Lavoro, nei bar e ristoranti bergamaschi mancano oltre 4 mila camerieri e addetti in sala

La situazione paradossale in vista della riapertura totale dei ristoranti: i posti ci sono ma le candidature mancano anche a causa della fuga verso altri settori

Allarme camerieri e addetti in sala in Bergamasca. I posti di lavoro ci sono ma le candidature mancano anche a causa della fuga verso altri settori. Nonostante il blocco dei licenziamenti, infatti, il numero degli addetti è calato di 4.146 dipendenti (-18,7%) nel corso del 2020. Mentre hanno tenuto gli occupati delle imprese che producono pasti preparati (-2,3%) sono crollati i dipendenti dei ristoranti (-25,4%) e dei bar -(26,2%), categorie in cui sono andati persi oltre 3.485 dipendenti. Un crollo pesante a cui però non corrisponde un aumento delle candidature in un settore che in provincia conta circa 3.900 imprese tra bar, ristoranti, alberghi con ristorante, mense e imprese catering, in cui sono occupati più di 5.200 addetti indipendenti (titolari, coadiuvanti e soci) e oltre 22.100 dipendenti.

“Stiamo assistendo a una situazione paradossale proprio in questi giorni in vista anche della riapertura dei ristoranti al chiuso – sottolinea Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo -. Per i ristoratori questo problema c’è sempre stato per mancanza di profili idonei più che di candidature. Oggi, invece, il crollo è anche delle candidature ed è specchio della fuga verso altri settori, in primis logistica, trasporti ed edilizia, senza contare chi è ancora coperto dagli ammortizzatori sociali. A riguardo va valutato anche un ripensamento dello stesso sistema degli ammortizzatori che deve essere modificato per motivare il lavoratore alla ripresa dell’impiego più che al godimento della Naspi”.

Occupazione pesante, incertezza del lavoro nel lungo periodo e sostegni al reddito troppo deboli sono i motivi secondo cui camerieri e addetti in sala sono “scappati” verso altri settori come conferma Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo Bar Caffè di Ascom e vicepresidente regionale del coordinamento di Fipe Lombardia: “Anche la Fipe sta manifestando preoccupazione in merito alla carenza di figure professionali in tutta Italia. In Ascom abbiamo investito molto in formazione perché, di fatto, ci vogliono anni a formare personale qualificato. E adesso non solo dobbiamo ripartire da capo ma dobbiamo trovare persone volenterose, soprattutto tra i giovani, che però non rispondono all’appello. A riguardo nel 2018 avevamo lanciato il progetto ‘Formati e Occupati’ perché eravamo già in allerta e avvertivamo questo pericolo all’orizzonte che poi la pandemia ha accelerato”.

“Non è facile ripartire in questo modo – aggiunge Petronilla Frosio, presidente del Gruppo Ristoratori Ascom Confcommercio Bergamo -. Nel settore della ristorazione in un anno i dipendenti sono calati di oltre il 18% e quindi ci sono migliaia di posti vacanti e altrettante persone sul mercato del lavoro pronte al reimpiego ma che non rispondono alla chiamata. I motivi sono forse da ricercare nel tipo di lavoro che non è più allettante: fare il cameriere, infatti, comporta diversi sacrifici, dal lavoro in orari serali all’impiego il sabato e la domenica”.

Il problema è ancora più evidente nelle zone turistiche dove è partita la caccia allo “stagionale”: “In questo momento, nel quale le imprese preferirebbero puntare al lavoro a chiamata piuttosto che in assunzione per via delle restrizioni, le difficoltà nell’assumere i profili richiesti è molto alto – ribadisce Fusini -. Se il problema sta montando nelle grandi località turistiche, come la Romagna dove è già in atto la ‘caccia allo stagionale’, è molto probabile che il disagio si riscontrerà con la riapertura anche per le valli bergamasche, augurandoci che l’afflusso di turisti sia tale da portare nuova occupazione”.


