Stefano Cavalleri, il “papà” della moda bimbo conquista i paesi Arabi

STEFANO CAVALLERI 1«I Pinco Pallino era il mondo. Ora il mondo lo sto, lentamente, ricostruendo». Non nasconde la difficoltà di ripartire Stefano Cavalleri, classe 1951, fondatore, con Imelde Bronzieri, del marchio bergamasco di alta moda per bambini cui ha detto addio nel 2011 anche come direttore creativo, dopo che la proprietà era già passata di mano. Ma ora ritiene che tutti i tasselli stiano andando al posto giusto perché possa tornare ad essere un protagonista dello stile in formato junior, lui che nel Dizionario della Moda Italiana rappresenta l’unica menzione dedicata alla moda per bambino.

Il suo progetto si chiama QuisQuis «e sono sempre io – afferma -, l’evoluzione di 35 anni di esperienza, curiosità e ricerca in una chiave ovviamente attuale e moderna, grazie anche ad un team di giovani assistenti che mi affianca».

A che punto è la sua nuova avventura?

«Con la nuova collezione ha debuttato la partnership per produzione e distribuzione mondiale con Spazio Sei di Carpi, che dopo 18 anni ha “divorziato” da Blumarine ed è licenziataria di firme come Iceberg e Scervino. Un passaggio che mi dà la possibilità di lavorare ad un total look, non solo alla cerimonia come avvenuto in precedenza. Significa anche capi meno preziosi e poi le linee per maschietti e baby, scarpe e accessori, come coroncine, cappelli, borsine che hanno sempre fatto parte della mia immagine. La collezione è stata presentata a Pitti Bimbo ed è speciale perché è completa».

E il mercato come risponde?

«Alla kermesse fiorentina partecipo da 35 anni, l’affluenza è stata bassa ma i contatti molto buoni. Accanto ai clienti del mondo arabo si sono rivisti i russi, che la crisi aveva allontanato, oltre ad Azerbaigian e Kazakistan. Ed è tornata l’Europa, con Germania, Francia e pure l’Italia che si era persa totalmente. Sono segnali incoraggiati. Per noi la testimonianza di fiducia in ciò che stiamo producendo, per il settore moda il fatto che ci si sta rimboccando le maniche e si sta ripartendo».

La prima boutique monomarca QuisQuis è stata aperta a Doha, nel Quatar, lo scorso anno. È questa l’area più interessante?

«La penisola arabica ama molto quello che faccio e l’espansione prosegue. A Doha prevediamo di aprire un secondo spazio, mentre ad ottobre apriremo ad Abu Dhabi, in tempo per il Gran Premio di Formula Uno e il richiamo che avrà l’evento. All’inizio del 2016 sarà la volta di Dubai. Grazie a Spazio Sei siamo presenti anche in 12 negozi nelle vie della moda di tutto il mondo, nel Dubai Mall, in rue du Faubourg-Saint-Honoré a Parigi, in Piazzetta a Porto Cervo, solo per dare qualche esempio del prestigio e del valore delle location».

Come si conquista una platea così ampia e differente?

«È complicato. Le collezioni sono sempre più vaste per rispondere ai climi, alle ricorrenze, alle usanze e alle religioni. L’estate è, se vogliamo, più semplice perché fa caldo un po’ dappertutto, per l’inverno si ragiona “a strati”, dai golfini che sono sufficienti nei paesi arabi ai cappotti, piumini e pellicce per il mercato russo. Ma cambia anche il gusto e la scelta dei colori, le tinte pastello piacciono ai russi, i colori forti agli arabi, mentre bianco e avorio non vanno in Giappone. E poi ci sono le lunghezze di maniche e gonne, per non parlare delle ricorrenze diverse per ogni nazione e religione. In 35 anni ho imparato a conoscere tutto questo e a tenerne conto».

Come definisce il suo stile?

«Poetico. Da sogno perché senza sogni non si vive. E sempre sereno. Mi piace regalare dei sogni ai bambini e trasmettere l’idea del buon gusto, mostrare che ci si può vestire bene. I miei sono capi cari, per chi ha certe possibilità, non lo nego, ma i bambini sono ben vestiti anche con una camicetta bianca e un paio di jeans».

Ma perché vestire i bambini con capi eleganti e ricercati. Non dovrebbe essere l’età della spontaneità?

«Io credo che sia un modo per far conoscere ed apprezzare il bello e dare un valore alle cose, contro la cultura dell’usa e getta che travolge tutto, anche i ricordi. Contro la volgarità e la violenza. Significa insegnare loro a prendersi cura delle cose, a fare attenzione. Quando i miei figli hanno compiuto 18 anni ho regalato loro un paio di scarpe importati e insieme spazzola e lucido perché le conservassero al meglio, come un caro ricordo. L’abito della comunione, la bella camicia sono anche memoria, si legano ai momenti della vita. In bermuda e t-shirt si può stare tutti i giorni, perché andarci anche ad una cerimonia? Naturalmente il compito di indirizzare al bello e al buon gusto sta ai genitori…».

Quando disegna i capi pensa ai bambini o alle mamme che li compreranno per loro?

«Ho sempre pensato ai bambini. Ogni bambino sogna il bello. La bambina di fare la giravolta con un abito da principessa, per il maschietto forse è un po’ più difficile, ma delle giacche in jersey o felpa lo possono conquistare per una cerimonia».

Come non dovrebbero, invece, essere vestiti i bambini?

«Come dei piccoli adulti. Le bambine con pance scoperte, piercing finti, minigonne esagerate, i bambini come macho in miniatura. Purtroppo è la tendenza in atto, spinta anche da alcune aziende. Ma non la si ritrova solo nel vestire, su Internet, nei talent si vedono sempre più spesso bambini che cantano e ballano scimmiottando gli adulti. È un’immagine che non condivido».

La produzione di QuisQuis è cominciata in Puglia ed ora è Carpi, il made in Italy continua a fare la differenza?

«La manodopera italiana è unica, ma per alcuni tessuti, ad esempio delle sete meravigliose, e lavorazioni scelgo anche all’estero. In India, soprattutto, dove sono maestri nell’uso del colore e nel ricamo con paillette e filo di seta».

Con Bergamo che rapporto ha?

«È la mia città, che amo e dove dovrei vivere, anche se ora gli impegni fuori sono tanti, tra Carpi, dove si produce QuisQuis, la Puglia per seguire la prima linea bambino di Cesare Paciotti, un’iniziativa tutta nuova per la quale hanno scelto me, e i viaggi. Oggi comunque sono più spesso a Bergamo, da mio padre novantenne, che a Trescore, dove abito. Ciò che apprezzo è la possibilità di vivere ancora vicini alla natura, una delle scorse sere mi sono goduto l’arrivo del temporale…».

Come sono i bergamaschi nel vestire?

«È sempre stata una città perbene, mai d’avanguardia. Per un acquisto speciale la meta è sempre stata Milano, come del resto per il teatro e il divertimento. Ci sono però due donne che con i loro negozi fanno tendenza. Una è Rosy Biffi che sin dagli anni 70 è un punto di riferimento per la moda, una talent scout, direi, perché alcuni stilisti li rende famosi lei. L’altra è Tiziana Fausti, che ha portato griffe importanti come Dior, Gucci e Prada».

Mai pensato di passare alla moda per adulti?

«Ho cominciato con la moda donna e con un negozio in via San Tomaso. Il progetto è sempre stato nel cassetto ed ora quel cassetto si è dischiuso, ma è un po’ presto per parlarne…».

Un “assaggio” del prossimo autunno – inverno QuisQuis

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