Fondo per le Eccellenze Gastronomiche: click day da dimenticare

Dopo due anni di attesa per il bando Invitalia da 76 milioni di euro, oggi impossibile accedere alla piattaforma

Da due anni le imprese aspettavano l’apertura di questo bando promosso dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e gestito da Invitalia, del valore di 76 milioni di euro e quando finalmente è arrivato il giorno fatidico per presentare le domande, oggi 1°marzo, la piattaforma è andata in tilt. Da questa mattina migliaia di imprese sono in attesa di scaricare il modulo per presentare la domanda. Il problema interessa anche le imprese Confcommercio Bergamo, che da tempo facevano affidamento su questa misura.

L’ampia partecipazione da parte delle imprese della ristorazione e della pasticceria dimostra che c’è un grande bisogno di investire per rinnovare attrezzature, arredamenti e beni strumentali di vario genere ma anche che le risorse sono assolutamente insufficienti per rispondere a questa esigenza.

Il meccanismo del click day si sta dimostrando inefficace e penalizzante per migliaia di imprese. Il blocco della piattaforma impone che ci sia una sospensione dei termini e si riparta solo dopo aver risolto i problemi tecnici.


Bar, in crisi il format tradizionale del caffè sotto casa. In auge forme ibride e locali multitasking

Nel 2023 si spengono 90 insegne, 362 dal 2019. Crescono i locali flessibili o specializzati. In aumento catering e mense: +5,5% per effetto della crescita dei piatti prontiI servizi di ristorazione presenti in provincia di Bergamo al 31 dicembre 2023 sono 7.105. Rispetto all’anno precedente (fine 2022), dove erano attive 7.218 imprese, si perdono 113 insegne (– 1,6%). Rispetto a fine anno 2021, quello della ripartenza post pandemia dove erano attive 7.336 unità, la perdita è stata di 231 esercizi (– 3,1%). Quanto all’andamento delle imprese nei diversi settori della ristorazione si nota come in un anno – da fine 2022 a fine 2023-  si sono persi 90 servizi di bar (-2,8%), 42 servizi di ristorazione (-1,1%) e siano cresciuti invece di 19 (+ 5,5%) i servizi di preparazione pasti (mense, catering e banqueting, dark kitchen).  Osservando i settori in un periodo più lungo, dal 2019 cioè prima della pandemia, si evidenzia che i bar dal 2019 al 2023 hanno perso 362 imprese (-10,5%), i ristoranti hanno guadagnato 88 insegne (+2,5%) e i servizi di fornitura pasti 79 aziende (+27,5%). Sono questi i principali dati emersi dall’ultimo Osservatorio Cruscotto Dataviz (al IV trimestre 2023) su elaborazione dati Infocamere Fipe-Confcommercio Bergamo. I numeri sono emblematici del cambiamento in corso e della crisi di un modello. Il bar tradizionale è da anni in difficoltà non solo nei piccoli paesi, dove il rischio è la desertificazione dopo la chiusura anche dei negozi, ma anche nei centri più grandi e  in città .”Ogni insegna che si spegne lascia un vuoto, specialmente nei piccoli comuni montani dove il bar rappresenta quasi sempre l’unico punto di aggregazione sociale- spiega Diego Rodeschini, presidente del Gruppo, Bar Caffè e Pasticcerie Confcommercio Bergamo- . Non è solo una questione di eccesso di offerta, che pur con le liberalizzazioni delle licenze e la crescita dell’autoimpiego c’è stata, ma a cambiare sono le abitudini dei consumatori e dei consumi in generale, tra calo del potere d’acquisto e concentrazione nei fine settimana delle uscite. La clientela ora va a cercare prodotti particolari ed esperienze. La proposta deve essere personalizzata e distinguersi dalle altre”. Funzionano anche ibridazioni e contaminazioni: panifici con bar e bar ristoranti, ristoranti- pasticcerie, pasticcerie- catering e ampliamento dei servizi. Vince il modello flessibile e multitasking che sa diversificare l’offerta a seconda della fascia oraria o della clientela per soddisfare una domanda quanto più ampia possibile. “Bisogna cercare di assecondare e accompagnare il cambiamento dei consumi e della clientela, modificando la proposta in base alle esigenze del momento. Innalzare sempre la qualità e rendere unica e personale la proposta, dalla valorizzazione dei prodotti a km zero o particolari all’organizzazione e promozione di eventi e serate a tema”. Nemmeno la forte spinta della ripartenza del 2021 ha saputo invertire un trend inesorabile che ha visto perdere oltre il 10% degli esercizi negli ultimi 4 anni, pari a ben 362 insegne. La debolezza del sistema non è evidenziata solo dal saldo negativo di imprese, ma anche dal turnover che è rimasto comunque alto dopo il 2020.  In quest’ultima fase, si registra l’apertura di ristoranti e la chiusura di bar, ma questi ultimi dal 2003 al 2013 sono cresciuti notevolmente e oggi pagano pegno al cambio dei consumi in atto. Negli ultimi anni si è inoltre definitivamente affermata la cucina e i ristoranti fusion, da Poke e kebab per la somministrazione e asporto, ai sushi bar e ristoranti, ai locali etnici (dalla cucina eritrea a quella libanese, dall’indiana alla thailandese). Se il trend dei bar è lineare e purtroppo sempre negativo i servizi di ristorazione hanno registrato un cambiamento nel loro andamento. I ristoranti sono cresciuti negli ultimi anni, addirittura nel 2020 e in maniera notevole con la spinta post pandemia del 2021. Ma da due anni a questa parte (con particolare accentuazione nel 2023) stanno subendo un calo, dopo aver conosciuto una lunga e straordinaria curva di crescita, grazie all’aumento dei consumi fuori casa e del turismo nella nostra provincia. La crisi economica e finanziaria (prima con l’energia poi il caro mutui) sta portando ad un inevitabile crollo dei consumi. L’unico segmento che cresce- a seguito della esternalizzazione del servizio dalle imprese pubbliche e private e della tendenza a produrre piatti pronti- è quello legato alle mense, catering e banqueting che aumenta anno dopo anno, nel 2023 del 5,5% e dal 2019 addirittura del 27,5%. Questo segmento rappresenta però una nicchia nel settore, concentrando solo il 5,2% delle imprese complessive. “La crisi economica e finanziaria, tra rialzo dei tassi di interesse e inflazione, sta portando ad un inevitabile calo dei consumi- spiega Oscar Fusini, direttore Confcommercio Bergamo-. Un discorso a parte va fatto per Città Alta e le aree più turistiche della provincia. Nelle vie e quartieri più attrattivi della città, sul lungo lago di Sarnico e Lovere, i locali crescono, così come la presenza dei turisti. Ma sono aree limitate della Bergamasca”.