Divieto di consumo al banco nei bar Oltre al danno economico anche la beffa ambientale

Crollati del 40% i fatturati e in circolazione un mare di bicchierini di plastica, pari a 30 tonnellate di rifiuti al giorno secondo la Fipe

Oltre al danno (economico) anche la beffa (ambientale). Il divieto di consumare il caffè al banco che sta producendo un doppio effetto negativo: da un lato i fatturati dei bar sono crollati del 40%, dall’altro si sta mettendo in circolazione un mare di bicchierini di plastica. Secondo le stime dell’Ufficio Studi di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, il divieto di consumo al banco da solo, ovvero escludendo l’asporto, genera infatti 30 tonnellate di rifiuti di plastica al giorno.

“Questo è un motivo in più per eliminare un divieto, quello del consumo al banco, che non ha alcuna base scientifica – sottolinea Fipe-Confcommercio – e che sta invece distruggendo il modello stesso del bar italiano. Un disastro che si accompagna a quello provocato dal coprifuoco alle 22. In questo caso ad essere maggiormente penalizzati sono i ristoranti”.

Secondo l’Ufficio Studi, infatti, lo slittamento del coprifuoco alle 23 produrrebbe un beneficio per le casse dei locali, pari al 10% dei fatturati giornalieri, mentre arrivare fino alle 24 aggiungerebbe un ulteriore 7%. “In totale – spiega la Federazione – queste due ore in più di lavoro garantiscono un incremento di volumi di affari per i pubblici esercizi di 10 milioni di euro al giorno. Una boccata d’ossigeno importante ma ancora più importante è la ripresa al più presto dell’attività al chiuso. Non dimentichiamoci che, non solo il 46% dei locali italiani, 116mila bar e ristoranti, è sprovvisto di spazi all’aperto, ma la perturbazione che interesserà per tutta questa settimana buona parte del nostro Paese, sta determinando un nuovo lockdown di fatto anche per le altre attività. Anche per questo non si può più attendere oltre”.


Divieto di consumazione al banco nei bar. La Fipe chiede con urgenza un intervento del Mise

Anche Ascom Confcommercio Bergamo si associa alla richiesta della Fipe: in Bergamasca la misura “pesa” su oltre 2.600 bar

La circolare del 24 aprile con cui il ministero dell’Interno ritiene che il DL “Riaperture” vieta ai bar la possibilità di effettuare la somministrazione al banco è giuridicamente incomprensibile e non ha alcun fondamento di sicurezza sanitaria. È quanto sostiene la Fipe secondo cui si tratta di un attacco al modello di offerta del bar italiano che si differenzia da quelli degli altri Paesi proprio perché basato sul consumo al banco. Per dare voce agli oltre 2.600 bar del territorio, Ascom Confcommercio Bergamo si associa alla richiesta del presidente Fipe, Lino Stoppani, per un intervento urgente da parte del Mise, perché ormai il tema della salute pubblica non può essere separato da quello della tenuta di un intero settore produttivo.

Si tratta, infatti, di un’interpretazione che nessuno si aspettava considerando che il decreto non esclude espressamente il consumo al banco ma, al contrario, ha voluto specificare con quali modalità può avvenire il consumo al tavolo (esclusivamente all’esterno fino al 31 maggio). D’altra parte, dopo 14 mesi di blocco delle attività di ristorazione, almeno l’aspettativa di una regolamentazione puntuale non dovrebbe essere tradita: in zona gialla i bar hanno sempre avuto la possibilità di effettuare la somministrazione al banco anche in virtù del fatto che si tratta di un consumo veloce, che non implica una lunga permanenza all’interno degli esercizi.

“È un attacco al modello di offerta del bar italiano che si differenzia da quelli degli altri Paesi proprio perché basato sul consumo al banco – dichiara Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo Bar, Caffè e Pasticcerie di Ascom Confcommercio Bergamo, e vicepresidente regionale del coordinamento di Fipe Lombardia-. Un provvedimento punitivo ingiustificato anche sotto il profilo scientifico sui rischi sanitari che si corrono. Anzi la scienza continua a sostenere che il rischio di contagio cresce con l’aumento del tempo di contatto”. In attesa di aggiornamenti, Ascom Confcommercio Bergamo sta invitando gli associati a esporre la locandina dedicata.


