“Promos Bergamo”, in due anni coinvolte oltre 270 imprese

L’economia bergamasca è sempre più a stelle e strisce e si aggiudica la medaglia di bronzo lombarda per  l’interscambio con l’America.  Dopo una fase di stallo, l’export con gli Stati Uniti è cresciuto del 52,5% (Elaborazione Camera di Commercio di Milano su dati Istat) nei primi sei mesi del 2012, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, giusto alla vigilia di caucus, convention e primarie dall’altra parte del mondo.  Ora non resta che vedere se la riconferma di Obama alla Casa Bianca possa consolidare ulteriormente  i rapporti economici con Bergamo e la Lombardia (l’export  regionale sfiora i 3,5 miliardi di euro) e aprire nuovi spazi di crescita. Andrea Bonalumi, dirigente Promos – azienda speciale per le attività internazionali della Camera di Commercio di Milano – fa il punto sull’export del made in Bergamo nel mondo, tra limiti  e opportunità da cogliere  per vincere la sfida dell’internazionalizzazione. 
L’export può salvare l’economia bergamasca?
“Senz’altro, come mostrano i dati orobici, cresciuti nel primo semestre 2012 del 6,3% rispetto ai primi sei mesi dello scorso anno. Una performance migliore della media regionale  (+4,8%) e nazionale (+4,2%). Una boccata d’aria fresca in particolare per il settore manifatturiero, capace di fatturare da gennaio a giugno 2012 qualcosa come 6,7 miliardi nei mercati oltre confine. Tra i Paesi di maggior successo delle esportazioni orobiche ci sono gli Usa con una crescita del 52%. L’obiettivo per il 2013 è quello di mantenere questo trend positivo e favorire le esportazioni delle imprese di quei settori che ad oggi risultano essere un po’ meno competitivi”.
Il made in Bergamo e in Lombardy in che misura vale e pesa ancora?
“L’eccellenza della nostra produzione rimane un fiore all’occhiello del nostro Paese e questo è testimoniato da alcuni dati significativi, ad esempio, l’interscambio commerciale tra Lombardia e Stati Uniti:  tra i primi sei mesi del 2012 e lo stesso periodo del 2011  si registra una crescita del 13,9%  trainata dall’export, che ha registrato un incremento del 27,2% raggiungendo quasi i 3,5 miliardi di euro. Questi numeri testimoniano come i prodotti italiani, e lombardi in particolare, abbiano ancor un forte appeal negli Stati Uniti, ma io mi sento di dire che questo valga per tutto il mondo. Il Made in Bergamo, in particolare, nel secondo trimestre 2012, è stato esportato negli Stati Uniti per un valore di oltre 400 milioni di euro, e rappresenta l’11,8% del totale dell’export lombardo, al secondo posto dietro solo a Milano, che chiaramente fa gara a sé”.
Gli Usa rappresentano ancora la terra delle opportunità per le nostre imprese?
“Non la definirei più la “terra delle opportunità”, ma un consolidato partner commerciale per le nostre pmi ed un mercato di riferimento. Negli ultimi anni le nostre imprese guardano con crescente interesse ai nuovi mercati, ai paesi Bric (Brasile, Russia, India, Cina), a realtà particolarmente interessanti in Asia, come Malesia, Singapore, Indonesia;  nell’Area del Mediterraneo e Medio Oriente, Turchia, Iraq e Quatar, oltre ai paesi della Sponda Sud del Mar Mediterraneo”.
Gli sguardi sono tutti ad Oriente e a Sud o l’alleanza commerciale con gli  Stati Uniti può fare ancora la differenza?
“Il Medio Oriente rappresenta il “nuovo mondo” per le nostre imprese. Paesi come Turchia, Iraq, Qatar, solo per citarne alcuni, rappresentano mercati nuovi e realtà in forte e rapida ascesa che possono garantire opportunità di business in svariati settori.  Il mercato statunitense mantiene  ancora una posizione prioritaria: i rapporti con gli Usa, a differenza di quelli con i mercati medio-orientali, sono consolidati e questo ha favorito un’alleanza che ha saputo resistere anche alla grave crisi economica. Se in un momento di grave crisi l’export italiano e lombardo verso gli Usa, aumenta anziché diminuire, significa che questa relazione commerciale poggia su basi molto solide e difficili da scalfire”.
Ci sono ancora spazi commerciali di crescita a stelle e strisce?
“Il mercato statunitense è talmente ampio e variegato da non essere ancora stato interamente esplorato dalle nostre imprese. Rappresenta un terreno fertile per sviluppare nuove opportunità di business per i nostri imprenditori e per allargare ancor più una già proficua collaborazione commerciale”.
La rielezione di Obama può  consolidare ulteriormente i rapporti economici?
“Nel corso del primo mandato di Obama i rapporti tra i due paesi sono stati di forte vicinanza, sia in termini politici che economici. La continuità è sicuramente un fattore che gioca a favore del mondo imprenditoriale, perché garantisce la possibilità di proseguire il cammino su un percorso già tracciato, conosciuto e che nel corso di questi ultimi quattro anni ha dato risultati positivi”. 
Quali sono i limiti delle nostre imprese nell’ affrontare i mercati internazionali?
“Il tessuto imprenditoriale italiano, formato da 4,4 milioni di Pmi, di cui 200mila esportatrici, ha mostrato negli ultimi anni notevoli capacità di adattamento, ma il confronto europeo evidenzia un livello di apertura internazionale agli scambi di merci ancora relativamente ridotto, che lascia spazi di miglioramento. Nel 2011 la domanda estera netta, dopo molti anni, ha ripreso il ruolo di principale motore della crescita, e questo testimonia come le opportunità offerte dai mercati esteri siano ancora considerevoli”.
Qual è il gap rispetto agli altri Paesi?
“Nel corso degli ultimi anni si è ridotta l’attivazione della domanda estera sulle produzioni nazionali, a causa del più intenso impiego di beni intermedi esteri in concorrenza con quelli di origine interna. Inoltre, le potenzialità di crescita del sistema produttivo italiano sui mercati esteri, come sul mercato interno, sono ostacolate da fattori strutturali e di sistema. Agli annosi problemi legati a complessi assetti normativi, si aggiungono servizi logistici non allineati con quelli dei principali  Paesi europei. Negli ultimi dieci anni il forte ridimensionamento della crescita si è legato ad una insoddisfacente dinamica della produttività. In Italia, gli investimenti pubblici, importante fattore di crescita economica, sono inferiori alla media europea. Il capitale immateriale che tanto incide sulla produttività è ancora troppo basso: le imprese italiane, a differenza di quelle dei principali paesi europei, non rinnovano abbastanza i propri modelli organizzativi e non investono a sufficienza in nuove tecnologie”.
Cosa possono importare dagli Usa le nostre imprese in termini di innovazione, approccio, visione e strategia?
“L’innovazione e l’adozione di nuove tecnologie e attività di business possono favorire una crescita di produttività. In Italia credo ci siano molte potenzialità di crescita per l’innovazione nell’economia digitale, un’area in cui il resto d’Europa e gran parte del resto del mondo stanno avanzando. Anche se solo la metà degli italiani usa internet, il Paese mostra un crescente uso degli smart-phone ed un alto livello di attività nei social media. Questi trend dimostrano un forte interesse in questi settori, e una grande potenzialità per sviluppare piattaforme per il commercio ed altre attività economiche. In questo gli Stati Uniti non  possono  che essere un esempio da seguire e un modello da importare”.