“Vi racconto com’era la Città Alta delle botteghe”

Ezio Lorenzi
Ezio Lorenzi

«Dopo la guerra Città alta era più brutta, più povera di oggi ma c’era il lavoro e pian piano chi ha potuto ha cominciato a sistemare le case». Così racconta i suoi esordi Ezio Lorenzi, 85 anni compiuti a maggio, che domenica scorsa ha ricevuto, insieme ad altre 13 aziende, il “Riconoscimento del lavoro e del progresso economico” della Camera di Commercio per i 58 anni del suo negozio, avviato da elettricista con rivendita di materiale elettrico, con l’aggiunta poi di ferramenta e casalinghi, seguendo l’evoluzione del mercato. È uno dei pochi esercizi di vicinato rimasti nella città vecchia. L’ha aperto nel 1956 nell’attuale sede di via Salvecchio, affiancato dal fratello Severino, morto nell’88. Negli anni ha cambiando diverse sedi, sempre nel centro storico, fino a riapprodare nell’86 nel locale d’origine, che nel frattempo aveva ospitato anche la libreria universitaria.

«Quello che caratterizzava Città alta era la presenza degli artigiani – racconta -, c’era il falegname, il tappezziere, il lattoniere, il materassaio, il fabbro, che non erano solo artigiani, ma quasi degli artisti. Perché a quei tempi si usciva dalla miseria e c’era più inventiva, si cercavano soluzioni. Eravamo giovani, c’era più vivacità, più socialità. Quest’ultimo aspetto, per la verità, non è andato perso. Tra gli abitanti di Città alta continua ad esserci un rapporto speciale, ci si conosce, si domanda come si sta, ci si dà una mano se serve. In fondo è ancora un paesotto, non come “giù” dove non si sa nemmeno chi abita nel proprio palazzo». Il “giù” sta per Bergamo bassa. «Per noi la Città è questa, sotto ci sono i borghi».
«Poi hanno costruito quartieri come Celadina e Monterosso – prosegue – e se ne sono andati in tanti perché erano case nuove ed era più comodo vivere lì. Saremmo stati 10-15mila, oggi forse arriviamo a tremila (2.500, il minimo storico ndr.) ». La nascita dei supermercati ha fatto il resto e decretato il tramonto delle attività di vicinato. «C’erano 3 o 4 salumerie, ne è rimata una; 2 o 3 macellerie, ce n’è una; 3 o 4 fruttivendoli, ora sono 2; le latterie erano due, oggi una. Hanno resistito i panifici, che però hanno cambiato impostazione e fanno pizza e prodotti da mangiare al momento, anche il mercato del venerdì si è ridotto a poche bancarelle, mentre quando lo istituimmo con la Circoscrizione, di cui facevo parte, c’era anche il banco del pesce. Quello che servirebbe davvero è una drogheria con tutti i prodotti per fare la spesa, ma i numeri sono troppo bassi, non credo che resiterebbe. C’è invece abbondanza di negozi di vestiti e accessori, anche se non è tutto rose e fiori nemmeno in questi settori. Chi viene in Città alta la domenica e la vede piena di gente pensa che gli affari sono assicurati, in settimana però è tutta un’altra storia, dopo le 17 le persone che girano si possono contare. Tanti hanno aperto per poi chiudere dopo poco».
Nonostante tutto, Lorenzi vede positivo. «Secondo me, vivere in Città alta è meglio che in altri quartieri, perché c’è questo forte senso della comunità e tutto sommato si sta tranquilli. Del resto sappiamo di abitare in un luogo storico e turistico ed i disagi legati a questo vanno un po’ messi in conto. Io il futuro non lo vedo brutto, ci sono tante potenzialità da sviluppare». Ezio Lorenzi

