Niente simboli cristiani a scuola, l’integralismo “suicida” di certi presidi

presidi cristianesimoIl passaggio dall’integrazione alla disgregazione, dal sincretismo al sincretinismo, talvolta può avvenire impercettibilmente: basta che dai vertici si lancino segnali contraddittori, si indichino strade male illuminate, e il rischio di trovare qualcuno un tantino svantaggiato dal punto di vista cognitivo o spirituale, che, per eccesso di zelo o per smania di protagonismo, faccia il proverbiale disastrino, appare proprio dietro l’angolo. E’ il caso di questi presidi preoccupati di offendere la sensibilità dei non cristiani con simboli ed oggetti di origine cristiana: questi zelanti zeloti che hanno introiettato in maniera acritica alcune indicazioni lanciate dal mondo della scuola e della cultura europee, già di per sé imbarazzanti, e le hanno trasformate in decreto. In altre parole, si sono dimostrati degli integralisti, al pari dei Wahabiti, aliter Salafiti, che vedono il Corano come un testo ininterpretabile, ma da applicarsi letteralmente. Integralisti del niente, si potrebbe chiosare: perché, perlomeno, i Salafiti adottano, senza chiosarlo, un testo sacro.

Questi centurioni di una presunta e malintesa correttezza politica, per il desiderio, proprio di ogni gregario privo di fantasia, di mostrarsi più realisti del re, si fanno interpreti dogmatici del nulla, del più assoluto e sconfortante nichilismo. La storia dell’umanità è piena di fenomeni di assimilazione ed integrazione. Noi, la nostra civiltà e la nostra inciviltà, siamo figli di infiniti intrecci: genetici, linguistici, religiosi e culturali. Talvolta questo è avvenuto in modo relativamente pacifico ed altre in modo relativamente sanguinoso, ma, alla fine, il risultato è sempre stato buono o, perlomeno, accettabile: senza troppe parole, senza scomodare chissà quali teorie epistemologiche o antropologiche.

L’uomo cammina su questo pianeta da qualche milione di anni: l’antropologia ha centocinquant’anni di vita e non è che prima di Morgan e Tylor le culture non fossero in grado di integrarsi. Un solo dato è certo: questi sincretismi hanno sempre funzionato per accumulazione e mai per cancellazione. La tragedia greca, che di un sincretismo religioso è la monumentale allegoria, rappresenta egregiamente questo fenomeno: le preindoeuropee Furie, che perseguitano Oreste, macchiatosi di un delitto di sangue, per la mediazione delle divinità olimpiche indoeuropee, ossia Atena, e delle leggi della città, ossia Atene, si trasformano in Eumenidi e proteggono i cittadini.

Mi sento di poter dire che, probabilmente, sarebbe meglio che questi presidi, anziché imparare a menadito le direttive emanate da qualche grigio burocrate del MIUR, andassero a leggersi Eschilo: ne guadagnerebbero in equilibrio e in transaminasi. Non si può pensare che il modo di integrare i non cristiani in una società di origine cristiana, culturalmente creatasi grazie al cristianesimo, sia eliminare ogni afflato tradizionale, ogni identità: così non si fa integrazione, ma si produce un deserto. Anche un bambino capirebbe che cancellare ogni simbolo di qualsiasi tradizione è una scellerata operazione iconoclasta e non un’illuminata azione di accoglienza: un bambino sì, ma, probabilmente, un automa no. E così, vorrebbe che diventassimo questo sistema disumano di intendere l’integrazione e la multiculturalità: macchine, cellule, udarniki o apparatchnik privi di coscienza, di idee, di fantasia, come in un incubo staliniano. O, magari, più semplicemente, siamo governati da degli stupidi: si tratta solo di peggiocrazia che, dai vertici ministeriali, giù giù, a cascata, arriva fino agli istituti comprensivi di periferia.

Stupidi al cubo, perché, in circostanze particolari, quando la capacità di affrontare i problemi viene a galla, offrono ai nostri ragazzi soluzioni che non tamponerebbero una puntura di spillo: dopo la strage di Parigi, la risposta della scuola non è stata organizzare incontri, spiegazioni, confronti, ma stabilire un minuto di silenzio. Una scuola che organizza ogni tre per due workshop e giornate per questo e per quello, dal femminicidio all’educazione alla legalità, dal veganesimo all’omofobia, non è stata capace di radunare gli studenti nelle aule e negli auditorium per spiegare loro la differenza tra un salafita ed un sufista, tra un terrorista ed un fedele. Poi, si vorrebbe combattere il terrorismo con la cultura? La cultura è una cosa viva, che si costruisce e si alimenta un giorno dopo l’altro: e che si nutre di confronti e di continue integrazioni. Non c’è mai stata né mai ci sarà una cultura dell’appiattimento, dell’azzeramento delle specificità, dell’eliminazione dei caratteri individuali: la civiltà del domani dev’essere multiculturale, multireligiosa, multietnica, nel rispetto di tutti. Non incolta, atea, deetnicizzata, nel disprezzo di tutti. Altrimenti, nelle nostre cattedrali avremmo dovuto sostituire gli affreschi con una mano di intonaco: e poi sarebbe stata dura sceglierne il colore, visto che il bianco, per l’Islam è il colore del lutto. Festeggiamo il Natale, le feste islamiche, quelle maori: tutte le feste del mondo: con gioia e con comune rispetto e, fra cento anni, avremo creato un nuovo sincretismo e una nuova cultura. Cancelliamo la nostra identità e, fra cento anni, avremo semplicemente cessato di esistere. Che, dal punto di vista di qualche preside, è comunque una soluzione, immagino.