Ristoranti e bar aperti con dehors: le regole da seguire tra orari, spazi, servizio mensa e consumo al banco

Tutte le novità per la ristorazione del nuovo decreto Legge integrato con le disposizioni del Dpcm del 2 marzo 2021

Torna la zona gialla da oggi, 26 aprile, con nuove regole per bar e ristoranti, aperti a pranzo e a cena purché all’aperto. La novità, fermo restando il coprifuoco alle 22, riguarda le regioni gialle -da Lombardia a Lazio, da Emilia Romagna a Veneto, da Campania a Toscana- che rappresentano la zona più ampia d’Italia. Le regole prevedono che si possa stare soltanto seduti al tavolo, massimo quattro persone, a meno che non si tratti di conviventi. La distanza è fissata a un metro. Dal primo giugno, soltanto in zona gialla, i ristoranti potranno restare aperti anche al chiuso dalle 5 alle 18. Si potrà stare soltanto seduti al tavolo, massimo quattro persone, a meno che non si tratti di conviventi.

Ecco tutte le novità per la ristorazione (bar e ristoranti) del nuovo decreto Legge n. 52 del 22 aprile 2021, integrato con le disposizioni del Dpcm del 2 marzo 2021 che restano in vigore. Le attività si svolgono infatti sempre nel rispetto dei contenuti dei protocolli e delle linee guida dell’allegato 9 del Dpcm.

Modalità di consumo al tavolo, delivery e orari dei servizi

Per tutte le attività della ristorazione bar, ristoranti pasticcerie cod. Ateco 56:

  • il servizio al banco è ammesso nel rispetto del numero massimo di persone che possono accedere e della legge (dalle 05,00 alle 22,00);

  • il consumo al tavolo è ammesso solo all’aperto e con il massimo di 4 persone al tavolo, salvo che siano tutti conviventi (dalle 05,00 alle 22,00);

  • il servizio delivery è ammesso sempre;

  • l’asporto può essere effettuata solo fino alle ore 22.00, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze. Tuttavia, per gli esercizi che svolgono come attività prevalente una di quelle identificate con codice Ateco 56.3 (bar e altri esercizi simili senza cucina) è confermato l’obbligo di sospendere il servizio di asporto alle 18.00.

Resta consentita senza limiti di orario la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive limitatamente ai propri clienti, che siano ivi alloggiati.

Spazi all’aperto: urgono chiarimenti

La definizione “all’aperto” resta controversa: l’interpretazione di Fipe si rifa all’interrogazione parlamentare di ieri dell’On. Andreuzza, dove si ritiene che possano essere equiparabili agli spazi aperti le c.d. Sun Room, ovvero le parti di edificio dotate di serramenti completamente apribili in altezza su uno o più lati (ovviamente i serramenti devono essere aperti). Quindi, secondo Fipe, via libera anche a verande/terrazze/dehors completamente aperti su uno o più lati per il consumo al tavolo. Questa interpretazione verrà sostenuta dal Ministro Garavaglia e sarà oggetto di specifica faq. Ascom Confcommercio Bergamo consiglia di chiedere al proprio Comune un assenso a questa interpretazione.

Servizio mense ancora attivo (all’interno)

Secondo la Fipe è ammesso il servizio mensa (all’interno) con il servizio ristorante all’aperto, purché si segnali con un cartello che il servizio interno è solo di mensa e ci sia separazione della clientela. Anche in questo caso, se necessario, si consiglia un passaggio preventivo con il proprio Comune.

Feste vietate anche all’aperto

Resta in vigore l’art. 16 del Dpcm del 2 marzo 2021 che vieta le feste nei luoghi al chiuso e all’aperto, ivi comprese quelle conseguenti alle cerimonie civili e religiose. Non è vietato però che una persona inviti altre persone al ristorante nel rispetto delle norme e del posizionamento al tavolo.