Il dato: l’identikit dell’impresa della ristorazione

La fotografia del settore

Imprese giovanili, femminili e straniere

Le imprese femminili dei servizi della ristorazione a Bergamo sono 1.845, pari al 32%, e sono in percentuale più alte del totale della Lombardia, 27% e dell’Italia 28%. Le imprese femminili attive del settore sono 1.630. Il saldo del IV trimestre è negativo -9: le iscrizioni sono 22 (+4,8%) e le cessazioni 31 (+19,2%). Sono giovanili per il 14% e straniere per il 22%.  Le imprese giovanili (con proprietà o controllo in prevalenza under 35), sono 695, pari all’11,9% del totale (allineate alla percentuale regionale 12,0% e nazionale 12,0%). Le imprese attive del settore in bergamasca sono 619. Il saldo del IV trimestre è -2, frutto di 17 iscrizioni (+ 70,0%) e 19 cessazioni + 72,7%. Sono per il 39% imprese femminili e per il 28% straniere con percentuali quindi molto alte.  Le imprese straniere, 1.085, sono il 18% del totale inferiore al dato lombardo 23% e superiore al dato nazionale 13%. Nel IV trimestre ha registrato un saldo negativo – 1 frutto di 15 aperture (-34,8%) e di 16 cessazioni (-11,1%). Sono femminili per il 37% e giovanili per il 18%.

La forma societaria

Il settore presenta 2.826 ditte individuali attive (39,8%), 1.886 società Snc e Sas (26,5%) e 2.116 Srl, Srls e Spa (29,8%). Non mancano altre forme 277 (3,9%). Come negli altri settori del commercio, si registra il calo vistoso della costituzione di società di persone a favore delle forme di società di capitale e in particolare della società a responsabilità limitata semplificata (Srls), introdotta nel nostro ordinamento a partire dal 2012 con l’obiettivo di rendere più accessibile e meno costosa la costituzione della società.

Le dimensioni delle imprese

Il settore dei servizi di ristorazione è fortemente caratterizzato dalle dimensioni micro e piccole. Il 37,5% delle imprese ha fino a 3 addetti (ma la stima è più alta e sfiora il 50%, dato che è alto il numero delle imprese per cui non è disponibile l’informazione sul numero degli addetti); le imprese dai 4 ai 9 addetti sono il 21,8%. Solo il 12,4% delle imprese è di dimensione media (fino a 49 addetti), mentre solo il 2,5% ha un numero di addetti superiore a 50.

Segmenti di servizi erogati

I bar e pubblici esercizi che non hanno cucina, ma solo tavola fredda e bevande, sono 3.070 (pari al 43,2% totale), le imprese che somministrano o vendono cibo sono 3.669 (pari al 51,6%) e Gli esercizi del catering e delle mense sono 366 (pari al 5,2%). Mentre il settore dei bar con licenza di pubblico esercizio, pur con caratteristiche e vocazioni diverse, costituisce un unico comparto, quello del catering si compone di tre micro settori: 296 mense, 15 catering su base contrattuale e 55 imprese di catering per eventi e banqueting. Il settore più frammentato è quello della ristorazione che è formato da 3.669 unità locali. Le unità con somministrazione, ristoranti e pizzerie, sono 2.305 (32,4%), 859 sono senza somministrazione e di asporto (12,1%), 370 pasticcerie e gelaterie (5,2%), 94 (1,3%) imprese di ristorazione e pasticcerie ambulanti, oltre a 41 imprese (0,6%) di altri microsettori.

Dimensioni dei segmenti

Incrociando i dati delle dimensioni e delle categorie, emerge che i bar sono nella maggior parte di piccola dimensione. Confcommercio Bergamo stima che oltre il 70% dei bar rientri nella categoria delle microimprese (fino a 3 addetti). I ristoranti hanno per quasi il 50% tra i 4 e i  9 dipendenti. Il 20% ha fino a 3 addetti e un altro 20% ha più di 10 dipendenti. La ristorazione senza somministrazione o per asporto, salvo qualche caso di impresa di grande dimensione, si esprime oltre il 90% nella categorie fino a 9 addetti, con una forte concentrazione che sfiora il 70% fino a 3 addetti. Le gelaterie si distribuiscono abbastanza uniformemente, senza grandi variazioni dalla media, su tutte le dimensioni dalla micro alla più grande. Il settore del catering e delle mense è rappresentato da tutte le categorie della micro, piccola e media dimensione. Ha una forte accelerazione nelle grandi, dove esprime quasi il 40% delle imprese grazie alla presenza di 8 imprese sopra i 50 dipendenti che gestiscono 350 unità locali sul territorio.