Si sentono solo i propri passi sulla Corsarola e si ha l’impressione di disturbare il sonno di un gigantesco organismo finalmente quieto. E pure generoso, qualche metro più in là, nel mettere a completa disposizione il suo più bel gioiello: una piazza Vecchia sgombra da ogni traccia della frenesia del giorno, che pare messa lì solo per accogliere. Sono le sei del mattino. Per farci raccontare da Ezio Lorenzi la sua vita da residente-commerciante di Città Alta abbiamo scelto di accompagnarlo nella passeggiata che apre ogni sua giornata. A guardarlo mentre esce dalla porta di casa su via Gombito pare proprio che la corroborante sgambata mattutina sulle mura faccia bene. Sul volto e sull’incedere deciso non si notano proprio gli 85 anni scoccati il 15 maggio e nemmeno lui – ci riflette – si considera vecchio.
Sceglie la versione corta del percorso. Si scende da via San Giacomo («questa è la via dei “titolati”, con i palazzi Colleoni, Moroni, Perini, mentre l’altra, via Porta Dipinta, è quella dei “signori”») e raggiunte le mura individua tutti i punti di riferimento («il treno delle sei e cinque è già passato, sennò era bello da vedere»). «La passeggiata è un’abitudine che ho da una ventina d’anni – spiega -, mi piace perché mi dà l’opportunità di mettere in ordine i pensieri e poi è l’occasione per respirare un po’ di aria pulita, altrimenti c’è troppo smog. Così mi godo davvero la città dove sono nato e cresciuto, ma a quanto pare anche altri hanno scoperto questo piacere, perché adesso incontro sempre più gente, soprattutto chi corre e si allena».
In Colle Aperto, sulle panchine fuori dal Caffè Cittadella, lo aspettano due “nottambuli” come lui, Angelo Piazzalunga, muratore di Petosino che è nato in Città Alta ed ha dei lavori lì attorno, e Ivan Benaglia, custode del Museo archeologico, che abita a Redona e preferisce alzarsi presto per evitare il traffico. Un tempo la compagnia era più numerosa, qualcuno ha cambiato giro, ma loro resistono. Ogni mattina, escluso il lunedì ed i festivi, in ogni stagione, anche al freddo o con l’ombrello scambiano qualche chiacchiera, prima di passare dall’edicola e tornare al bar in attesa dell’apertura, alle 7. Sono i primi clienti di ogni giorno, Angelo ha anche l’“incarico” di portare fuori le sedie da esterno. In perfetta successione arrivano tutti gli altri personaggi, Matteo Roncalli che consegna le brioche, le signore che vanno a servizio nelle case, Nelson, un incrocio di bulldog al quale Ivan porta sempre un biscotto per cani, e il suo padrone. Qualche commento sulla giornata e, per i due imprenditori, sulle tasse e le scadenze, poi ognuno va per la sua strada.
Lorenzi passa ancora per le mura e raggiunge il negozio in via Salvecchio dal vicolo di Santa Grata. Porta e vetrina sono chiuse da pannelli di ferro che vanno sfilati uno alla volta, l’insegna non c’è. All’interno, lo spazio è piccolo, gli scaffali, pieni, arrivano fino al soffitto e lui usa la scala tranquillamente. «Per capire cosa manca mi basta un colpo d’occhio – racconta -. Perché ogni articolo è sempre nello stesso posto, quindi se vedo qualche spazio vuoto so già di cosa dovrò rifornirmi», con buona pace di computer e programmi gestionali. «Possiamo definirlo un bazar – prosegue -, dove si trovano le piccole cose che servono in casa, dalle lampadine alla ferramenta, dagli utensili per la cucina ai prodotti per la pulizia, alle vernici. Scelgo l’assortimento in base a ciò che va di più. Spesso rappresento la risposte per chi ha bisogno di qualcosa in Città Alta, altre volte, lo confesso, mi chiedono prodotti che non so nemmeno cosa siano». Il lunedì è il giorno che dedica alle forniture e alle pratiche amministrative. Si muove in pullman («ma “giù” arrivo a piedi») a va da Rodeschini a Gorle per le prime, all’Ascom di Zogno per la contabilità («mi è più comodo salire presto in Valle che muovermi in centro»).
Inutile nascondere che di grandi incassi non ne fa. «Fino alle 10.30 non entra nessuno. Riesco ad andare avanti perché non ho dipendenti, non devo pagare l’affitto del negozio né quello di casa e mi basta ricavare quanto serve per pagare le tasse e le mie spese personali – dice –, altrimenti sarebbe un’attività da chiudere. Per il momento è un’idea che non ho ancora preso in considerazione, non fare niente mi sembra più faticoso che lavorare e finché la salute me lo permette resterò in negozio». La crisi, è vero, ha complicato le cose, ma nemmeno in passato era tutto rose e fiori. «Gli ostacoli in un’attività ci sono sempre – nota -, la cosa importante è che piaccia il mestiere che si fa, solo così si trovano soluzioni, altrimenti i problemi diventano insormontabili».
Anche il resto della sua giornata è scandito da riti precisi come quello mattutino. Attorno alle 17.30 lo si può trovare al Circolino per una “mini merenda” in compagnia («chi non mi trova in negozio mi viene a cercare lì»), mentre dopo la chiusura delle 19.30 il ritrovo è con Angelo Mangili della storica gastronomia e qualcun altro alla Pasticceria Cavour per un bicchiere di vino e qualcosa da stuzzicare (non lo chiama aperitivo). E poi a casa. Ecco la sua Città Alta.

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