Servizi igienici disponibili

Nella zona gialla non vale la sospensione dell’obbligo della disponibilità del servizi igienici per i clienti (stabilita solo per le zone arancioni e rosse). Quindi servizi igienici sempre disponibili.

Cartello obbligatorio

Permane l’obbligo per tutti gli esercizi commerciali e tutti i locali pubblici e aperti al pubblico di esporre all’ingresso del locale un cartello che riporti il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente al suo interno, sulla base dei protocolli e delle linee guida vigenti.

Niente consumo al banco

Riguardo al consumo al banco, infine, una circolare del ministero dell’Interno introduce una limitazione ulteriore che non esisteva nel Dpcm del 2 marzo, al quale peraltro l’ultimo decreto di aprile fa riferimento. Nella circolare, infatti, c’è scritto “Fino al 31 maggio p,v, pertanto, relativamente agli esercizi pubblici di somministrazione di alimenti e bevande, il servizio al banco rimarrà possibile in presenza di strutture che consentano la consumazione all’aperto”. Al banco, quindi, è consentito solo il servizio e non la consumazione. Resta comunque possibile per tutti l’asporto (fino alle 18 per chi ha il codice Ateco 56.3).

Per la Fipe è assurdo impedire, oggi, di effettuare il consumo al banco e farlo con un’interpretazione ministeriale: si tratta di una mancanza di rispetto e un danno secco verso le imprese che hanno già pagato un prezzo altissimo per le misure di contenimento della pandemia, senza alcun beneficio evidente sul piano sanitario. Il consumo al banco, regolato dai protocolli su distanziamento e capienza degli esercizi, permette in molti casi di snellire il servizio evitando assembramenti all’esterno ed è l’unica modalità rimasta di servizio per numerosissime attività che non dispongono di spazi esterni. Per questo Fipe chiede al più presto un intervento del ministero dello Sviluppo Economico.


Aprire. Ma quando? E come? Siamo stufi dell’approccio superficiale di chi non sa cosa vuol dire avere un locale

Aprire. Da quando? Come? Nel leggere giornali e social non si capisce quando i bar e ristoranti potranno riaprire. E nemmeno come lo potranno fare. C’è chi sostiene che l’orario massimo sarà quello delle delle 15, solo se seduti, solo se in tavoli all’aperto. Fossimo a primavera di un anno fa, forse, potremmo capirlo, ma oggi non è assolutamente giustificabile. Politici e membri del CTS che rilasciano queste dichiarazioni dovrebbero vergognarsi, quanto meno perché non è pensabile governare o imporre restrizioni senza conoscere i punti di sostenibilità del lavoro.

Ma come si può pensare di far partire solo chi ha tavoli all’aperto lasciando morire di fame gli altri, senza pensare che la rabbia sociale sarebbe incontrollabili? Oppure che non è lo Spritz che trasmette il contagio e nemmeno l’ora del consumo? È ora di far ripartire questo Paese. Non sopportiamo più chi rilascia queste dichiarazioni perché anziché cercare di individuare, per rimuoverle, le cause dei ritardi nelle campagne vaccinali – che dovrebbe essere il loro lavoro – pensano che sia possibile giustificare i ritardi nell’imporre sacrifici sempre agli stessi.

Con l’approccio superficiale che meno si apre e comunque meglio è. Meglio per chi? Forse per loro. Non certo per chi deve riprendere a lavorare per pagare i debiti, che è quella parte dell’Italia che paga il loro lauto stipendio a scarico delle responsabilità.