 


Buoni pasto a doppia velocità

Nel pubblico le commissioni non possono oltrepassare il 5%, mentre nel  privato arrivano a sfiorare il 20%. La sfida è quella di cercare di uniformare i due settoriLa questione è delicatissima ed intricata quanto basta per creare più di qualche pensiero ai tanti ristoratori che da tempo stanno interrogandosi sull’effettiva opportunità di continuare o meno ad accettare i buoni pasto. Diciamolo subito: una risposta giusta, capace di soddisfare esigenze ed aspettative di tutti non c’è. Da una parte serbatoio di clientela che facilmente può fidelizzarsi al proprio locale, dall’altra i buoni pasto rappresentano un prezzo a volte troppo alto da pagare, se si vuole restare sul mercato: commissioni esorbitanti, tempi di pagamento molto lunghi (si parla di settimane per ricevere il corrispettivo in denaro) e in alcuni casi anche l’incertezza della tenuta delle società emettitrici (leggi: fallimento di Qui! Group, che nel 2018 finì a gambe all’aria con 325 milioni di euro di debiti, pagati in gran parte proprio dai commercianti, che per molto tempo avevano continuato ad accettare ticket che non sono più stati rimborsati).

Chi è del mestiere questi meccanismi li conosce bene: chi acquista i buoni pasto dalle società emettitrici, lo fa chiedendo sconti anche a doppia cifra, che poi si traducono in commissioni fino al 15-20% a carico dei titolari di bar e ristoranti, sottoforma di commissione. Lo scorso mese di marzo un primo, importante passo per sbrogliare la matassa è stato fatto, grazie anche al meticoloso lavoro ai fianchi della Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi. Nell’ultima gara d’appalto che si è chiusa a inizio primavera, la Consip – società per azioni del Ministero dell’Economia che si occupa della gestione dei servizi – ha fissato al 5% il tetto massimo delle commissioni che le società emettitrici di buoni pasto possono chiedere ai commercianti.

Una svolta (quasi) epocale, che però non risolve del tutto il problema. Questa condizione vale infatti solo per il mercato pubblico, che pure vale un miliardo e 250 milioni di euro l’anno, pari a poco più di un terzo del giro d’affari complessivo. Resta dunque scoperto il settore privato, che di miliardi ne vale addirittura 2, e sul quale il peso dello Stato non può farsi sentire. Oggi il rischio più evidente per il titolare di un locale è quello di ricevere buoni pasto di Serie A e buoni pasto di Serie B, ovvero ticket sui quali si ritrova a pagare il 5% di commissioni e altri sui quali la percentuale può arrivare a sfiorare il 20%, con ripercussioni non solo sul cassetto del ristorante, ma anche sul servizio ai clienti (a tutti i clienti, ovviamente, non solo quelli che si presentano coi buoni). E vedremo come. 

Nel frattempo aver «sistemato» il comparto pubblico rappresenta un primo obiettivo raggiunto: «Si era arrivati a condizioni di vendita con sconti a monte troppo alti, che generavano commissioni ancora più elevate e, dunque, insostenibili per i commercianti – spiega Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo –. Lo Stato risparmiava tanto, ma tutti questi soldi venivano poi ricaricati sugli esercenti». Ora le cose sono cambiate: nella commissione massima del 5% rientrano anche gli eventuali servizi aggiunti (ad esempio i pagamenti più veloci o anticipati), che normalmente le società si facevano pagare con ulteriori ritocchi alle loro percentuali. Tutto questo è senz’altro un bene: si stima che solo in Lombardia la mossa di dare un freno alle commissioni per il settore pubblico genererà un risparmio di 14,1 milioni di euro all’anno per i commercianti. «Siamo di fronte a una manovra importante – dice ancora Fusini –. Resta però ancora da definire il mercato privato e con esso altre questioni legate all’innalzamento della qualità del servizio e al superamento del concetto del massimo ribasso». Altri nodi da sciogliere sui quali però l’impressione è che non sarà così facile intervenire, non almeno nel breve periodo. 

Il fenomeno dei buoni pasti non è affatto marginale: nella sola provincia di Bergamo sono circa 59mila lavoratori tra settore pubblico e privato a riceverli, e sono sempre più numerosi: dopo la pandemia il numero di coloro che riscuoto i ticket ogni mese è cresciuto di 2mila unità per effetto dell’incremento dei servizi legati al welfare aziendale. Il valore complessivo si aggira intorno ai 70 milioni di euro all’anno in Bergamasca, con una media di poco superiore ai 1.200 euro all’anno per lavoratore, pari a 5,36 euro al giorno, di certo non il valore di un pasto, ma un buon contributo (il buono mutua il valore di un pasto servito in una mensa aziendale). I punti vendita che accettano i buoni pasto sono circa 800.

«Stiamo parlando di uno strumento che risulta essere ancora efficace – spiega Fusini–; al lavoratore piace perché è molto spendibile: serve per mangiare, ma anche per fare la spesa, ed è un’integrazione al reddito del tutto defiscalizzata. I buoni pasto piacciono anche perché sono molto flessibili nell’utilizzo, basti pensare che tanti di coloro che non li hanno, vorrebbero beneficiarne. Per il datore di lavoro è innanzitutto uno strumento che fa parte del welfare aziendale e che serve in qualche modo a fidelizzare i dipendenti e a gratificarli, con un onere contributivo e fiscale davvero minimo per l’azienda». Al netto delle difficoltà che permangono in un contesto ancora troppo variegato, i benefici ci sono e «pesano» non poco sulla circolazione dei buoni pasto e sulle loro prospettive future. «Con l’ultima gara Consip è stato ottenuto un primo risultato, ma occorre sistemare l’impianto normativo per migliorare l’equilibrio della filiera anche nel settore privato– insiste Fusini, richiamando l’obiettivo sul quale è necessario continuare a lavorare–. Si deve impedire, per esempio, alle aziende di spuntare il massimo ribasso, che si traduce in commissioni insostenibili per i commercianti, puntando in questo modo ad aumentare il livello della qualità e della fruibilità del buono pasto». 

