L’analisi / Accademia Carrara, i passi falsi da evitare

accademia-carraraCi volevano sei anni di chiusura per il più faticoso restyling della storia amministrativa della città perché Bergamo si accorgesse di avere, tra le sue cose belle, l’Accademia Carrara. Un’infinità di inghippi edilizi, tecnici e burocratici che sembravano non finire mai, hanno via via procrastinato la riapertura della pinacoteca cittadina che, come uno scrigno prezioso svelerà, con le sue bellezze artistiche, la sua bellezza ritrovata. Il rilancio in grande stile coinciderà con la mostra di Palma il Vecchio e soprattutto con Expo, cioè con la vetrina più internazionale che si potesse auspicare di avere. Non mancano le incognite, tra cui quelle di una governance che vedrà in sinergia pubblico e privato in una  Fondazione cui spetterà un compito non facile, ma nello stesso tempo, entusiasmante: fare dell’Accademia un volano per il territorio, un elemento culturale imprescindibile in cui identificare la consapevolezza della valorizzazione di ciò che Bergamo è e Bergamo ha. Sarà davvero il 23 aprile il primo giorno della nuova stagione? Quella della concretezza? Le questioni sul tavolo sono parecchie, a cominciare dal numero dei visitatori e dagli incassi previsti, ma non solo. Tra questi due poli logistico-organizzativi- finanziari, nella cornice della gestione si muove tutta una serie di addentellati, dai quali dipenderà davvero il successo dell’operazione rilancio, cominciata un anno fa con il criticatissimo scudetto-logo che si ritrova su ogni supporto promozionale. Che cosa servirà per “far funzionare” la Carrara e mettere a reddito l’investimento di 12 milioni di euro? Oggi non basta più raccogliere, conservare, studiare ed esporre le collezioni: è importante comunicarle, renderle fruibili, identificare e soddisfare i fabbisogni del pubblico. Solo in questo modo, un “sito culturale” come l’Accademia Carrara, potrà diventare sempre più “attore dello sviluppo”. Il settore dei beni culturali è fortemente connotato da un’esigenza di aziendalizzazione, che metta al centro la ricerca di una migliore fruizione dei beni, in una logica di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza. Il primo passo da compiere è quello di una  condivisione del percorso di miglioramento, abbandonando visioni e logiche contrapposte tra il professionista “culturale” e il manager economico-aziendale a tutto tondo. Nella scelta del direttore, ad esempio, occorrerà tener conto di una professionalità che sappia esaltare le professionalità e le competenze esistenti e, soprattutto, quelle potenziali che si rifanno a soggetti giovani, che potranno entrare in rotta di collisione con la Carrara.  Occorrerà un’analisi della domanda dei servizi culturali sempre più professionale, utilizzando modalità evolute, di contatto, di fidelizzazione, di associazionismo, di interviste, di customer satisfaction, che diano stimoli e soluzioni per una fruizione più efficace. Tutto ciò comporta un dialogo tra differenti competenze disciplinari, in particolare, quelle che fanno capo all’ambito culturale, alla museologia, prioritariamente, e quelle del management, ambiti spesso contrapposti, distanti, separati e sui quali occorrerà attivare  una convergenza e un cammino sinergico. Sul tavolo alcune proposte per far diventare le zone limitrofe all’Accademia delle piccole Montmartre in salsa orobica ci sono già e certe situazioni sembrano fatte apposta per testare fin da subito la capacità di passare dalla grammatica alla pratica. Un esempio? Sembra che solo 190 dei 420 musei statali italiani abbiano un bar o un ristorante per i visitatori. E l’Accademia Carrara, in attesa del coffee shop (al momento sono previsti solo distributori automatici) non fa eccezione.  Nel 2013 il ristorante del Moma di New York ha incassato da solo più di tutti i musei italiani insieme. Davvero preferiamo vedere lo spirito e la storia del nostro Paese andare in rovina perché offrire una bibita a un turista a fine visita ci sembra una cosa di cattivo gusto? Ai bar e ristoranti di San Tomaso e dintorni, l’ardua risposta.