Un barista incazzato

 


Dehors, in città procedure semplificate per tutto il 2021

Confermati anche gli oltre 200 spazi di somministrazione all’aperto realizzati nel 2020. Tutti gli spazi, inoltre, saranno esentati dal pagamento del nuovo canone unico patrimoniale

Anche per il 2021 Bergamo punta ad arricchire le sue piazze e i suoi giardini di dehors e spazi di somministrazione all’aperto. Il perdurare dell’emergenza sanitaria e delle limitazioni di capienza a cui sono e saranno soggetti anche nei prossimi mesi bar e ristoranti motiva l’Amministrazione comunale a replicare la sperimentazione che nell’estate dello scorso anno portò ad autorizzare oltre 200 tra nuovi dehors e ampliamenti di quelli esistenti, conciliando così sicurezza sanitaria e sostegno alle attività di ristorazione e somministrazione.
Lo scorso anno, il Sindaco Giorgio Gori, aveva, in occasione della riapertura di bar e i ristoranti in città il 18 maggio 2020, firmato un’ordinanza per agevolare l’ampliamento dei dehors esistenti e la creazione di nuovi di spazi di ristorazione e di somministrazione all’aperto. Non solo, il Comune di Bergamo aveva anche previsto l’esenzione della COSAP a partire dai primi di marzo 2020 fino alla fine dell’anno: la gratuità è stata poi prorogata ed è allo stato attuale ancora vigente per effetto dei diversi decreti legge emanati mesi scorsi.

Anche nel 2021 la scelta è di andare in questa direzione e sarà diffusa un’ordinanza che dispone un pacchetto di provvedimenti che vengono incontro agli esercizi commerciali anche in questo 2021. L’ordinanza prevede innanzitutto, in base a quanto disposto dal recente Decreto Sostegni del Governo Draghi, che la procedura semplificata per l’installazione o l’ampliamento di dehors su strade e piazze della città rimanga in vigore fino al prossimo 31 dicembre, con le modalità previste già lo scorso anno.

L’Amministrazione di Bergamo ha poi deciso di prorogare tutti i dehors che sono stati richiesti e previsti lo scorso anno attraverso le procedure semplificate: confermati, quindi, fino al 31 dicembre 2021 gli oltre 200 spazi di somministrazione all’aperto realizzati in città nel 2020.

Non solo procedura semplificata: tutti gli spazi saranno esentati dal pagamento del nuovo canone unico patrimoniale (che dal 2021 ha sostituito il Canone di Occupazione del Suolo e Aree Pubbliche) almeno per il primo semestre del 2021: lo ha stabilito il Governo, che contestualmente ha stanziato 165milioni di euro per compensare i Comuni della mancata riscossione della tariffa a cui sono soggetti tutti i dehors fino al prossimo 30 giugno.

“Al momento possiamo assicurare la gratuità fino al 30 giugno – sottolinea il Sindaco, Giorgio Gori – , seguiamo con attenzione il percorso di conversione della legge nazionale, che potrebbe ulteriormente prorogare la gratuità dell’occupazione del suolo pubblico, e lavoriamo, in alternativa, per capire di quante risorse il Comune di Bergamo potrà disporre, per decidere eventuali autonome agevolazioni per dehors e spazi di somministrazione all’aperto. L’obiettivo è quello di incoraggiare una “convivialità sicura”, come quella che può avvenire negli spazi aperti, e dare sostegno ai ristoratori e baristi della città, particolarmente penalizzati dalle restrizioni collegate al perdurare della pandemia”.


Bar e ristoranti, contributi troppo bassi. La Fipe: “Una fragile stampella”

E per i bar poco cambia: ecco le simulazioni dall’Ufficio Studi di Fipe-Confcommercio all’indomani dell’approvazione del Dl Sostegni

Con il decreto Sostegni il ristorante tipo che nel 2019 fatturava 550mila euro e che nel 2020, a causa degli oltre 160 giorni di chiusura imposti dalle misure di contenimento della pandemia da Covid, ha perso il 30% del proprio fatturato, 165mila euro, beneficerà di un contributo una tantum di 5.500 euro. Poco cambia per un bar tipo. Chi nel 2019 fatturava 150mila euro e ne ha persi 25mila a causa delle restrizioni, avrà diritto a un bonus di 1.875 euro, il 4,7% della perdita media annuale. Sono queste le simulazioni prodotte dall’Ufficio Studi di Fipe-Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici esercizi, all’indomani dell’approvazione del Dl Sostegni.

