitutto scegliere dove posizionare il nostro ingrediente principale. Dobbiamo immaginare di dividere il piatto in quattro parti e decentrare leggermente la nostra preparazione. In alternativa, è bene scegliere l’esatto centro, soprattutto se si utilizzano piatti fondi o se il piatto si sviluppa verso l’alto. Quanto alle decorazioni, per un piatto quadrato è opportuno prediligere forme a parallelepipedo, mentre con piatti tondi forme sinuose, punti, virgole o spirali.
  2. Le porzioni non devono essere eccessive, ma nemmeno troppo piccole. Un equilibrio è importante per raggiungere un impatto visivo che non spaventi e che renda confortevole il consumo.
  3. La distribuzione degli ingredienti deve essere tale da non dividere eccessivamente gli elementi, anche se a molti chef piace non rispettare questa regola e dividere in modo netto gli elementi.
  4. Piatti bianchi o neri aiutano. Si abbinano bene a qualsiasi preparazione, mentre quelli eccessivamente colorati sono più impegnativi.
  5. Il piatto deve essere ben pulito, non devono esserci sbavature o impronte. Attenzione nell’utilizzo di parti grasse come l’olio extra vergine di oliva. Qualora dovessero esserci sbavature basta intervenire con della carta assorbente.
  6. Non esagerare con i fiori, insalate o altro vegetale e non aggiungere elementi non commestibili. Attenzione con le polveri e le spezie macinate: a parte in rare eccezioni, bisogna evitare di sporcare i bordi dei piatti. Bandito l’uso del prezzemolo fresco sul bordo del piatto.
  7. Per distribuire il risotto nel piatto, basta battere sotto con la mano e si distribuisce in modo omogeneo. Possiamo completare il piatto aggiungendo ingredienti, salse o polveri in superficie
  8. Gli spaghetti sono stupendi se serviti a nido: basta arrotolarli con l’aiuto di forchettone e mestolo prima di appoggiarli sul piatto. È possibile sviluppare il nido in orizzontale, come fosse sdraiato, oppure in verticale.
  9. Prevediamo infine uno sviluppo del piatto possibilmente in altezza, dandogli più volume possibile.
  10. Pizze e panini non sono esenti dal seguire queste regole. Un buon panino o una buona pizza devono prevedere una buona distribuzione degli ingredienti, in maniera tale che ad ogni morso o su ogni fetta vi siano tutti gli ingredienti scelti per la farcitura.

Queste poche e semplici regole di base per impiattare a dovere. Ovvio che le regole, in questo caso, sono anche fatte per essere infrante con creatività, partendo sempre dal presupposto che semplicità non è banalità.


Solidarietà tra chef: La Mantia “ospite” del bergamasco Morelli

A Milano lo chef di stanza al “Bulk” dell’hotel “Viu” ha aperto le porte della sua cucina al collega, rimasto orfano del suo locale chiuso causa Covid

Un atto di generosità può salvare una vita. Ma la speranza è che sia condiviso anche da altri. Protagonisti di una storia di solidarietà, a Milano, sono lo chef bergamasco Giancarlo Morelli di stanza al “Bulk”, ristorante dell’hotel “Viu”, e il collega palermitano Filippo La Mantia. Morelli ha deciso di ospitare l’amico, rimasto orfano del suo locale in centro, “Oste e cuoco”, chiuso causa Covid. L’affitto era, infatti, troppo alto (31 mila euro) e gli introiti scarsi a causa dell’emergenza sanitaria. Il vantaggio della co-cucina, simile al co-working, è che si dividono le spese e si consente al cuoco meno fortunato di continuare a svolgere il proprio mestiere.

Chef Morelli, come ha maturato la sua idea?

“Do grande importanza all’amicizia, non deve mai essere fine a un interesse. Sono cresciuto con il detto “chi trova un amico, trova un tesoro”. Per me Filippo è questo, anche se siamo agli opposti, lui siciliano doc e io bergamasco vero. Il nostro rapporto si contraddistingue per il rispetto. Ci siamo conosciuti una quindicina d’anni fa, credo a un evento di beneficenza e da allora ci siamo sempre frequentati. Ho vissuto con lui la scelta difficile, per un ristoratore è come chiudere la casa di famiglia, dove ci sono il tuo profumo e i tuoi ricordi”.

Quando ha capito che doveva aiutarlo?