Commissioni ragionevoli e dunque più sostenibili, insieme a tempi di pagamento più certi: sono questi i prerequisiti necessari per indurre ad accettare i buoni pasto anche chi attualmente preferisce non averci a che fare. Spesso si tratta di locali di un certo livello che se entrassero nel giro dei buoni pasto, potrebbero contribuire a trascinare verso l’alto la qualità media dell’offerta, ma che in questo momento non hanno interesse a farlo. «Per questo motivo – conclude il direttore di Ascom – si deve lavorare per rendere sostenibile a lungo termine tutto il processo di filiera, a vantaggio di chi acquista i ticket, di chi li compra e degli esercenti che li accettano».

Eccola, dunque, la sfida per il prossimo futuro: provare a metter mano alla giungla del settore privato che viaggia ancora con commissioni «libere». E qui la palla passa di nuovo tra i piedi della Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi: «Stiamo lavorando su più fronti – spiega Luciano Sbraga, direttore dell’Ufficio Studi di Fipe –. Siamo impegnati innanzitutto in un’azione di “persuasione morale” nei confronti dei datori di lavoro privati e in particolare delle grandi aziende che acquistano i buoni pasto per i loro dipendenti, Stiamo cercando di sollecitarli a un’assunzione di responsabilità nei confronti di tutti gli stakeholder della filiera. Se loro pretendono dagli emettitori uno sconto esagerato, è chiaro che l’emettitore lo ribalta a sua volta sugli esercizi convenzionati».

Per l’azienda, vale la pena ricordarlo, sono totalmente deducibili e decontribuiti i buoni pasto fino a 8 euro (se elettronici; quelli cartacei lo sono fino a 4 euro). «Stiamo lavorando anche per capire quale potrebbe essere lo strumento più adatto per regolare il sistema. La verità è che il codice degli appalti non vale per i contratti privati e il tetto del 5% che abbiamo ottenuto sulle gare pubbliche non si applica alle aziende». In altre parole, una soluzione ancora non c’è: compito della Fipe è quello di trovarne una per fare in modo che anche ai contratti privati si possa applicare una commissione massima che non superi il 5%. Se la cosiddetta «moral suasion» sulle aziende sortirà qualche effetto lo vedremo nei prossimi mesi, ma probabilmente non prima della fine dell’anno, quando si avranno – è questo l’auspicio – i primi risultati di un’iniziativa di comunicazione in programma per la ripresa delle attività lavorative dopo l’estate. 

«Il rischio al quale siamo esposti con queste commissioni non è tanto quello di ritrovarci con dei buoni pasto a doppia velocità – è l’opinione di Luciano Sbraga –. Semmai stiamo registrando lamentele da parte dei lavoratori rispetto al fatto che alcune tipologie di buoni non vengono accettate nei locali. Alcune commissioni sono troppo alte e gli esercenti possono decidere di non prendere alcuni ticket, rinunciando però a dare un’opportunità in più ai loro clienti. Il danno è per entrambi: il lavoratore sa di non poter avere un servizio, mentre per l’esercente essere costretto a rinunciare a un cliente è sempre un problema».

In alcune regioni è anche possibile che una stessa azienda emettitrice abbia sottoscritto contratti sia con lo Stato che con qualche datore di lavoro privato: e così buoni pasto apparentemente uguali possono avere un peso anche molto diverso per le tasche dei ristoratori.

Il fatto è che quando una vendita presenta più costi che benefici, al titolare di un bar o di un ristorante non resta che farsi due conti in tasca e per mandare avanti l’azienda può vedersi costretto anche a rinunciare a qualche coperto. L’alternativa è quella di trasferire i costi anche sugli altri clienti, ma ciò vorrebbe dire aumentare prezzi per tutti, anche per chi paga in contanti (o comunque senza buoni pasto). «Ma anche in questo caso non è facile prendere una decisione – dice ancora Sbraga –. L’esercente deve fare i conti con il mercato, e non può permettersi né di aumentare i prezzi in modo indiscriminato, né tantomeno di abbassare troppo la qualità, rischiano di perdere i clienti».

Un equilibrio che non è per niente facile da raggiungere; la soluzione meno indolore, al momento, resta dunque quella di non prendere i buoni pasto che hanno commissioni insostenibili. Fare leva sui lavoratori non è possibile perché, a parte il disagio di non vedersi accettare i propri ticket in alcuni locali, per loro il valore del buono pasto resta quello nominale, a prescindere dalle commissioni. Anzi, molto spesso coloro che usufruiscono dei ticket non sono a conoscenza delle dinamiche che s’intersecano dietro il blocchetto dei loro buoni pasto, «e non si rendono conto che l’eventuale disservizio non è altro che il risultato finale di una scelta che fa il suo datore di lavoro quando vuole risparmiare eccessivamente sull’acquisto di quel servizio – puntualizza il direttore del Centro Studi di Fipe –. Da parte loro, anche gli emettitori hanno una parte di responsabilità, poiché rappresentano la cinghia di trasmissione tra il datore di lavoro e l’esercente, ma è evidente che se possiamo parlare di “ingordigia”, questa è tutta del datore di lavoro». E non sembra percorribile neppure la strada in una forma di tassazione da mettere in capo alle aziende private per scoraggiarle a chiedere sconti sempre più elevati.

In attesa di un non facile soluzione, un’altra questione ancora aperta e sulla quale la Fipe come rappresentante dei gestori dei locali è chiamata a fare una riflessione, riguarda i costi aggiuntivi legati alla gestione dei Pos. Nei bar e nei ristoranti ce ne sono ancora tanti e l’obiettivo è quello di riuscire ad avere un Pos unico per tutti. Un’opera di semplificazione, anche questa, di portata eccezionale, che però coinvolge anche gli istituti di credito, aumentando il coefficiente di difficoltà. «Ancora non si trova la strada per farlo – ammette Sbraga –, ed è un altro motivo per cui molti esercenti sono scoraggiati dall’accettare i buoni pasto. Ormai sulla questione dei buoni pasto elettronici la strada è tracciata: lo sono tutti i ticket oggetto dell’ultima asta pubblica, e parliamo già di un terzo del totale, e anche nel privato la percentuale di chi li adotta in questa forma è sempre più rilevante».