“Il decreto Sostegni era certamente necessario, ma è evidente quanto non possa essere considerato sufficiente. Da settimane si parlava di aiuti perequativi, selettivi, adeguati e tempestivi e questi aggettivi non descrivono le misure proposte – ha dichiarato il presidente della Federazione, Lino Enrico Stoppani -. Innanzitutto, la coperta del sostegno a famiglie e imprese è evidentemente troppo corta per la platea che si propone di aiutare: settori come la ristorazione sono stati messi letteralmente in ginocchio dalla gestione dell’emergenza e i limiti imposti sulla perdita di fatturato o sui massimali erogabili hanno effetti perversi sul sostegno alla parte più sana della nostra economia. Bastano due esempi: ci si lamenta del nanismo delle imprese italiane e poi si mette un limite di 10 milioni di fatturato per accedere ai sostegni; e ancora si dichiara che i contributi sono calcolati sulla perdita di fatturato annuo, ma in realtà si indennizza una sola mensilità media. C’è la spiacevole sensazione di voler aggirare il problema. Il punto è che bisogna uscire immediatamente dall’ottica di breve periodo e mettere in piedi un piano di ripartenza che garantisca il diritto al lavoro e non sottoscriva semplicemente il dovere di stare chiusi. Serve un progetto che dia una prospettiva di futuro reale alle imprese e non solo un sostegno temporaneo, che appare oggi una fragile stampella”.


Doccia gelata per bar e ristoranti. Il nuovo decreto è inaccettabile

Il decreto legge entrato in vigore il 7 gennaio è inaccettabile. Non solo perché rappresenta l’ennesima doccia gelata per bar e ristoranti che saranno costretti a chiudere il prossimo fine settimana quando invece avrebbero una forte necessità di poter lavorare. Questo provvedimento toglie speranza e rafforza quel senso di mancanza di prospettiva che il governo, più della pandemia, ha contribuito a diffondere. Ricordiamo la pomposa conferenza stampa nella quale era stato richiesto un grande sacrificio agli italiani e soprattutto ai gestori di bar e ristoranti, oltre che dei commercianti di generi non alimentari, costretti a chiudere nel periodo delle feste con l’auspicio di ripartire dopo l’Epifania.

Il colore arancione assegnato a tutta Italia obbligherà bar e ristoranti alla chiusura e a gestire le disdette delle prenotazioni già ricevute. Non è pensabile che si possano aprire e chiudere attività di impresa come se fossero interruttori. Come si può pensare di muovere e fermare lavoratori, comprare e gestire derrate alimentari senza programmazione? Come gestire imprese senza prospettive? Emerge scarsa competenza e molta approssimazione su questioni delicate. Il risultato è che in questa giungla di decreti e provvedimenti i cittadini e le imprese non ci capiscono più nulla, mentre con questo ennesimo decreto la maggior parte dei ristoranti sceglierà comunque di restare chiusa e lo farà in attesa di conoscere quali prospettive il Governo voglia riconoscere loro.

Il DPCM del 3 dicembre si era dato una proiezione di circa un mese e mezzo, fino al 15 gennaio, per capire come si sarebbe evoluta la pandemia chiedendo agli operatori di pazientare in attesa che i dati epidemiologici avessero riportato le diverse aree geografiche in area gialla. Così è stato per la Lombardia e anche per Bergamo i cui indici, suffragati anche da una ricerca dell’Università degli Studi di Bergamo, avevano evidenziato come nella seconda ondata i numeri della pandemia avrebbero giustificato misure meno restrittive.

Eppure Bergamo ha pazientato prima, con la stragrande maggioranza dei commercianti, l’arrivo della zona “arancione” avvenuta il 27 novembre, poi, con i bar e ristoranti, la tanto agognata zona “gialla” il 13 dicembre. Quel sistema che garantiva quel poco di linfa vitale alle imprese commerciali è durato poco, fino all’antivigilia di Natale. Eppure da quel 3 dicembre, data dell’ultimo DPCM, la situazione sanitaria è nettamente migliorata almeno per quanto riguarda il nostro territorio.

