Mezzo secolo in Ascom, Angelo Manzoni: «Vi racconto come è cambiato il commercio»

Quando ha iniziato a lavorare all’Ascom di Bergamo – era il 2 maggio del ’65 – Angelo Manzoni aveva da poco compiuto 15 anni. Il 25 novembre il Consiglio delle categorie e il Consiglio direttivo dell’associazione di via Borgo Palazzo lo hanno premiato con una medaglia d’oro per i suoi 50 anni di lavoro.

«L’Associazione allora era in via Zilioli, eravamo in 11, me compreso, oggi siamo in 120 – ricorda -. Ho iniziato come fattorino, era il mio primo lavoro, sostituivo un collega che era partito per il servizio militare. L’anno dopo, nel ’66, ho iniziato gli studi serali di ragioneria e nel 1971 mi sono diplomato, la selezione in quegli anni era severissima». Dopo il diploma, l’esperienza come fattorino si chiude e inizia la sua carriera professionale: tre anni all’ufficio paghe, poi il ruolo di assistente del ragionier Moroni (una delle istituzioni in Ascom e suo maestro) alle prese con gli inizi dell’imposta Iva. Di lì a poco arriva l’incarico di consulente generale che ha svolto fino a oggi.

«Gli atti di compravendita ora vengono redatti dal notaio, ma allora li facevamo noi. Ci occupavamo di iscrizioni, cancellazioni, volture. Fino al ’71 ogni Comune rilasciava le licenze ai commercianti. Nel ’71 con l’entrata in vigore della Legge 426 vennero introdotte le tabelle merceologiche e i Comuni si limitarono a fare i piani commerciali. Nel ’98 con Bersani c’è stata la liberalizzazione che ha fatto morire la legge precedente e il Rec».

In 50 anni di professione, Manzoni ha conosciuto tre generazioni di commercianti: «Anche il senso di partecipazione all’associazione è cambiato molto. I primi anni le assemblee erano oceaniche, non c’era posto per tutti. Non era per i servizi, che erano pochissimi, i negozianti ci tenevano a far gruppo. All’assemblea annuale erano invitate tutte le autorità, sindaco, prefetto e non mancava nessuno. I commercianti ci tenevano a esserci e ad incontrarli. Spesso, inoltre, si impegnavano a fare politica, con la conseguenza che gli interessi della categoria venivano tutelati. Oggi i provvedimenti vengono calati dall’alto, senza essere discussi con le associazioni, non solo a livello locale ma anche nazionale».

La liberalizzazione è stata un passo positivo per il commercio?

Angelo Manzoni
Angelo Manzoni

«In altri Paesi funzionava e credevo avrebbe funzionato anche in Italia, ma mi sono dovuto ricredere. Da noi ci sono troppi adempimenti burocratici e troppo individualismo».  Manzoni ricorda una Bergamo viva e un commercio in salute. «Negli anni 80 in città arrivavano persone da tutta la provincia e il centro era pieno di gente. Passavano da via Papa Giovanni per poi riversarsi in via XX Settembre che era considerata la via dell’oro. Il “Cafè de Paris” aveva dovuto fermare le persone sulla strada per poter mettere l’insegna. Si viveva di più la città senza bisogno di organizzare nulla, venivano dalla provincia solo per vedere gli addobbi, per spedire la letterina di Santa Lucia, per conoscere le novità. È cambiato tutto. Allora il ritrovo dei ragazzi era il Balzer, ora è Oriocenter».

Cosa chiedevano gli aspiranti imprenditori?

«Negli anni 70 venivano in Associazione anche per chiedere che segnalassimo in Comune che il tal commerciante vendeva prodotti al di fuori della sua autorizzazione. Volevano rimanere anonimi ma poi i “denunciati” sapevano comunque chi erano».

Oggi invece cosa chiedono?

«Non si può credere, ma molti mi chiedono quale attività consiglio di aprire. Sono persone disoccupate che pensano di risolvere i problemi entrando nel mondo del commercio, non hanno risparmi da investire, né un’idea imprenditoriale e sono del tutto al buio per quanto riguarda le spese che è necessario sostenere per aprire un’attività. Il risultato di questa improvvisazione è che negli ultimi tre anni le attività un tempo considerate sicure, cioè le tabaccherie, le edicole e gli stessi bar, pizzerie e ristoranti, sono in forte calo».

Come vede il commercio nel prossimo futuro?

«Io sono sempre ottimista, ma vedo un forte rischio. Un tempo c’era una netta separazione tra i diversi negozi. I panifici vendevano il pane, le edicole i giornali. Oggi c’è la rincorsa da parte dei commercianti ad ampliare la propria proposta merceologica. I bar vogliono vendere i giornali o i tabacchi, i panifici e persino le macellerie vogliono far somministrazione, ma così portano via l’incasso ai bar. Se tutti vendono le stesse cose, la concorrenza diventa esponenziale e l’incasso è destinato a diminuire. Trasformare le attività in un bazar significa polverizzare le attività, la somministrazione non assistita rischia di portare alla morte del commercio.  A Bergamo c’erano una dozzina di librerie oggi sono sparite. Negli ultimi dieci anni tutti i negozi storici, passati di famiglia in famiglia, sono spariti perché non hanno trovato più modo di alimentarsi. In Città Alta un tempo c’erano quattro macellerie, di cui due equine, oggi sarebbe impensabile per una macelleria sopravvivere vendendo solo carne equina. Le spese sono troppe e le entrate non sono più sufficienti a coprirle».

Qual è il problema maggiore a Bergamo per il commercio?

«Gli affitti e i parcheggi molto cari, nei centri commerciali sono gratuiti e anche al coperto. E poi le code interminabili per arrivare in città».

In questo scenario quale può essere il ruolo dell’Associazione?

«I commercianti dovrebbero tornare a fare gruppo e al di là dei servizi, vivere l’Associazione come il mezzo per dare voce alle proprie istanze, in modo da tornare a contare nelle scelte che li riguardano».