 


Diego Rodeschini è il nuovo presidente del Gruppo Bar Caffè e Pasticcerie Ascom

Il titolare della Pasticceria Acquario di Sant’Omobono Terme: “Pronti a rafforzare il legame con le scuole per risolvere il problema della mancanza di personale adeguato”

Cambio al vertice nel Gruppo Bar Caffè e Pasticcerie di Ascom Bergamo Confcommercio: Giorgio Beltrami, titolare del “Bar Centrale” di Lovere, conclude il suo mandato alla guida del gruppo che per il prossimo quinquennio sarà diretto da Diego Rodeschini, 60 anni, titolare della Pasticceria Acquario di Sant’Omobono Terme.

Ad affiancare il neo presidente i nuovi consiglieri Diana Ferreira del “Preda Caffè” di Bergamo, Consuelo Giassi del “Bar Giassi” di Verdellino e Francesca Bassi del Chapeau Milani Caffè (insegna presente a Bergamo e all’interno di Oriocenter e Le Due Torri). Confermati nel direttivo Raffaella Andreini dell’“Half Crown Pub” di Antegnate, Elena Stroppa del “Gino’s Bar” di Bergamo, Francesco Pappi del “Pub Sant’Orsola” di Bergamo e Vincenza Carissimi del “Bar Commercio” di Osio Sotto. Pappi e Bassi sono stati eletti vicepresidenti.

Secondo i dati Ascom (fonte Camera Commercio di Bergamo) negli ultimi cinque anni, bar, caffè e pasticcerie sono calati di 101 unità (-3,7%), di cui 21 solo nel 2021. Trend ben diverso in città dove, dal 2017 al 2021, gli esercizi sono aumentati di 9 unità (+2,2%) con ben 8 nuove imprese avviate nel 2021. “Mai come in questo momento dobbiamo fare squadra e costruire un percorso comune per dare un nuovo slancio alla categoria – sottolinea Diego Rodeschini -. L’aumento dei prezzi delle materie prime continua infatti a mettere a dura prova il settore che ha già dovuto affrontare questi ultimi due anni molto duri sotto il profilo della sostenibilità aziendale e non solo. A questo si aggiunge, infatti, il problema di trovare personale adeguato e per i prossimi anni l’obiettivo è rafforzare il legame con le scuole per invertire gli stereotipi e far capire che lavorare in un bar o una pasticceria può dare tante motivazioni e, quindi, soddisfazioni”.


Dehors gratuiti e autorizzati con procedura semplificata: si va verso la proroga al 31 marzo

Lo prevede l’emendamento alla Legge di Bilancio che dà il via libera per altri tre mesi alle concessioni di suolo pubblico con esenzione del canone

Passi avanti per la proroga fino a fine marzo dei dehors gratuiti autorizzati con procedura semplificata: manca solo l’ufficialità – che sarà presumibilmente sancita dalla pubblicazione del provvedimento nei prossimi giorni sulla Gazzetta Ufficiale – ma è stato infatti votato nei giorni scorsi l’emendamento alla Legge di Bilancio, caldeggiato dai Sindaci attraverso l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, che proroga per altri tre mesi le concessioni di suolo pubblico e ne stabilisce l’esenzione del pagamento del canone di occupazione.

Risolta quindi la situazione d’incertezza che si era determinata nelle scorse settimane, con le Amministrazioni di tutto il Paese ad esortare ristoranti e bar a rinnovare entro il 1 gennaio – con il metodo tradizionale e a pagamento – tutte le concessioni e gli ampliamenti di suolo pubblico ottenuti nell’ultimo anno e mezzo.

Dal 1 gennaio tutti i dehors ottenuti in regime di semplificazione normativa e non rinnovati con le modalità tradizionali sarebbero stati infatti tutti considerati abusivi e quindi passibili di sanzione. Per gli anni 2020 e 2021 è stato possibile concedere la collocazione di dehors sul territorio di Bergamo attraverso la presentazione di una domanda redatta in forma semplificata, senza versamento di alcun tipo di onere (marche da bollo, canone occupazione di suolo) e senza necessità di presentare planimetrie e documentazioni redatte da tecnici abilitati. Ad approfittare delle semplificazioni sono stati molti operatori economici della città: ben 280 sono stati i bar e i ristoranti che hanno realizzato o ampliato il proprio dehors grazie allo snellimento normativo e alla gratuità dell’occupazione di suolo dell’ultimo anno e mezzo.

Del rinnovo della propria concessione si parlerà di nuovo, quindi, per il momento, a marzo 2022. Il Governo si impegna, come avviene dal maggio 2020, a ristorare le Amministrazioni del mancato gettito del canone di occupazione del suolo pubblico. L’emendamento votato prevede infatti che “per il ristoro ai comuni delle minori entrate derivanti dal comma 1 è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’Interno, un fondo con una dotazione di 82,5 milioni di euro per l’anno 2022”.

L’Amministrazione di Bergamo lavora già al recepimento della decisione del Governo: gli uffici saranno disponibili alle richieste di chiarimento e informazioni da parte degli esercenti e si prepareranno all’eventuale rinnovo delle concessioni di suolo pubblico attraverso il metodo tradizionale (e a pagamento), da adottare dopo la deadline del 31 marzo 2022.


