Par.co Denim, l’ascesa dei jeans bio made in Bergamo

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SONO SOSTENIBILE/ I PREMIATI

Tutto è cominciato con la produzione di jeans sostenibili realizzati con cotone biologico italiano e giapponese, avviata nel 2012 con il marchio Par.co Demin. Dopo di che è stato naturale per Laura Rabotti e Giada Maffeis, e i loro compagni con cui sono in società, dotarsi anche di una vetrina in città. Lo scorso anno ha così aperto in via Borgo Santa Caterina, al numero 11/a, il negozio di abbigliamento Par.co nel Borgo, dove ai jeans “della casa” si affiancano altri capi selezionati, realizzati con tessuti bio e in maniera artigianale, il tutto in un allestimento solidale ed eco-friendly.

Par.co nel Borgo - Giada e Laura«L’iniziativa nasce dallo sviluppo di una nostra personale propensione alla sostenibilità – raccontano -. Abbiamo cominciato con jeans da uomo, selezionando materie prime biologiche e con trattamenti naturali ed affidando la confezione ad artigiani bergamaschi con più di cinquant’anni di esperienza. Anche per bottoni e accessori abbiamo puntato su aziende locali, vista la lunga tradizione presente sul territorio». Le risposte non si sono fatte attendere, soprattutto dai paesi del Nord Europa dove la sensibilità sui temi green è più alta. «Il nostro valore aggiunto è lo stile – evidenziano Laura e Giada -. La moda sostenibile è per lo più associata a capi poco accattivanti, “tipo sacco di iuta”, mentre il nostro marchio porta in questo settore il gusto italiano così apprezzato nel mondo». È così che quello che continuano a chiamare progetto assume via via una forma sempre più ampia e concreta. Dopo la fiera di Amsterdam è stata introdotta la collezione donna, che dal jeans si è estesa alla camiceria e alla maglieria, con l’introduzione di cotoni riciclati, lino e canapa. E in programma ci sono nuovi appuntamenti internazionali.

E se il negozio «è già un punto di riferimento per chi è alla ricerca di capi rispettosi dell’ambiente e della salute», l’ambizione della linea di abbigliamento è quella di uscire dalla nicchia ed entrare nei punti vendita “convenzionali”, non per forza specializzati cioè nella moda a basso impatto. «I prezzi sono in linea o di poco superiori a quelli di capi del medesimo livello – spiegano a Par. co nel Borgo  -. Un paio di jeans parte da 90 euro, per la maglieria bio siamo sui 40-50. È la dimostrazione che è possibile dare una svolta sostenibile alla produzione. Anzi è necessario se si pensa al futuro del pianeta». La filiera tessile convenzionale ha infatti un forte impatto sulle risorse e sull’inquinamento e spesso nasconde lo sfruttamento dei lavoratori, mentre la scelta di materie prime naturali e biologiche, unita ad importanti cambiamenti nei passaggi della produzione, consente di ridurre sensibilmente gli effetti negativi.


Germogli di bambù, a Treviglio parte la coltivazione

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“Rapite” dal mondo della ristorazione, le sorelle Cinzia e Marianna Ziliati di Castel Rozzone hanno deciso di cominciare per tempo a mettere le basi di quello che sperano in futuro sarà il loro locale. La prima ha 26 anni, è laureata in lingue e sta ora seguendo il corso di Sommellerie di Alma a Colorno, del rettore Gualtiero Marchesi. Marianna, 23 anni, si è invece già diplomata alla stessa prestigiosa scuola ed è capopartita del tristellato Massimiliano Alajmo a Rubano (Pd). Entrambe sanno che dovranno accumulare ancora un bel po’ di esperienze prima di cimentarsi in una gestione in proprio, ma hanno già un’idea chiara di ciò che vorranno proporre. «L’ipotesi è di un ristorante che utilizzi prodotti biologici cresciuti in un orto curato da noi – spiega Cinzia – ed abbiamo deciso di partire dai germogli di bambù. È un ingrediente che ho conosciuto e apprezzato durante il mio soggiorno per studio in Cina e al ritorno in Italia mi sono resa conto che è richiesto anche qui. Non solo nei ristoranti orientali, ma anche in quelli che puntano con decisione su piatti a base di vegetali. Abbiamo pensato che poteva essere un’opportunità offrire a questo mercato un prodotto fresco, biologico e a chilometro zero».

Forti anche dell’aiuto di nonno Abramo, che da ex vivaista le ha supportate sugli aspetti agronomici, hanno trovato gli spazi – in una zona alla quale i trevigliesi sono molto legati, il “Roccolo” – e scelto la varietà di bambù più adatta alle condizioni di terreno e clima e più vocata alla produzione per uso alimentare. Rimandata per le eccessive piogge dello scorso autunno, la messa a dimora delle piantine dovrebbe essere effettuata proprio in questi giorni. «Il primo raccolto è previsto dopo due anni, ma se la stagione procede bene potrebbe essere anche un po’ prima», dice Marianna, che nel frattempo ha già esplorato le potenzialità gastronomiche dei germogli di bambù. «Sono un’alternativa interessante per variare piatti vegetariani e vegani sempre più richiesti – rileva –. Dal sapore non troppo ingombrante e di buona consistenza, si prestano a diverse cotture: alla griglia, fritti in tempura in chips, in purea. Qui alle Calandre sono proposti in un piatto vegetale con rapa rossa e topinambur e in crema con cubi di triglia scottati a vapore, conditi con semi croccanti. Non contengono glutine, ma hanno vitamine e sali minerali che li rendono degni di attenzione anche per le qualità nutrizionali». Il bambuseto si presta, tra l’altro, ad una impostazione multifunzionale. Le due sorelle vogliono farlo diventare anche un luogo di visita per le scolaresche e di educazione ambientale e quando i fusti saranno maturi potranno essere un’ulteriore risorsa, vista la molteplicità degli usi (costruzioni, arredamento, tessile solo per citarne alcuni). Quanto ai germogli, «l’obiettivo sono forniture su misura per chi ricerca prodotti bio e di qualità», rimarcano.