Il Governo italiano ha lanciato prima come novità e difeso pubblicamente poi questa sua impostazione “a colori” che, diciamocelo, ha fatto sorridere l’Europa e mosso l’ironia delle comunità dei social. Peccato che se proprio il Governo ne ha sancito il successo oggi lo sta già sconfessando. Se il Decreto legge del 18 dicembre, quello per il Natale, è stato giustificato dall’Esecutivo dall’esigenza di evitare spostamenti e assembramenti nel periodo natalizio, posizione criticabile perché i pranzi e cene sono state fatte comunque nelle case con rischi anche maggiori rispetto ai ristoranti, l’ultimo decreto legge, quello del 5 gennaio, definito come “ponte” verso il nuovo DPCM, non ha nemmeno una giustificazione plausibile. Noi riteniamo che sia il frutto di quel retaggio mentale di parte del Governo che ritiene siano i bar e ristoranti i luoghi del contagio mentre per molti imprenditori e cittadini rappresenti ormai un pericoloso “accanimento terapeutico” verso la categoria.

Più grave ancora è che il Governo abbia già pronto il cambio di criteri o degli indici per far precipitare interi territori in aree a maggiori restrizioni, arancioni e rosse. Come a dire che quando i sacrifici di pochi hanno portato miglioramenti per tutti allora si cambiano nuovamente le regole. Sempre e solo per quelli. Un “gioco dell’oca” nel quale qualcuno torna sempre indietro. Come è pensabile lavorare in questo modo? Si, perché bar e ristoranti non sono solo un servizio per i cittadini ma un lavoro per molti.

Le ordinanze del Ministro della salute che richiamano al primo punto gli articoli della costituzione sembrano cozzare con quanto sta avvenendo a danno di un intera categoria di cittadini e lavoratori. Questi provvedimenti, che si basano su presunzioni di violazione della legge e sull’incapacità dello Stato o di sue parti di far rispettare la legge e quindi le misure stabilite per mantenere il distanziamento, minano il diritto al lavoro di milioni di addetti, titolari e dipendenti delle imprese commerciali e in particolare del settore della ristorazione. Solo nella nostra provincia il settore conta quasi 5.000 imprese e circa 15.000 occupati.

Allora è giusto ricordare quanto recita la nostra Costituzione nei suoi primi quattro articoli “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…..La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità….Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge….La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Ebbene a noi non sembra che in un Paese nel quale tutti i settori produttivi possano continuare a lavorare nel rispetto della legge questo non possa avvenire per alcuni. Ci umilia sentir parlare di misure necessarie per evitare nuovi lockdown perché quello che stiamo subendo è proprio questo. Non lo accettiamo e non ci rassegniamo nella denuncia di quanto sta avvenendo alle spalle di molta brava gente.


Il lockdown annulla le ferie di agosto: commercianti, baristi e ristoratori non si fermano

Il lockdown annulla le ferie di commercianti, baristi e ristoratori. In città e nei centri della provincia nel mese di agosto le attività commerciali resteranno aperte. Secondo un sondaggio fatto da Ascom Confcommercio Bergamo il 90% di bar e ristoranti e l’80% dei negozi alimentari e non alimentari non chiuderà per ferie, sia in provincia che in città. «Non è tempo di fermarsi – afferma Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo – È questo quello che dicono i nostri associati, che sono stati segnati dall’emergenza sanitaria che ha stravolto il nostro territorio».Commercianti, baristi e ristoratori non si fermano nonostante la presenza limitata di turisti.

Chi chiude lo farà nella settimana dal 15 al 22 agosto e per molti le ferie si restringeranno ad fine settimana lungo: da sabato 15 a lunedì 17 agosto. «È un agosto diverso da quello degli anni precedenti – prosegue il direttore di Ascom Confcommercio Bergamo – non solo per ragioni climatiche ma anche perché sono molte le persone che non sono o non andranno in ferie e molte sono ancora al lavoro. Questo significa che le attività commerciali saranno per lo più aperte e non ci sarà il pericolo di serrate. Otto negozi su dieci non chiuderanno e per quanto riguarda il mondo della ristorazione nove bar e ristoranti su dieci resteranno aperti. Tutti sono impegnati a cercare di recuperare quei mesi di inattività che hanno fiaccato i bilanci delle imprese».