Dal green pass ridotto a sei mesi alle mascherine all’aperto: tutte le novità del decreto Covid di Natale

Pubblicate in Gazzetta Ufficiale le nuove misure varate dal Consiglio dei ministri: super green pass anche al bar e in palestra, discoteche chiuse fino al 31 gennaio 

Fino al 31 marzo sarà obbligatorio possedere il super green pass per consumare al banco di bar e pubblici esercizi, nonché per poter accedere a piscine, palestre, sale bingo, musei, parchi tematici e divertimento, sale gioco, sale scommesse e sale bingo. È una delle disposizioni del decreto legge “Ulteriori misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da Covid-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali”, pubblicato il 24 dicembre in Gazzetta Ufficiale.
Il decreto rafforza le misure anti-Covid alla luce dell’aumento dei contagi spinto soprattutto dalla variante Omicron e introduce nuove misure urgenti per il contenimento dell’epidemia e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali.

Green pass
Dal 1° febbraio 2022 la durata del green pass vaccinale è ridotta da 9 a 6 mesi. Inoltre, con ordinanza del Ministro della salute, il periodo minimo per la somministrazione della terza dose sarà ridotto da 5 a 4 mesi dal completamento del ciclo vaccinale primario.

Obbligo di indossare le mascherine all’aperto
Viene previsto l’obbligo di indossare le mascherine all’aperto anche in zona bianca.

Obbligo di indossare le mascherine Ffp2 al chiuso
Viene introdotto l’obbligo di indossare le mascherine di tipo FFP2 su tutti i mezzi di trasporto nonché in occasione di spettacoli aperti al pubblico che si svolgono all’aperto e al chiuso in teatri, sale da concerto, cinema, locali di intrattenimento e musica dal vivo (e altri locali assimilati) e per gli eventi e le competizioni sportivi che si svolgono al chiuso o all’aperto. In tutti questi casi è vietato il consumo di cibi e bevande al chiuso. Quindi dove sarà organizzato un evento ammesso e accessibile al pubblico sarà vietato vendere o somministrare cibi e bevande.

Somministrazione al banco
Fino alla cessazione dello stato di emergenza (per ora fissato al 31 marzo 2022) è esteso l’obbligo di certificazione verde rafforzata (il super green pass) anche per il consumo di alimenti e bevande al banco, al chiuso.
Per bar e ristoranti non sarà quindi più ammesso alcun consumo interno per chi non possiede un green pass rafforzato. La legge parla di divieto di consumo e, pertanto, è ammessa per coloro che consumeranno all’esterno l’entrata nel locale per i servizi igienici e per il pagamento.

Feste all’aperto
Fino al 31 gennaio 2022 sarà vietato lo svolgimento di feste, comunque denominate, gli eventi a queste assimilati e i concerti che implichino assembramenti in spazi aperti. Questa disposizione si estende anche ai locali assimilati (bar, ristoranti ville ecc.) per eventi organizzati sia all’aperto sia al chiuso. Sarà ammesso solo il consumo al tavolo pranzo o cena nel rispetto delle linee guida con eventuale musica d’ambiente ma non concerti, spettacoli ecc.

Discoteche e sale da ballo
L’attività delle discoteche, sale da ballo e locali assimilati è sospesa sino al 31 gennaio 2022. Alla riapertura l’accesso sarà consentito solo a coloro in possesso di certificazione con booster di richiamo (terza dose) oppure in possesso della certificazione rafforzata unitamente all’esito di un tampone negativo.

Palestre, piscine, musei, terme, etc.

La certificazione verde rafforzata sarà necessaria anche:

  • al chiuso per piscine, palestre e sport di squadra;
  • per musei e mostre;
  • al chiuso per i centri benessere;
  • per i centri termali (salvo che per livelli essenziali di assistenza e attività riabilitative o terapeutiche);
  • per i parchi tematici e di divertimento;
  • al chiuso per centri culturali, centri sociali e ricreativi (esclusi i centri educativi per l’infanzia);
  • per sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò.

Corsi di formazione
Per la partecipazione ai corsi di formazione privati in presenza sarà necessario il cosiddetto green pass “base”.


Dehors in città, da gennaio addio alla procedura semplificata. Si valuta una proroga per il 2022

Circa 280 i bar e i ristoranti che hanno usufruito dello snellimento normativo e della gratuità dell’occupazione di suolo nell’ultimo anno e mezzo

Dal 1 gennaio tutti i dehors ottenuti in regime di semplificazione normativa e non rinnovati con le modalità tradizionali (il canone dell’occupazione del suolo pubblico, gratis dal marzo 2020 a oggi, torna a pagamento) saranno tutti considerati abusivi e quindi passibili di sanzione. Scadono infatti a fine anno le semplificazioni per i dehors previste per consentire a bar e ristoranti di lavorare all’aperto nei mese scorsi e, per mantenere gli spazi di somministrazione nati o ampliati nell’ultimo anno e mezzo, gli uffici del Comune di Bergamo si apprestano a ricevere le domande nel modo “tradizionale”, mettendosi a disposizione di ristoratori e baristi.

Circa 280 i locali che hanno usufruito della domanda in forma semplificata

Come noto, per gli anni 2020 e 2021, grazie ad una norma dello stato Sostenuta dalla messa a disposizione di fondi da parte dell’Amministrazione comunale, è stato possibile concedere la collocazione di dehors sul territorio cittadino attraverso la presentazione di una domanda redatta in forma semplificata, senza versamento di alcun tipo di onere (marche da bollo, canone occupazione di suolo) e senza necessità di presentare planimetrie e documentazioni redatte da tecnici abilitati. Ad approfittare delle semplificazioni sono stati molti operatori economici della città: ben 280 sono stati i bar e i ristoranti che hanno realizzato o ampliato il proprio dehors grazie allo snellimento normativo e alla gratuità dell’occupazione di suolo dell’ultimo anno e mezzo.
Il Comune segnala che alcune concessioni sono state rilasciate nella considerazione che in periodo di chiusura delle scuole e dello svolgimento del telelavoro da parte dalla maggioranza dei lavoratori, il traffico risultava particolarmente limitato, consentendo l’occupazione di spazi che, in situazioni ordinarie, potrebbero non essere più disponibili.