“Mi è accaduto di passare da Filippo il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, per me una ricorrenza speciale, che da 25 anni festeggiavo cucinando alla Rsa di Stezzano, paese d’origine di mia nonna e mia mamma (quest’anno, l’emergenza sanitaria l’ha impedito e mi è spiaciuto). Ho visto che stava preparando un dolce siciliano buonissimo, tipico di Santa Lucia. E mi ha colpito, non pensavo che la tradizione fosse anche giù. In quei giorni il ristorante cominciava a perdere le sue forme, c’erano i traslocatori e a ogni pacco che chiudevano vedevo la faccia di Filippo sempre più provata. Allora ho iniziato a ragionare”.

La chiusura è arrivata il 31 dicembre?

“Sì, ma è rimasto nel suo ristorante fino al 18 gennaio, quando è stato smontato tutto. La settimana dopo è passato da me a pranzare e lì abbiamo preso la decisione. Abbiamo tardato qualche giorno per le pratiche e poi lui è entrato in cucina con i suoi ragazzi, tre in cucina e una pasticcera (gli altri 16 sono in cassa integrazione), ed è stato più facile del previsto. Come in un ufficio, ognuno svolge la propria attività. È una prova importante, un conto è condividere una cucina per una cena a quattro mani, un altro è farlo ogni giorno. Una scoperta positiva”.

Come sta andando?

“Bene. Lui fa il tifo per noi a mezzogiorno che arrivino clienti (anche se essendoci l’albergo lavoriamo anche la sera), noi per lui che ci siano delivery e asporto”.

La Mantia ha detto che gli ha salvato la vita…

“Chiudere un ristorante o solo il pensiero di farlo mi fa venire i brividi”.

 

Dunque, questa è la sua ricetta per sopravvivere?

“Ho sempre pensato che le cucine dovessero essere fruibili da più persone, che il gioco di squadra fa la forza. Ma avere due o tre cucine o chef diversi è un’utopia, perché i cuochi sono molto solisti, vogliono essere Zapata, l’attaccante che segna di più. Io penso che il cliente avrà bisogno di certezze anche nel piatto, di sicurezza nell’affrontare un pranzo o cena. Vincerà la cucina legata alle grandi tradizioni con la riscoperta del piccolo produttore e il rispetto della terra da cui provengono gli ingredienti. Un tema da portare avanti e lo puoi fare meglio se condividi la tua esperienza con un altro quotidianamente”.

Il suo collega ha promesso di riaprire entro l’anno e di restituirle gli spazi.

“Filippo ha un’anima così scatenata che troverà la sua casa, ma questo non mi vieta di sognare, di credere di poter trovare una continuità, una squadra che può viaggiare in due modi, un ristorante condiviso e uno con la tua impronta. Io sono pronto, sarebbe una lezione quotidiana di felicità. Noi cuochi impariamo dai piccoli gesti, da come un altro si muove”.

E poi fa bene allo spirito.

“È divertente vedere la cucina animata con le cassette di verdure che vanno e vengono, non quei pezzettini piccoli che eravamo abituati a lavorare poiché non ci sono clienti, quasi fossero miniature, e noi orologiai. Ora è come essere al mercato con quei colori che ti riempiono gli occhi”.

State mischiando le rispettive arti?

“Per il momento no. Lui fa tanti piatti che a me piacciono, la sua è una cucina piena di storia e intrecci culturali. Io vengo da una cultura genuina, anche se meno colorata. Ma sono maniaco del mio territorio. E non scambierei mai la polenta con il cous cous”.

Rosanna Scardi


Guida Michelin: 374 i ristoranti italiani stellati. Dodici i bergamaschi

Sono 374 i ristoranti italiani stellati: la cerimonia di premiazione si è svolta ieri a Piacenza in occasione della presentazione della 65esima edizione della Guida Michelin Italia. La guida Michelin Italia 2020 ha premiato 11 ristoranti con tre stelle Michelin, 35 locali hanno ricevuto due stelle, e a 328 è stata assegnata una stella. Ecco tutti i premiati nell’ambito dell’appuntamento gourmet più atteso dell’anno.

Tre stelle
Nella Guida Michelin 2020, i ristoranti che propongono una cucina che “vale il viaggio”, e quindi le 3 stelle Michelin, sono: Piazza Duomo ad Alba (CN), Da Vittorio a Brusaporto (BG), St. Hubertus, a San Cassiano (BZ), Le Calandre a Rubano (PD), Dal Pescatore a Canneto Sull’Oglio (MN), Osteria Francescana a Modena, Enoteca Pinchiorri a Firenze, La Pergola a Roma, Reale a Castel di Sangro (AQ), Mauro Uliassi a Senigallia (AN) e Enrico Bartolini al MUDEC a Milano, new entry. 

