Quella miseranda tremarella che “schiaccia” il mondo della scuola

ragazzi-a-scuolaLa scuola: già, la scuola è uno dei nostri più grossi problemi, da qualunque parte la si giri. E’ un problema la mancanza di certificazioni attendibili, come lo è la retribuzione degli insegnanti, mediamente bassa e del tutto slegata da meriti e demeriti. E’ un problema la dispersione, è un problema la formazione: insomma, per farla breve, è un intero campionario di cose che non funzionano o funzionano male. Oltretutto, ognuna delle numerose componenti che formano quel vasto universo che è la pubblica istruzione vede soltanto i propri problemi, mancando quasi sempre di una visione globale della questione: genitori e ministri, alunni e dirigenti, insegnanti e provveditori, bidelli e direttori generali hanno ognuno una propria visione, tanto diversa quanto significativamente distorta, del quadro. Io vi dirò, da parte mia, quello che, secondo me, è uno degli Schwerpunkt del sistema scolastico: la luna invece del solito dito, se preferite lasciare Clausewitz alla sua naftalina. Alla base di tante pecche della scuola italiana dell’anno domini 2016 c’è la paura. Sissignore, la paura: una fifa birbona. Paura, innanzitutto, collettiva: quell’ansiosa, sudaticcia, mancata assunzione di responsabilità, che divora tanti nostri connazionali, nel pubblico impiego assurge a dimensione esistenziale. Così, la scuola si riempie di codicilli e di regolamenti, allo scopo di scongiurare disastri: soprattutto, la responsabilità dei disastri.

Non si può correre, giocare, uscire nel cortile, entrare in classe durante l’intervallo, andare in bagno se non ad orari strettamente stabiliti, passare di qui, entrare di là: non per un legittimo desiderio di ordine e decoro o per tutelare la salute ed il benessere degli studenti, ma per evitare incidenti che possano creare guai. Per scansare i casini, per dirla in francese. E, allo stesso modo, le tonnellate di carte che i docenti devono compilare sono, nella maggior parte dei casi, dei giubbotti antiproiettile, dei paraspalle: si certifica questo e si documenta quell’altro nel timore che a qualcuno venga in mente di contestare, denunciare, ricorrere. Il fantasma del famigeratissimo TAR incombe su esami e scrutini, come un convitato di pietra alla cena di Don Giovanni. Lo stesso dicasi per la pletora di diagnosi sui disturbi dell’apprendimento o sui cosiddetti BES: uno studente in possesso di tali requisiti è, praticamente intoccabile e sa che potrà godere di accomodanti soluzioni fino al giorno del diploma, anche se, talvolta, il suo vero problema si chiama asineria volontaria da scansafatichismo: per la paura, ancora per la paura. E, poi, non meno perniciosa, c’è la paura a titolo individuale: quella vocina che tanti insegnanti sentono dentro di sé e che dice che, prima o poi, qualcuno li sgamerà. Si scoprirà che si preparano la lezione la sera prima, studiando sugli stessi manuali dei propri alunni, tutto quello che non hanno studiato quando avrebbero dovuto.

Qualcuno porrà la domanda, apparentemente innocente, su quel teorema, su quella forma idiomatica, su quell’autore, e loro, non potendo confessare di non averlo studiato, dovranno arrampicarsi sui vetri. Verrà fuori, allora, la vecchia cara paura all’italiana: paura di un’insufficienza culturale complessiva, quasi preterintenzionale, nata da decenni di accumulazioni recidive di trucchetti e di sindacalismo, di concorsi mancati e di concorsi truccati. Il povero insegnante si troverà nudo, di fronte all’ammissione della propria sconfortante inadeguatezza, e dovrà rifugiarsi dietro ai: fanno tutti così, non sono peggio degli altri. Paura. Mano a mano che si sale o che si invecchia, questa paura si disperde e si stempera: non è più così ossedente, non ti crea più incubi notturni. Ma rimane: come quando si sogna di dover ripetere l’esame di maturità. E io sono certo che, dietro la sicumera di certi ministri o sottosegretari, dal curriculum un po’ incerto, dai titoli un po’ vaghi, dalle pubblicazioni un po’ inesistenti, quella paurina ci sia ancora: lungo il filo della schiena, nascosto dalla legittima soddisfazione di essere lì, a far correre trafelati uscieri e ad essere trattati da padreterni da una schiera di accademici semigenuflessi, c’è quel brivido sottile.

E una voce che dice: non es dignus! Tutto il contrario dell’umiltà predicata dai vangeli: una condanna inappellabile, piuttosto, di catoniana potenza: non sei degno del nobile compito di educare le nuove generazioni, perché, dentro di te, sei soltanto, un frodatore, uno che si arrangia. Ma io, certamente, esagero: mi faccio prendere la mano e trascendo nell’epifonema. C’è tantissima brava gente che dà l’anima per la scuola e non sarebbe giusto accomunarla a qualche mela marcia: eppure, anche loro sono vittime di questa paura. Perfino i migliori accettano, supinamente, di gettare il proprio prezioso tempo nella compilazione di inutili carte, nella produzione di vana paccottiglia: perfino i più bravi, in fondo, hanno paura. E’ talmente radicata, ormai, questa miseranda tremarella, da non permettere più di vedere la luna dietro al dito. E la luna è la trasmissione di una civiltà, prima che muoia, uccisa dalle sue stesse paure. Una civiltà di uomini, in piedi, responsabili, fieri di sé e del proprio destino.