 


“Formati e Occupati”: al via il progetto formativo con stage immediato per diventare cuochi, barman, addetti sala e reception

Creare un ponte tra la scuola e il mondo del lavoro e, al tempo stesso, fare sistema tra imprese e sindacati per riqualificare i settori della ristorazione e dell’ospitalità: è legato da un doppio filo il percorso formativo gratuito “Formati e Occupati” che ha preso il via questa mattina presso la sede di Ascom Formazione a Osio Sotto rivolto a formare aspiranti cuochi, barman, addetti sala e ricevimento alberghiero. Obiettivo promuovere la formazione professionalizzante ma non solo: coinvolgendo una ventina di iscritti e altrettante aziende, il progetto è infatti finalizzato ad agevolare il matching tra domanda e offerta locale, in risposta al grido di allarme lanciato dai ristoratori sulla carenza di personale qualificato.

Un progetto pilota
«Siamo di fronte al paradosso di un settore che cresce per numeri, imprese e volumi di vendite ma che fatica a trovare personale all’altezza – ha ricordato il presidente di Ascom Confcommercio Bergamo, Giovanni Zambonelli -. La scuola di oggi, infatti, non ha un collegamento diretto con il mondo del lavoro e questo percorso è stato pensato proprio per colmare le lacune dei percorsi ministeriali. È un percorso gratuito e per Ascom è stato uno sforzo economico importante ma si tratta di un progetto pilota che siamo sicuri avrà un seguito e conterà sempre più iscritti».

Ventitre gli iscritti al percorso
Scenari futuri a parte, la prima edizione ha già fatto il pieno con 150 candidature come conferma Daniela Nezosi, Responsabile area formazione e sviluppo Ascom Bergamo: «Abbiamo selezionato 23 corsisti, di cui 9 per il corso “addetti sala e bar”, 5 per “addetti al ricevimento” e 9 per il corso “cuoco”. Il percorso si concluderà il 4 ottobre: le attività prevedono diversi laboratori pratici e una formazione specialistica tecnica per un totale di 120 ore e, successivamente, l’inserimento in azienda con un contratto di tirocinio retribuito di quattro mesi, da metà ottobre 2019 a metà febbraio 2020».

L’accesso gratuito
Contenitore di formazione specialistica accelerata, Formati e Occupati è stato ideato e strutturato proprio per offrire una possibilità concreta di rimettersi in gioco a chi è in cerca di lavoro, dai giovanissimi agli over 50. In quest’ottica, a sostenere il progetto è anche l’Ente Bilaterale del Turismo di Bergamo che ha stanziato fondi al fine di rendere gratuito l’accesso al progetto: «Siamo partiti con numeri contenuti volutamente perché vogliamo garantire un’opportunità di lavoro concreta per tutti i corsisti che dopo la formazione avranno un regolare contratto di stage» ha confermato Enrico Betti, presidente dell’Ente Bilaterale  Alberghiero e dei Pubblici Esercizi di Bergamo. «Qui non si tratta di fare formazione fine a sè stessa – gli fa eco il vicepresidente dell’Ente Maurizio Regazzoni -. La formazione è il fiore all’occhiello di un settore dove anche i piccoli dettagli fanno una professione e anche il mondo del lavoro ne trarrà vantaggio: da questo contenitore usciranno infatti addetti motivati e preparati».

Alla presentazione del progetto erano presenti anche Oscar Fusini, direttore Ascom Bergamo, Giorgio Beltrami, vicepresidente Ascom Bergamo e presidente Gruppo Bar Caffè, Petronilla Frosio, presidente Gruppo Ristoratori, ed esponenti delle organizzazioni sindacali.