Due stelle
Sono due le novità tra i 35 ristoranti che “meritano una deviazione”, e quindi le 2 stelle Michelin. La Madernassa, a Guarene in provincia di Cuneo e GLAM di Enrico Bartolini a Venezia.

Una stella
Sono 328 i ristoranti dalla “cucina di grande qualità, che merita la tappa”, dei quali 30 new entry: le regioni più ricche di novità sono la Lombardia, la Campania e la Toscana, alle quali sono state assegnate più del 50% delle nuove stelle.

Dodici le stelle bergamasche
Per la Bergamasca si confermano al top della Guida Rossa con tre stelle Michelin «Da Vittorio» dei fratelli Cerea ed entra il bergamasco d’adozione Enrico Bartolini (conosciuto in città per il Casual in San Vigilio) con il suo Mudec a Milano. Tra le new entry orobiche una stella Michelin va al ristorante Impronte di Cristian Fagone di via Baioni.
Conferme per il cittadino Casual di Enrico Bartolini (guidato da Marco Locatelli e Alex Manzoni), per l’Osteria della Brughiera (Villa d’Almè) di Stefano Arrigoni, il Frosio (Almè) di Paolo e Camillo Frosio, per il Florian Maison (San Paolo d’Argon) di Umberto De Martino, per il Loro (Trescore Balneario) di Francesco Longhi e Antonio Rocchetti, per il San Martino (Treviglio) della famiglia Colleoni, per Il Saraceno (Cavernago) di Roberto Proto e per l’Anteprima (Chiuduno) della famiglia Tallarini.

Chi perde
Perdono la stella Michelin, secondo il giudizio degli ispettori della guida n.65: i due buoi a Alessandria, San Marco a Canelli (At), Pomiroeu a Seregno (Mi), La Locanda del notaio a Pellio Intelvi, Locanda Stella D’oro a Soragna (Pr), Poggio Rosso a Castelnuovo Berardenga (Si), Winter garden by Caino a Firenze, Relais blu a Massa Lubrense, Mosaico a Ischia, Vairo del volturno a Vairano Patenora (Ce), Caffè Les paillotes a Pescara, Terra a Sarentino (Bz).  Perdono una delle due stelle Michelin “Al Sorriso” (Soriso, No), “Locanda Don Serafino” (Ragusa), Locanda Margon (Ravina, TN) e “Vissani” (Baschi, TR), il ristorante dello chef Gianfranco Vissani, storico volto televisivo, che ha fatto sentire il proprio dissenso.
Tutti assenti gli chef più televisivi oggi al Teatro Municipale di Piacenza, salvo Gennaro Esposito che porta invece a casa tre riconoscimenti. In una giornata che non ha visto brillare i cuochi e imprenditori più in voga sullo schermo televisivo. L’antesignano dei volti Tv, Gianfranco Vissani, ha perso una stella nella guida Michelin 2020 passando da due a una per il ristorante Vissani, a Baschi, nel cuore dell’Umbria. Cracco, il ristorante in Galleria Vittorio Emanuele II a due passi dal Duomo di Milano, mantiene una stella Michelin, senza recuperare la seconda persa nell’edizione 2018. La guida 2020 comunque segnala con un evidente “ci piace” il fascino della Galleria Vittorio Emanuele II “nelle sue migliori declinazioni gastronomiche da Cracco a Spazio Niko Romito”. 
Antonino Cannavacciuolo, dopo l’exploit dello scorso anno con le due stelle a Villa Crespi a Orta San Giulio (No) e la stella al Cafè Bistrot Cannavacciuolo a Novara e al Cannavacciuolo Bistrot a Torino, ad un passo dal Po e dalla Gran Madre, ha mantenuto le sue brillanti posizioni senza entrare nel top dei top, gli undici tristellati Michelin.
Nel Lazio Antonello Colonna ottiene la conferma di una stella Michelin per l’Antonello Colonna Labico. In controtendenza tra i cuochi mediatici un cuore grande del Sud, Gennarino Esposito che conferma le due stelle Michelin per il ristorante Torre del Saracino a Vico Equense/Marina Equa, fa un esordio eccellente al Nord con una stella Michelin a “IT Milano”, e ottiene il premio speciale come “mentor chef”, un faro per i giovani che vogliono intraprendere le professioni della ristorazione.