In attesa della proroga per il 2022

Tali semplificazioni, però, scadono il 31 dicembre 2021. Il Governo sta valutando, su sollecitazione dei Sindaci, di concedere anche per l’anno 2022 alcune semplificazioni delle procedure, ma non vi sono al momento novità in tal senso, e quindi a partire dal 1° gennaio 2022 tornano in vigore le ordinarie norme nazionali e regolamentari in materia.
Il Comune di Bergamo invita pertanto gli esercenti interessati a presentare domanda per la concessione di suolo pubblico per la posa di dehors seguendo le ordinarie procedure indicate sul sito del Comune di Bergamo e senza attendere la scadenza del 31 dicembre. Al momento sono state solo 22 le domande presentate.


Farina, cacao e caffè: dopo energia e gas rincarano anche le materie prime. E i bar lanciano l’allarme

Farina e cacao gli aumenti più incisivi, seguiti da latte e caffè. Beltrami: “Con tutti questi rincari si rischia di lavorare solo per coprire le spese”

Non è solo il Covid a spaventare il mondo del terziario in vista delle festività natalizie: l’emergenza sanitaria è infatti anche emergenza economica e alle difficoltà legate alla ripresa si aggiungono le forti tensioni inflattive che riguardano materie prime, energia, utenze e servizi. Una congiuntura in atto che sta già avendo ripercussioni sul listino prezzi di locali, bar, ristoranti, pizzerie e, in generale, sui pubblici esercizi del territorio alle prese con un aumento dei prezzi considerevole. A pesare sui bilanci dei locali sono soprattutto i rincari dei principali generi alimentari che seguono quelli dei consumi energetici: una miscela amarissima per i bar e locali di Bergamo e provincia che alle difficoltà di ripresa dopo oltre un anno di chiusure e sacrifici devono fronteggiare un caro prezzi insostenibile.

“Tra gli aumenti più incisivi ci sono quelli della farina e del cacao, saliti rispettivamente del 38% e del 20% in questi ultimi mesi – conferma Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo Bar Caffè di Ascom Confcommercio Bergamo e vicepresidente regionale del coordinamento di Fipe Lombardia -. Anche il latte non è da meno con un rincaro del 4% del prezzo all’acquisto. Tutto questo ricadrà ovviamente sulle tasche dei consumatori: a seguito dei rincari della farina, ad esempio, si prevede un aumento del 20% del prezzo finale di panettoni e lievitati natalizi”.

Anche il caffè rischia di salire: le principali torrefazioni stimano infatti rincari di 2 euro al kg, circa 10% in più per i bar “Oggi un caffè costa un euro o massimo 1,10 euro ma tra non molto il cliente potrebbe arrivare a pagarlo 1 euro e 20 centesimi – sottolinea Beltrami -. Secondo uno studio di Ascom Confcommercio Bergamo che prende in considerazione il prezzo più alto di un caffè al bar (1,10 euro) emerge che il rapporto tra costi e ricavi è sbilanciato. E quest’indagine era stata fatta prima dell’aumento del costo di gas ed energia”.

La componente energetica resta dunque la vera Spada di Damocle a pendere sulla categoria: di prospetta entro questo mese un aumento del 20%, fino a toccare un +40% tra dicembre e gennaio. Il rischio è che il rialzo dell’inflazione anche transitorio diventi strutturale e in una situazione in cui le attività stanno faticosamente cercando di tornare ai livelli di consumi pre-Covid, questi aumenti rischiano di minare la fiducia dei consumatori e ridurre il potere d’acquisto delle famiglie. “È necessario che il Governo attivi presidi di monitoraggio e controllo, oltre a sostenere nuove misure che possano favorire la ripresa, come un alleggerimento del costo del lavoro e una politica di agevolazioni per gli imprenditori che decidono di assumere – conclude Beltrami -. Non vogliamo fare allarmismo ma con tutti questi rincari il rischio oggettivo è che si debba lavorare solo per coprire le spese”.


Bar e ristoranti in crisi di personale? Non cerchiamo alibi. È ora di cambiare passo

I bar e i ristoranti non trovano più personale per ogni mansione e soprattutto in sala, dove la situazione è drammatica al punto da arrivare a dover togliere tavoli o rinunciare ai clienti. Il problema affligge il settore da tempo e si è acuito nelle ultime settimane, mentre riguadagna clienti dopo la pandemia.

Se gli imprenditori della ristorazione lamentano da anni la difficoltà a trovare e trattenere persone capaci, oggi sostengono di non ricevere più alcuna candidatura per i posti scoperti. Temono una forte crisi vocazionale e la perdita di considerazione per questi. Eppure le motivazioni che vengono spesso addotte sembrano troppo semplicistiche e superficiali, perché siano esaustive della questione e della soluzione.

Il rapporto di Unioncamere

Il rapporto Excelsior di Unioncamere stima il fabbisogno nazionale delle imprese della ristorazione in 42.000 nuove assunzioni delle quali il 46% sarà di difficile reperimento: uno su due, come per gli informatici e gli ingegneri con comprovata esperienza. La questione non torna anche perché il settore ha perso 50.000 addetti nel 2020 rispetto ai 350.000 totali.

Come è possibile che non si possa immediatamente riprendere questa manodopera? Sgomberiamo subito il campo da un luogo comune: i dipendenti del settore non sono malpagati, perché la paga base di un addetto sala o cucina è in linea e addirittura superiore a quella di altri settori (1.200/1.400 euro netti mese con tredicesima e quattordicesima e diverse settimane di ferie e permessi l’anno). Nella logistica e nelle cooperative la paga è molto meno.

