L’impresa familiare
a un bivio

nella foto: Alessandro Minichilli

Le aziende familiari resistono meglio alla crisi e danno occupazione, ma possono ancora crescere e diventare grandi, arrivando a competere sui mercati mondiali. Solo l’11,7% delle più grandi imprese italiane ha effettuato almeno un’acquisizione negli ultimi 13 anni, dato che evidenzia un vero e proprio limite allo sviluppo. L’azienda familiare è a un bivio: “O le nostre aziende fanno acquisizioni o finiscono con l’essere acquisite, come mostra il lungo elenco delle operazioni perfezionate o avviate da gruppi francesi” – sottolinea Alessandro Minichilli, professore associato della Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle Aziende Familiari dell’Università Bocconi, tra i curatori dell’Osservatorio Aub.
La crisi e la stretta al credito impongono inoltre una rivalutazione del ruolo dei portatori di capitali terzi e del private equity. Bisogna inoltre infrangere il “soffitto di vetro” (glass ceiling) che soffoca ogni aspirazione alla carriera delle donne: cda e vertice in rosa detengono, dati alla mano, performance eccellenti.
La medio-grande impresa familiare tiene duro di fronte alla crisi e incrementa l’occupazione. Questione di dna?
“Di fatto la migliore tenuta occupazionale va alle imprese familiari (che rappresentano  il 58% di quelle prese in esame) che hanno incrementato i posti di lavoro  del 5,7%  dal 2007 al 2012, contrariamente alle multinazionali che registrano un calo del 4,5%.  Nelle aziende familiari esiste una sorta di “patto implicito” tra datore di lavoro e dipendente. Un legame che spinge gli stessi imprenditori a parlare di “collaboratori”, indice di un maggior coinvolgimento,  in una struttura in cui il dipendente non è  un numero”.
Quali sono  i punti di forza delle aziende familiari?
“Senza dubbio il coinvolgimento della proprietà ed il legame più stretto con i dipendenti. Le aziende prese in considerazione, spesso caratterizzate da una forte presenza della famiglia e del fondatore, sono ancora molto vicine alla nascita imprenditoriale e portano ancora con sé quei valori di creatività, design e innovazione che costituiscono la forza del prodotto e quindi del mercato stesso.  Oltre alle eccellenze nel campo della moda e del design, siamo secondi solo ai tedeschi nella produzione di macchine utensili ed è tutto merito delle aziende – quasi tutte familiari – nate dall’intuizione di brillanti ingegneri fondatori”.
Qual è il tallone d’Achille dell’impresa familiare italiana?
“Le questioni critiche riguardano la governance. La difficile congiuntura economica dell’ultimo triennio ha determinato un atteggiamento di maggior prudenza verso il ricambio al vertice: le successioni sono passate dal 5% del 2008 al 3,7 % del 2012. Il problema è che, a prescindere dalla congiuntura economica, le successioni al vertice sono più frequenti nelle aziende in maggiore difficoltà. Questo è un limite, perché il cambio al vertice non va fatto nei momenti di grande crisi, ma al momento giusto”.
Le aziende guidate da leader giovani hanno performance migliori?
“Sì, mostrano performance superiori rispetto a quelle con leader over 40 e over 50. Il fondatore amplifica i due estremi: porta ad una crescita aziendale grandissima fino a 40 anni (+11,5 punti percentuali rispetto alla media della popolazione), buona fino alla soglia dei 50 (+3,5), mentre al giro di boa del 60 si blocca (al +0,1) per invertire completamente la tendenza  tra i 60 e i 70 anni (-1,7) e segnare il tracollo oltre i 70 anni (-3,9)”.
A quanti anni è bene che il fondatore o il leader si faccia da parte?
“I dati mostrano come il momento giusto sia alla fine dei 60 anni e comunque mai oltre aver spento le 70 candeline. La successione va programmata per tempo e deve avvenire al momento giusto”.
Un altro limite da infrangere è quello del “soffitto di vetro” che soffoca la carriera delle donne. Superare il “glass ceiling” è davvero un’opportunità?
“Dall’Osservatorio emerge che le donne possono rappresentare una concreta opportunità per le aziende, oltre che un obbligo nella linea di successione. Le donne al vertice dell’azienda di famiglia sono state selezionate per la loro competenza e non per affiliazione. Le donne lavorano inoltre meglio in coppia e in team: le migliori performance si registrano nelle imprese con vertice e cda in rosa”.
L’atteggiamento di preclusione verso una strategia acquisitiva rappresenta il principale freno allo sviluppo delle aziende familiari?
“Oggi lo slogan “piccolo è bello” che ha da sempre accompagnato il modello imprenditoriale italiano mostra tutti i suoi limiti. Oggi, o le nostre aziende fanno acquisizioni o finiscono con l’essere acquisite, come mostra il lungo elenco delle operazioni perfezionate o avviate da gruppi francesi. Le acquisizioni consentono all’azienda di crescere in nuovi mercati e di consolidare i propri presidi. L’Osservatorio evidenzia come solo l’11,7% delle maggiori aziende familiari italiane abbia effettuato almeno un’acquisizione negli ultimi 13 anni”.
Quali sono gli ostacoli all’internazionalizzazione, soprattutto nei mercati emergenti?
“Si tende a misurare la distanza in termini culturali oltre che geografici. E’ una questione di approccio: se l’azienda multinazionale analizza i mercati basandosi sulla loro crescita, l’ azienda familiare, che tende a preservare al massimo l’autonomia decisionale, pensa che affacciarsi sul mercato asiatico presenti rischi elevati, quando in realtà non è quasi mai così”.
Quali sono le nuove sfide?
“Con la crisi e la stretta al credito prima o poi le aziende devono rivalutare il ruolo dei portatori di capitali terzi per preservare e valorizzare il patrimonio. L’apporto di nuove risorse finanziarie e conoscenze da parte di un private equity può fornire un aiuto concreto per uscire dall’impasse o per consolidarsi e crescere. Molte aziende italiane pur possedendo i requisiti per procedere all’apertura di capitale non colgono questa opportunità. Il nostro mercato è sempre stato estraneo a queste operazioni, anche se il private equity si sta timidamente facendo strada. I risultati non mancano: la media dei tre anni post investimento raffrontata con il triennio precedente all’operazione evidenzia la crescita delle imprese che hanno aperto il capitale ad un fondo”.

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