La 65a edizione della Guida Michelin Italia è disponibile a partire da giovedì 7 novembre in libreria, mentre dalla app Michelin Ristoranti è scaricabile gratuitamente per iOS e Android.


“Formati e Occupati”: al via il progetto formativo con stage immediato per diventare cuochi, barman, addetti sala e reception

Creare un ponte tra la scuola e il mondo del lavoro e, al tempo stesso, fare sistema tra imprese e sindacati per riqualificare i settori della ristorazione e dell’ospitalità: è legato da un doppio filo il percorso formativo gratuito “Formati e Occupati” che ha preso il via questa mattina presso la sede di Ascom Formazione a Osio Sotto rivolto a formare aspiranti cuochi, barman, addetti sala e ricevimento alberghiero. Obiettivo promuovere la formazione professionalizzante ma non solo: coinvolgendo una ventina di iscritti e altrettante aziende, il progetto è infatti finalizzato ad agevolare il matching tra domanda e offerta locale, in risposta al grido di allarme lanciato dai ristoratori sulla carenza di personale qualificato.

Un progetto pilota
«Siamo di fronte al paradosso di un settore che cresce per numeri, imprese e volumi di vendite ma che fatica a trovare personale all’altezza – ha ricordato il presidente di Ascom Confcommercio Bergamo, Giovanni Zambonelli -. La scuola di oggi, infatti, non ha un collegamento diretto con il mondo del lavoro e questo percorso è stato pensato proprio per colmare le lacune dei percorsi ministeriali. È un percorso gratuito e per Ascom è stato uno sforzo economico importante ma si tratta di un progetto pilota che siamo sicuri avrà un seguito e conterà sempre più iscritti».

Ventitre gli iscritti al percorso
Scenari futuri a parte, la prima edizione ha già fatto il pieno con 150 candidature come conferma Daniela Nezosi, Responsabile area formazione e sviluppo Ascom Bergamo: «Abbiamo selezionato 23 corsisti, di cui 9 per il corso “addetti sala e bar”, 5 per “addetti al ricevimento” e 9 per il corso “cuoco”. Il percorso si concluderà il 4 ottobre: le attività prevedono diversi laboratori pratici e una formazione specialistica tecnica per un totale di 120 ore e, successivamente, l’inserimento in azienda con un contratto di tirocinio retribuito di quattro mesi, da metà ottobre 2019 a metà febbraio 2020».

L’accesso gratuito
Contenitore di formazione specialistica accelerata, Formati e Occupati è stato ideato e strutturato proprio per offrire una possibilità concreta di rimettersi in gioco a chi è in cerca di lavoro, dai giovanissimi agli over 50. In quest’ottica, a sostenere il progetto è anche l’Ente Bilaterale del Turismo di Bergamo che ha stanziato fondi al fine di rendere gratuito l’accesso al progetto: «Siamo partiti con numeri contenuti volutamente perché vogliamo garantire un’opportunità di lavoro concreta per tutti i corsisti che dopo la formazione avranno un regolare contratto di stage» ha confermato Enrico Betti, presidente dell’Ente Bilaterale  Alberghiero e dei Pubblici Esercizi di Bergamo. «Qui non si tratta di fare formazione fine a sè stessa – gli fa eco il vicepresidente dell’Ente Maurizio Regazzoni -. La formazione è il fiore all’occhiello di un settore dove anche i piccoli dettagli fanno una professione e anche il mondo del lavoro ne trarrà vantaggio: da questo contenitore usciranno infatti addetti motivati e preparati».

Alla presentazione del progetto erano presenti anche Oscar Fusini, direttore Ascom Bergamo, Giorgio Beltrami, vicepresidente Ascom Bergamo e presidente Gruppo Bar Caffè, Petronilla Frosio, presidente Gruppo Ristoratori, ed esponenti delle organizzazioni sindacali.