Non tiene neppure la motivazione secondo cui questo lavoro non piaccia più alle persone perché disdicevole e di basso valore aggiunto. Vale per alcune mansioni ma non in generale per l’intero settore. Certo i fattori stagionalità e imprevedibilità, evidenziati dai tanti “stop and go” causati dalla pandemia, possono aver spostato le persone verso altri settori il cui lavoro è più stabile.

Anche l’elemento economico può avere il suo peso. Ammortizzatori sociali e reddito di cittadinanza, pompato in overdose nel sistema, può non aiutare nel reclutamento. Per molti potrebbe essere conveniente valutare il ritardo nel rientro al lavoro invece che darsi da fare subito.

Le ragioni sono però di ordine educativo. In generale c’è la sottovalutazione delle competenze che servono per lavorare nel settore e questo allontana chi è ambizioso rispetto a chi si accontenta. La questione è influenzata anche dalla fatica e dalla mancanza di tempo libero (soprattutto negli orari che le persone dedicano al divertimento) che incidono nelle scelte. In altri termini dopo la “sbornia” televisiva si è passati in fretta dall’effetto mediatico alla dura realtà.

Alla radice del problema esistono quindi sia il tema educativo sia quello formativo. Di fronte ad una situazione così complessa non c’è soluzione unica. Certamente questa attività deve recuperare appeal perchè non è né così terribile ne’ priva di soddisfazione come spesso viene oggi dipinta. Per la maggior parte delle persone lavorare a contatto con gli altri offre soddisfazioni maggiori di un lavoro in solitario su una macchina o su un Pc.

 

Arriva la prima edizione del “Talent day”

Per questo Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, ha promosso la prima edizione del “Talent day”, al fine di valorizzare le professioni nella ristorazione e aiutare a qualificare i percorsi professionali. Dopo questo debutto toccherà agli attori della filiera favorire l’incrocio tra domanda e offerta attraverso iniziative ed eventi a livello territoriale.

Non sarà sufficiente e molto passerà dalle imprese del settore. Perché se la passione può costituire una molla verso questa professione, la partita con gli attuali e i futuri lavoratori del settore si giocherà soprattutto sulla qualità della vita. I lavoratori chiedono di avere più tempo libero e di qualità per vivere con la loro famiglia. Serviranno nuovi modelli organizzativi che ricerchino l’equilibrio, ovviamente sostenibile da un punto di vista economico, tra turni di lavoro e tempo libero. Per qualche ristorante potrebbe consistere nella doppia brigata o nel doppio turno giornaliero, per altri nel doppio o triplo giorno o chiusura. Perché la partita del reclutamento e del mantenimento del personale si giocherà soprattutto sul versante del tempo libero più che su quello economico.

Da soli però gli imprenditori non ce la potranno fare. La soluzione al collo di bottiglia è collegata al necessario processo di riforme che sono richieste al nostro Paese.
Il sistema degli ammortizzatori sociali deve essere rivisto senza creare un inasprimento insostenibile per le micro e le piccole imprese del settore e soprattutto per accorciare i tempi di reimpiego delle persone. Il reddito di cittadinanza deve garantire il sussidio a chi non è più occupabile ma non la via di fuga per chi non ha voglia di lavorare.

Anche la scuola deve cambiare. Perché un sistema evoluto come il nostro non può non prendere atto che il sistema della scuola, formazione e programmi, alternanza scuola lavoro, stage e tirocini debba essere oggetto di una revisione profonda alla luce della specificità e delle necessità del settore. Serve maggiore flessibilità. In altri Paesi il tirocinio nel settore non è così bloccato da lacci e lacciuoli. Serve l’affermazione di modelli formativi più versatili. Se il modello soluzione è quello dell’ITS allora è il momento di sterzare dopo ben undici anni dalla sua prima introduzione. L’ultimo monitoraggio ministeriale sugli ITS in questo comparto ha individuato 23 percorsi per circa 400 studenti l’anno. Troppo pochi per l’ospitalità italiana; non basterebbero nemmeno per una sola delle migliaia di città italiane che vivono di arte ed enogastronomia.


Treviglio, al Caffè Rimembranza il knitting di gruppo è servito

In piazza Insurrezione nasce un Knit caffè: basta portare con sé ferri, gomitoli, uncinetto e granny squares. La partecipazione è libera e gratuita

Un bar dove chiacchierare tra amiche, sorseggiare un buon tè o caffè, gustare un gelato artigianale e fare la maglia. Il giovedì, dalle 16 alle 18, il Caffè Rimembranza di piazza Insurrezione, a Treviglio, si trasforma in Knit caffè: basta portare con sé ferri, gomitoli, uncinetto e granny squares e la magia è fatta. La partecipazione è libera e gratuita e l’iniziativa si terrà tutti i giovedì fino al 16 settembre.

«L’idea è nata per condividere il lavoro principalmente a maglia, ci si conosce, si chiacchiera, si chiedono suggerimenti e condividono piccole esperienze» anticipa Maddalena Merati, trevigliese, appassionata di lavori a mano che ha proposto l’iniziativa a Sara Redaelli, titolare del Rimembranza insieme al marito Andrea Bertelli, accolta con favore.

Fare a maglia è un hobby che non invecchia e piace sempre di più alle donne (e anche a qualche uomo) senza distinzione di età: Tom Daley, il campione olimpico di tuffi britannico e di diritti lgbt, è stato fotografato diverse volte mentre lavorava ai ferri assistendo alle gare. Nelle città sono frequenti i knitting group, gruppi di amiche (o signore che non si conoscono) che, accomunate dalla passione per la maglia e per i capi realizzati a mano, si ritrovano insieme nei knit cafè. In questo modo, mentre si prende un caffè le provette magliaie possono farsi una sciarpa o un pullover di lana, stando in compagnia e trascorrendo ore piacevoli.

Info al 392 2629433 (Sara) o al 338 1487177 (Maddalena).