“No Triv”, a certe Regioni la storia ha insegnato davvero poco

No TrivCom’è noto (o, meglio, com’è ignoto), il 17 aprile, gli Italiani saranno chiamati a votare per un referendum, conosciuto come “No Triv!”, in riferimento alla materia del voto, ossia le trivellazioni marine a scopo estrattivo. Non è tanto dell’argomento specifico del referendum, in realtà, che vi vorrei parlare, quanto del come, in questo benedetto Paese, si affrontino (o, meglio, non si affrontino) dei temi che, alla fine, ci riguardano tutti quanti. I meno giovani tra voi ricorderanno certamente gli adesivi col sole che ride e la dicitura “Energia nucleare? No grazie!”, in tutte le lingue del globo: faceva enormemente figo, tra le fanciulle di ispirazione demo-radicale, esibire la spilletta “No Nukes”, insieme agli immancabili zoccoloni di cuoio e alla borsa di Tolfa. Faceva figo, certo: però, per quella moda scema, adesso noi andiamo mendicando energia elettrica dai nostri vicini, che ce la vendono grazie alle loro centrali nucleari. Queste, peraltro, sono spesso a un tiro di sasso dalla nostra frontiera, che è come se fossero qui da noi, quanto a rischi. Insomma, il peccato senza il piacere. Perché, trascinati da un battage senza alcuna base scientifica, sull’onda delle emozioni chernobylesche dell’anno prima, milioni di bravi Italiani hanno votato per lo smantellamento delle centrali nucleari italiche, nonché per l’abbandono di qualsivoglia politica energetica basata sui reattori: insomma, grazie ad un ecologismo superficialotto e fondato più sui pregiudizi che sui giudizi, ci abbiamo rimesso un sacco di palanche, che, oggi avrebbero potuto servire a spingere la ricerca verso le fonti rinnovabili.

Non solo, ma abbiamo sul nostro territorio decine di testate nucleari americane, su cui le vestali del cielo pulito e dei praticelli verdi non hanno nulla da ridire: eppure, una centrale nucleare non è progettata per esplodere, mentre una testata atomica sì. Aggiungo che le nostre centrali dismesse, per il cui spegnimento sono stati spesi miliardi, non sono affatto spente: il nocciolo è vivo e vegeto, e lotta insieme a noi. Se quel maledetto referendum del 1987 si è rivelato un monumento all’italica idiozia, oltre che una jattura di vaste proporzioni, quello del mese prossimo si sta dimostrando anche peggiore. Tanto per cominciare, quasi nessuno ha capito cosa riguardi: anzi, moltissimi neppure sanno ancora che il 17 aprile si voterà: dibattito zero, informazione zero, sensibilizzazione zero. Dal che deduco che, compresa la stupidità della proposta regionale di abrogazione (perché il referendum, stavolta, non proviene da una raccolta di firme, ma è di iniziativa di alcune Regioni), si sia preferito fare decadere il quesito referendario col non raggiungimento del quorum: altre palanche buttate al vento. In seconda battuta, questo referendum si limiterebbe, in caso di vittoria del sì, ad evitare la possibilità di rinnovo della concessione di trivellazione fino ad esaurimento di giacimenti, per chi già stesse trivellando, all’interno delle 12 miglia marine dalla costa: nuove trivellazioni in quell’area sono già proibite e oltre le 12 miglia, semplicemente, non si possono proibire. Come dire che l’unico risultato serio di un simile voto sarebbe quello di fare interrompere, allo scadere delle concessioni, l’estrazione di gas naturale (perché di gas e non di petrolio si tratta), lasciando lì impianti, pipelines e strutture preesistenti e limitandosi a lasciare intatto ciò che rimane dei giacimenti: non si capisce per quale motivo e con quale giovamento per l’equilibrio ecologico dei siti.

Senza contare che qualcun altro, magari sloveno o croato, partendo da fuori delle 12 miglia, potrebbe, per mezzo di perforazioni a quarantacinque gradi, succhiarci il gas di sotto al sedere, tanto quanto. Difatti, davanti alla palese insensatezza di questa prospettiva, che ci leverebbe una fonte energetica, senza migliorare in nulla l’impatto ambientale, i promotori hanno dovuto ammettere che questo referendum è stato chiesto soprattutto come segnale politico: avete capito bene? Per lanciare il loro segnale, questi simpaticoni non usano un tappetino ed un fuocherello, come i Sioux: usano il fabbisogno energetico nazionale, vale a dire le nostre tasche. E il fondamentale messaggio è: abbandoniamo i combustibili fossili e puntiamo sulle fonti rinnovabili. Che è cosa buona e giusta, intendiamoci. Però, mentre il governo si decide ad investire seriamente sulle rinnovabili, ad incentivare seriamente l’installazione del fotovoltaico e a sperimentare seriamente nuovi sistemi di produzione e stoccaggio dell’energia elettrica, noi vorremmo poter evitare di dipendere in tutto e per tutto dagli altri, per il nostro fabbisogno energetico. Anche perché non si capisce per quale ragione dobbiamo sempre perseguire una politica di dipendenza e di sottomissione nei confronti di questo e di quello, quasi che qualcuno avesse interesse a mantenerci in un perenne stato di sudditanza: schiavi politicamente ed economicamente di padroni che ci siamo scelti da soli. E, a forza di referendum politici e di segnali, se qualcuno ci chiude i rubinetti, finiremo a remengo. Altro che trivelle…