Al Sorriso di Selvino lumache, anguille, baccalà e i piatti orobici

 La famiglia Cortinovis, che gestisce il locale dal 1969, è stata tra le prime ad introdurre il lievito madre nella lavorazione della pizza che, usando un termine moderno, poteva competere con le migliori pizze gourmet del giorno d’oggi. La richiesta di piatti più elaborati da parte della clientela è poi aumentata nel corso del tempo: da qui l’idea di trasformare la pizzeria in ristorante. Intuizione vincente e lungimirante portata avanti da Paolo Cortinovis, chef con importanti esperienze alle spalle, e dalla moglie Michela Tomasoni, sommelier e molto attenta alla gestione della sala. Al ristorante Sorriso si può pranzare o cenare alla carta ed è in arrivo un menù degustazione. Il locale è aperto in inverno venerdì sera, sabato e domenica (pranzo e cena), mentre in estate (da metà giugno fino ai primi giorni di settembre) è sempre operativo, sia a pranzo che a cena.

I lavori di ristrutturazione, che hanno preceduto la trasformazione da pizzeria a ristorante, hanno portato la cucina allo stesso piano della sala; elegante e curata nei minimi particolari, può ospitare 40 commensali, con l’opportunità di mangiare anche all’esterno durante il periodo estivo.

Dal primo marzo 2015 sono arrivate molte soddisfazioni grazie ad una cucina creativa, di carattere e personale. Sul sito internet del ristorante compare una citazione del grande chef Gualtiero Marchesi: “La cucina è di per sé una scienza, sta al cuoco farla diventare arte”. 

Per ogni piatto vengono utilizzati pochi ingredienti, ben bilanciati e mai banali. La carta comprende sei piatti per ogni gruppo di antipasti, primi e secondi.

Tra le chicche non mancano anche alcune particolarità come le lumache, l’anguilla, il foie gras, per arrivare al più classico merluzzo e baccalà. Così come sono presenti i piatti della tradizione orobica, a partire dal casoncello alla bergamasca, per finire con i formaggi della Val Brembana. Consigliamo vivamente di concludere l’esperienza culinaria con uno degli ottimi dolci preparati da Paolo Cortinovis: ne uscirete stupiti e appagati.

La Carta vini, che riposano in una cantina tutta nuova, comprende una selezione della produzione DOC del territorio (Valcalepio e Terre del Colleoni), molto richiesta dai turisti, per un totale 120 etichette.

Ristorante Sorriso
via Talpino, 79 – Selvino
Per informazioni tel. 340 885 3242
Sito www.ristorantesorrisoselvin


Da Albino al nuovo programma di Alessandro Borghese, Walter difende la cucina lombarda in tv

walter brambilla okLa Bergamo gastronomica torna protagonista in tv, nella trasmissione Cuochi d’Italia, il nuovo programma di Alessandro Borghese, che, nella circostanza, mette in sfida le cucine regionali e stuzzica il campanilismo gastronomico.

È infatti Walter Brambilla, titolare della trattoria “Come una volta” di Desenzano di Albino, il “campione” della Lombardia, selezionato per difenderne i colori – e i sapori – nel format che ha debuttato lunedì 13 novembre su Tv8 ed è in onda tutti i giorni da lunedì a venerdì alle 18.30 per 20 puntate.

Di scena 20 cuochi professionisti, ognuno da una diversa regione d’Italia, che si affrontano a due a due in sfide di andata e ritorno a eliminazione diretta fino ad arrivare all’assegnazione del titolo di Miglior Cuoco Regionale d’Italia.

Giudici (più sereni e aperti al sorriso rispetto ad altri programmi) sono Gennaro Esposito, lo chef di Vico Equense due stelle Michelin, e il viareggino Cristiano Tomei, indicato come uno dei modelli della nuova cucina creativa.

Le prove vertono sui piatti e i prodotti tipici dei concorrenti, chiamati da Borghese anche ad illustrare, mentre lavorano, caratteristiche e modalità di preparazione in una sorta di tutorial per il pubblico. Brambilla sarà ai fornelli nella trasmissione di venerdì 17 novembre e affronterà il rappresentante della Sicilia, Giuseppe Bonsignore dell’Osteria L’Oste e il Sacrestano di Licata (Ag).

Milanese come dice il cognome, Brambilla, 64 anni, lavora da una trentina d’anni a Bergamo, da sette nel piccolo locale di via Roma dove insieme alla compagna Susi Assolari porta avanti una cucina all’insegna della più schietta tradizione – dai casoncelli alla trippa, agli gnocchi – e del “fatto in casa” che il limitato numero di coperti consente.

Non è proprio un novellino ai fornelli e l’origine milanese gli permette di muoversi bene anche sui piatti meneghini. Ce la farà?

cuochi d'italia